Sul lettino c’è un malato illustre: la rinomata Sanità lombarda. Al suo capezzale accorrono cinque “saggi” scelti dal Presidente Fontana tra le riconosciute eccellenze del settore. Ma la loro analisi produce due relazioni diverse e per certi versi inconciliabili, specialmente sul discusso rapporto tra pubblico e privato
La scorsa settimana in Regione Lombardia si è scritto un nuovo capitolo della lunga e tormentata vicenda relativa alla gestione della pandemia di Covid-19. E, pur se stranamente snobbato dalla maggior parte dei media, è stato un passaggio decisamente importante.
Il “Comitato dei Saggi” nominato la scorsa estate dal Presidente Attilio Fontana per riformare una sanità messa in ginocchio dal Covid-19, ha presentato in Commissione Sanità il risultato della sua analisi, durata ben sette mesi. A sorpresa, però, non ha illustrato una relazione condivisa, ma si è spaccato al punto di presentare due lavori differenti e, per alcuni aspetti, decisamente inconciliabili. Come è stato possibile e, soprattutto, su cosa non si sono trovati d’accordo questi “saggi”?
Andiamo con ordine. Annunciato lo scorso 29 giugno, il Comitato annovera personalità di riconosciuto valore: Rosanna Tarricone (del Cergas Bocconi), Gianluca Vago (ex rettore dell’Università Statale di Milano e già consulente di Fontana in Regione), Giuseppe Remuzzi (direttore dell’Istituto Mario Negri), Gianluigi Spata (presidente dell’Ordine dei Medici della Lombardia) e Alberto Mantovani (immunologo e direttore scientifico dell’Istituito clinico Humanitas).
Che questi addetti ai lavori potessero avere punti di vista differenti sul delicato tema era stato previsto dallo stesso Fontana ancora prima che si mettessero all’opera: “Ho chiesto la consulenza ad alcune personalità che faranno rifermento a me. Sono tutte persone di grandissima qualità e dalle formazioni completamente diverse, che mi serviranno per aver le idee più chiare sia in merito all’evoluzione dell’epidemia, sia in merito a eventuali correzioni che andranno apportate. Collaboreranno con il vicesegretario generale Luigi Cajazzo”. Cajazzo, come i lettori di TPI probabilmente ricorderanno, fino a 19 giorni prima era direttore generale del settore Welfare, poi sostituito da Marco Trivelli (il quale a sua volta sarebbe durato appena otto mesi: il 18 febbraio Letizia Moratti lo ha sostituito con Giovanni Pavesi). Cajazzo era quindi stato spostato nella segreteria generale, un ruolo sulla carta più rilevante e con una delega specifica alla riforma della Sanità.
Fontana illustrava così gli obiettivi di questo gruppo: “Dobbiamo cercare di capire quali siano state le cose che eventualmente meno hanno funzionato. Dobbiamo fare un lavoro serio. Andremo ad esaminare quali sono, se ci sono, e in che modo possono essere migliorate, le cose che si accerterà non abbiano funzionato. Non ci siamo dati dei tempi, cercheremo di farlo quanto più rapidamente possibile”.
L’analisi del Comitato dei Saggi non è stata particolarmente rapida e, come vedremo, ha conosciuto anche diversi contrasti. Il fatto che il Dott. Giuseppe Remuzzi avesse maturato dei convincimenti divergenti rispetto al resto del gruppo era un fatto abbastanza noto tra gli addetti ai lavori, ma si è manifestato pubblicamente in occasione della presentazione delle relazioni, avvenuta nella seduta della III° Commissione “Sanità e Politiche Sociali” dello scorso 24 febbraio. Già tre giorni prima, inviando alla segreteria i relativi documenti, il Dott. Gianluca Vago annunciava che le presentazioni sarebbero state appunto due: una ad opera di Remuzzi e una di Vago stesso e degli altri componenti del gruppo. Così la spaccatura che in precedenza era filtrata all’esterno solo attraverso rumors è diventata un dato di fatto.
Al cospetto dei consiglieri regionali, sono stati esposti sia i punti in comune tra le due analisi che i diversi suggerimenti operativi. Ovviamente nessuno nutre più dubbi sulla necessità di potenziare il livello territoriale della sanità lombarda, oggi quasi totalmente incentrata sugli ospedali: per quanto alcuni di essi rappresentino eccellenze internazionali, la pandemia ha dolorosamente evidenziato i limiti di un approccio che concentra ampie fette della popolazione nello stesso luogo di cura.
