“La lesione della potestà pianificatoria comunale appare evidente e soprattutto il sacrificio delle prerogative comunali risulta non proporzionato, con violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione”, scrivono i giudici amministrativi, nell’ambito di tre ricorsi presentato da altrettanti proprietari di immobili nei confronti del Comune di Milano relativamente alla norma sul recupero degli edifici abbandonati del Piano di Governo del Territorio. La posizione del Comune – e in particolare di Pierfrancesco Maran, assessore all’Urbanistica – si basa sulla difesa della propria norma e sull’eccezione di incostituzionalità dell’articolo 40 della Legge Regionale 18/2019 che consente ai proprietari degli immobili abbandonati di ottenere un bonus edificatorio fino al 25% e di costruire in deroga alle norme morfologiche e a quanto previsto dal PGT.
Tale orientamento sta facendo molto discutere in città, soprattutto per quanto riguarda il progetto relativo all’immobile di via Pirelli 39, il cosiddetto “Pirellino” di Coima e Manfredi Catella. Dopo aver comprato il grattacielo nel 2019 proprio dal Comune di Milano, il nuovo proprietario ha chiesto di poter accedere ai bonus volumetrici previsti dalla legge regionale, aprendo un vivace confronto tra la posizione di Maran e quella di Regione Lombardia. Per questo motivo, il pronunciamento odierno del TAR rappresenta un importante successo politico, seppure non definitivo, da parte dell’assessore all’Urbanistica del Comune.
La Corte Costituzionale dovrà infatti entrare nel merito della vicenda, ma prima di sospendere il giudizio il TAR ha sancito che la norma regionale “incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole situazioni di abbandono e di degrado, da cui discende la possibilità di ottenere premi volumetrici e norme urbanistiche ed edificatorie più favorevoli rispetto a quelle ordinari. L’applicazione dell’art. 40-bis anche agli immobili fatiscenti individuati prima della sua introduzione – come pure a quelli segnalati direttamente dai privati – stravolge la pianificazione territoriale del Comune, il quale aveva elaborato e introdotto un regime speciale per il recupero dei citati immobili, proprio tenendo in considerazione l’impatto degli interventi di riqualificazione sul tessuto urbano esistente. Difatti, un conto è riqualificare un immobile, conservandone la medesima consistenza (oppure demolirlo, consentendo il recupero della sola superficie lorda esistente: art. 11 delle N.d.A.), un altro conto è riconoscere a titolo di beneficio un indice edificatorio aggiuntivo, oscillante tra il 20% e il 25%, cui si accompagna l’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento degli standard”.
“Il legislatore regionale – prosegue il TAR – ha imposto una disciplina ingiustificatamente rigida e uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali e in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere l’assetto del territorio, o di parti importanti dello stesso, in maniera del tutto dissonante rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale. L’applicazione della disposizione regionale comprime in maniera eccessiva – con violazione degli art. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione – la potestà pianificatoria comunale, in particolare dei Comuni che hanno più di 20.000 abitanti (come il Comune di Milano), non consentendo a siffatti Enti alcun intervento correttivo o derogatorio in grado di valorizzare, oltre alla propria autonomia pianificatoria, anche le peculiarità dei singoli territori di cui i Comuni sono la più immediata e diretta espressione”
“Pur essendo rimessa al Consiglio comunale l’individuazione degli immobili abbandonati e degradati, è comunque consentito al proprietario di un immobile di certificare con perizia asseverata giurata, oltre alla cessazione dell’attività, anche la sussistenza dei presupposti per beneficiare del regime di favore di cui all’art. 40 bis. Il Comune quindi non ha la facoltà di selezionare, discrezionalmente, gli immobili da recuperare, in quanto l’applicazione della norma regionale può avvenire anche su impulso del proprietario del manufatto. L’assoluta incertezza in ordine all’impatto sul territorio di una tale previsione, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, impedisce al Comune una coerente programmazione in ambito urbanistico, rendendola in alcune parti, anche importanti, del tutto ineffettiva”.
La violazione della Costituzione viene riscontrata anche rispetto a contraddizioni della legislazione regionale stessa. “La norma appare altresì irragionevole – con violazione dell’art. 3 della Costituzione– nella parte in cui non si rapporta ai principi contenuti in altre norme della stessa legge regionale n. 12 del 2005 (in specie quelli riferiti alla riduzione del consumo di suolo) e della legge regionale n. 31 del 2014 (“Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e la riqualificazione del suolo degradato”), poiché la riduzione del consumo di suolo rappresenta un obiettivo prioritario e qualificante della pianificazione territoriale regionale, orientata ad un modello di sviluppo territoriale sostenibile”.
Infine, secondo il TAR, “l’art. 40 bis appare in contrasto anche con i principi di uguaglianza e imparzialità dell’Amministrazione discendenti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione, visto che riconosce delle premialità per la riqualificazione di immobili abbandonati e degradati in favore di soggetti che non hanno provveduto a mantenerli in buono stato e che hanno favorito l’insorgere di situazioni di degrado e pericolo, a differenza dei proprietari diligenti che hanno fatto fronte agli oneri e ai doveri conseguenti al loro diritto di proprietà, ma che proprio per questo non possono beneficiare di alcun vantaggio in caso di intervento sul proprio immobile. La norma regionale, quindi, incentiva in maniera assolutamente discriminatoria e irragionevole di situazioni di abbandono e di degrado”.
Sulla scia di questo pronunciamento, i consiglieri regionali del Pd Carmela Rozza e Matteo Piloni chiedono che la norma sia cambiata: “I dubbi emersi- affermano i due Dem – sono gli stessi che avevamo sollevato già durante la discussione della legge in consiglio regionale. Già lo scorso novembre e poi due settimane fa in commissione, abbiamo proposto l’avvio di un lavoro di revisione della legge regionale sulla rigenerazione urbana (18/2019), attraverso un tavolo che parta anche dalla Legge12 del 2005, la madre dell’urbanistica regionale e più volte stravolta in questi anni. Con questa sentenza ci sembrano essere tutte le condizioni per avviare quel tavolo e aprire un confronto serio per modificare la legge e migliorare e semplificare davvero gli strumenti pianificatori a vantaggio dei Comuni, dei privati e dei cittadini”.