Non si può certo dire che Letizia Brichetto Arnaboldi, vedova di Gianmarco Moratti, sia tornata sulla scena politica in punta di piedi. Come se non fosse bastata l’eco mediatica suscitata dal documentario “SanPa”, che l’aveva riportata al centro dell’attenzione a dieci anni di distanza dalla storica sconfitta nelle elezioni milanesi del 2011, l’ex Sindaca ha sferrato in poche ore un “uno-due” degno di un campione dei pesi massimi.
Prima si è distinta per l’invito al ministro della Salute Roberto Speranza a “sospendere per 48 ore” la zona rossa per la Lombardia, contando sul fatto che i nuovi dati dovrebbero delineare un quadro più roseo per la regione. Difficile, su questo, non dare ragione al Sindaco di Milano Beppe Sala: non è forse Regione stessa a inviare i dati a Roma? Come è possibile che sia essa stessa a contestarne la veridicità temporale?
A stretto giro di posta, è arrivato il secondo guizzo, che ha ulteriormente alzato l’asticella della polemica: una lettera al Commissario Domenico Arcuri nella quale si chiede che la distribuzione dei vaccini sia basata su quattro parametri, tra cui il contributo dato dalle singoli regioni al PIL nazionale. In poche parole: prima chi produce soldi, a meno che non si tratti di una clamorosa svista presa contemporaneamente da tutti coloro che osservano, raggelati, la situazione della Lombardia.
Se al momento della decisione di puntare sulla ex Sindaca di Milano come sostituta del vituperato Giulio Gallera c’eravamo riproposti di aspettarne le scelte, prima di esprimere giudizi, queste sue esternazioni hanno lo stesso effetto di un elefante in una cristalleria. Ad andare in frantumi sono soprattutto le speranze di chi pensava che fosse ormai acclarata, a prescindere dagli orientamenti politici, la necessità di rafforzare un sistema sanitario che sia davvero per tutti, soprattutto per chi ha meno. Così come la necessità di uscire dal paradosso che da tempo accompagna la Lombardia: eccellenza assoluta per alcune prestazioni specialistiche, ma con una fortissima penetrazione del privato e con attività preventive di bassa intensità che alla prova dei fatti si sono dimostrate gravemente carenti.
Questa balzana idea di commisurare gli interventi della sanità pubblica in base al prodotto interno lordo non è nemmeno tanto originale, ma non per questo è meno grave, specialmente se espressa da chi è chiamato a rimettere in sesto una situazione da tempo allarmante come quella lombarda.
L’uscita dell’ex ministra mi ha riportato alla mente l’imitazione che Paola Cortellesi le aveva dedicato a inizio millennio, inventandosi una esilarante distinzione tra utenti della scuola “free” e della scuola “pay”, che ovviamente non esistono. Esiste, invece, una sanità come quella lombarda, dove per i motivi già esposti bisognerebbe pensare un po’ meno al fattore economico e un bel po’ di più a quello sociale. E su questo non c’è davvero niente da ridere.
A questo proposito, più che la proposta della nuova assessora conta come le verrà risposto. Intanto mi auguro che Arcuri le faccia rispettosamente presente che in Italia, fino a prova contraria, vige una Costituzione secondo la quale tutti abbiamo gli stessi diritti, ivi compreso quello alla salute (lo dice l’articolo 32 e mi scuso per lo spoiler con chi ancora non l’avesse letta).
E magari il ministro Speranza potrebbe trovare la motivazione giusta per riprendere in mano la richiesta di commissariamento della sanità lombarda a suo tempo sottoscritta da numerosi cittadini e associazioni. A prescindere da come Regione Lombardia reagirà alla bocciatura della Legge 23 – fondamentale snodo sul quale siamo in vibrante attesa del pronunciamento dell’assessora Moratti – il quadro generale non autorizza certo all’ottimismo. E stavolta, dite quello che volete, non può essere colpa di Gallera.