Allo stesso modo, viene evidenziato il problema della frammentazione della governance fra tre livelli: la Regione che fa la “regia” del sistema, l’ATS che svolge il ruolo della committenza, mentre ASST, IRRCS e privati si occupano della “produzione”, come viene definita nella relazione del gruppo del Dott. Vago. Se questo è ormai assodato, dopo un anno di pandemia, i saggi si spaccano su alcuni aspetti fondamentali. Secondo Vago, “i principi fondanti della Legge Regionale 23 (la riforma della Sanità approvata durante la Presidenza di Roberto Maroni, ndr) rimangono validi. Le criticità rimandano alla necessità di poche modifiche legislative e importanti interventi organizzativi e attuativi”. Ogni intervento di modifica, in questa visione, va accompagnato da “un’analisi di impatto e un attivo coinvolgimento degli stakeholder”.
Tra i suddetti stakeholder in Lombardia primeggiano i privati accreditati, che nella relazione di Vago vengono descritti come “eccellenze riconosciute a livello nazionale e internazionale” (cosa certamente vera) nonché uno strumento che “risponde collegialmente all’obiettivo generale del Sistema Sanitario Regionale di tutela della salute e quindi concorre, con il pubblico, all’erogazione delle prestazioni identificate, per tipologia e quantità, in fase di programmazione regionale”. Una programmazione che deve avvalersi dei seguenti strumenti: “Tetti di spesa, case-mix, accreditamento e contrattualizzazione, remunerazione”.
La relazione del Dott. Remuzzi invece giunge alle stesse conclusioni che sono state messe nero su bianco sia dal Forum per il Diritto alla Salute, sia da altri addetti ai lavori che nel corso di questo anno di crisi si sono dedicati all’analisi dei problemi della Sanità Lombarda.
Proprio sul tema del rapporto con i privati, da sempre foriero di accese discussioni, si registrano le principali differenze. Secondo Remuzzi “il sistema tariffario vigente non è più attuale e utilizzabile e bisogna cambiare la relazione con il privato accreditato. Oggi in Lombardia molte strutture private sono accreditate e di fatto operano per il SSR, ma mentre gli ospedali pubblici si devono occupare di tutto, le cliniche possono scegliere e possono puntare su ciò che è più remunerativo”. La pandemia, come abbiamo avuto modo di analizzare in diverse occasioni, è dilagata proprio per la carenza di una serie di prestazioni meno remunerative, come quelle legate alla prevenzione, ma certo non meno importanti. Secondo Remuzzi, “la Sanità privata dovrebbe essere accreditata solo quando e dove la Sanità pubblica è carente e non come adesso che il pubblico paga anche per tutte le prestazioni del privato accreditato, indipendentemente dalla loro efficacia e utilità. Se fosse così, allora pubblico e privato potrebbero veramente integrarsi e fornire ciascuno un contributo prezioso ed essenziale al SSR”.
Rispetto alla governance, Remuzzi propone una revisione dei distretti, assegnando a ciascuno di essi un ambito territoriale più limitato e congruo con la suddivisione amministrativa. Oltre a dare alle ASST un ambito meglio definito, la revisione delle cure primarie deve tenere conto dei problemi rilevati nella gestione delle cronicità, uno dei vulnus principali della Legge 23. Altro elemento di innovazione sono le “Case della Salute”, da rendere centrali sia nella prevenzione che nella gestione dei pazienti cronici: “Il gestore della cronicità non può essere un’entità a forte valenza ospedaliera e tanto meno in mano ai privati”, scrive Remuzzi. Un ulteriore salto di qualità viene suggerito a proposito dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale, da integrare con i servizi sociali comunali – come peraltro chiedono molti sindaci, attualmente tagliati fuori dal sistema di cura dei propri cittadini – rivedendone anche il profilo contrattuale e di accreditamento.
In sostanza, Remuzzi propone dei cambiamenti radicali nel sistema sanitario lombardo, mentre Vago e gli altri saggi hanno una visione più conservativa che, secondo le forze politiche di opposizione, corrisponde all’intento della Giunta Fontana di operare una sorta di superficiale “maquillage” della Legge 23, correggendone solamente alcuni aspetti formali e applicativi.
Secondo alcuni partecipanti alla seduta di commissione, tale intento avrebbe persino “suscitato imbarazzo anche in consiglieri della maggioranza”. E da una “generale insoddisfazione” per il dibattito fin qui sviluppato sulla riforma della Sanità è nata la richiesta del Pd di convocare Remuzzi per una seconda audizione, nella quale possa esporre pienamente il suo punto di vista, in maniera autonoma da quello degli altri saggi. A ulteriore riprova di come i diversi punti di vista di questi esperti della materia producano dei suggerimenti operativi difficilmente conciliabili tra loro.
Vedremo quale di essi verrà recepito dai decisori politici: proprio oggi torna in zona arancione, con relativi danni economici facilmente prevedibili, e i suoi dieci milioni di abitanti aspettano risposte.
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