Cosa sta succedendo negli ospedali milanesi, messi a dura prova dalla seconda ondata di Covid-19? “A Milano i medici d’urgenza e i rianimatori degli ospedali San Carlo e San Paolo temono di dover presto decidere chi curare e chiedono rinforzi. La direzione smentisce. Chi ha ragione?”, si domanda Carlo Borghetti, consigliere regionale del Pd e vicepresidente del Consiglio lombardo.
Chiederselo è d’obbligo, dopo le polemiche riguardanti l’ASST Santi Carlo e Paolo, recentemente nata dalla fusione dei due ospedali, situati rispettivamente sul territorio del Municipio 7 e del Municipio 6 di Milano. Un passaggio, peraltro, che ha suscitato numerose discussioni anche nell’area metropolitana, in quanto il bacino di utenza dei due ospedali va ben oltre i confini cittadini.
In prima linea nella pandemia di Covid-19, alcuni specialisti di questi ospedali hanno redatto una lettera indirizzata alla loro dirigenza e i cui contenuti sono stati resi pubblici da Il Fatto Quotidiano: “Siamo professionisti impegnati nella gestione dell’emergenza Covid (emergenza prevista, attesa e che, ciononostante, vede la nostra struttura largamente impreparata), Vi scriviamo per esprimere la nostra grande preoccupazione per la situazione che si è creata in ospedale e il nostro fermo dissenso verso una politica che ci impedisce di esercitare la nostra professione in scienza e coscienza, soprattutto a causa della carenza di mezzi tecnici e umani indispensabili nel frangente in cui ci troviamo ad operare”.
I medici si riferiscono “innanzitutto alla drammatica, e purtroppo ben nota, carenza di posti letto, non solo in terapia intensiva, ma anche nei reparti di degenza ordinaria e nei reparti con possibilità di monitoraggio, dove ricoverare pazienti candidati a trattamenti subintensivi, indispensabili per la cura di gran parte dei pazienti Covid”.
Nonostante alcuni potenziamenti dell’organico in seguito alla pandemia, si lamenta la carenza di personale “specialmente di area critica, neppure lontanamente colmata da personale assunto ad hoc, introdotto in reparti altamente specializzati con una formazione sempre più spesso frettolosa e sommaria”. Una carenza che, secondo gli estensori della lettera “gravissima e nota ben prima della pandemia”.
Nel passaggio più inquietante del loro grido di allarme, i medici affermano: “Purtroppo, in assenza di queste risorse critiche, ci vediamo costretti a operare scelte relative alla possibilità di accesso alle cure, che non sono né clinicamente né eticamente tollerabili. Contro la nostra volontà e, soprattutto, contro la nostra coscienza umana e professionale, ci vediamo forzati a dilazionare l’accesso a terapie e tecniche potenzialmente curative (intubazione orotracheale e ventilazione non invasiva) e non poter trattare tempestivamente, con adeguata assistenza e in ambiente appropriato tutti i pazienti che ne potrebbero beneficiare”.
A smentire tali affermazioni, sempre su Il Fatto, è Matteo Stocco, d.g. degli ospedali in questione, il quale spiega: “Vado spesso nei reparti, sento l’aria che tira. E’ chiaro che l’ondata li ha messi sotto pressione, ma non siamo rimasti con le mani in mano. Da febbraio abbiamo assunto 22 medici specializzandi nelle tre aree fondamentali (anestesisti, pneumologi e infettivologi) grazie alla deroga del governo sulle specialità che ha consentito di reclutarli fin dal quarto anno. Abbiamo anche aumentato gli infermieri di 14 unità, più altri 47 che abbiamo reclutato tramite un’agenzia interinale. Così abbiamo garantito la copertura dei turni”.
Stocco spiega anche che “probabilmente non riusciremo a spendere le risorse che la Regione ci ha messo a disposizione perché il problema è proprio trovare il personale. Nella prima ondata era coinvolto solo il Nord e si trovavano medici e infermieri dal Sud, ma ora l’emergenza è in tutta Italia e tutti cercano le stesse professionalità. Non a caso per gli infermieri ci siamo dovuti rivolgere all’interinale”. Il suo racconto, peraltro, conferma una situazione che era già stata riferita a TPI da Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri NursingUp.
Ancora più perentoria è la reazione di Francesca Cortellaro, primaria del Pronto Soccorso del San Paolo, che a Repubblica dice: “Siamo rimasti anche noi basiti per quella lettera. Era un documento interno che non avrebbe mai dovuto finire sulla stampa perché rischia di compromettere la fiducia dei cittadini verso la nostra azienda, in un momento in cui noi tutti stiamo lavorando al massimo delle nostre possibilità, curando tutti quelli che sono arrivati nel migliore dei modi possibile, stante la situazione di estrema emergenza in cui ci siamo trovati nelle scorse settimane, con la fila di ambulanze in coda fuori dal pronto soccorso. Alcune frasi della lettera non è che siano solo dannose per l’azienda, ma sono anche sbagliate e false verso i cittadini che abbiamo curato, che si fidano di noi. Abbiamo intubato chi andava intubato, anche qui in Pronto Soccorso, e dato il casco con l’ossigeno a chi aveva bisogno di quello. Non ci sono state scelte ‘eticamente difficili’: abbiamo fatto le scelte necessarie secondo coscienza. Qualcuno è migliorato, qualcuno non ce l’ha fatta, ma non perché gli siano state negate le cure. Non diciamo cose assurde”.
Ma come è possibile che ci siano versioni così diverse? Se la Dott.sa Cortellaro fa riferimento alla stanchezza, che potrebbe aver spinto alcuni specialisti a un passo del quale – a quanto afferma – taluni si sarebbero poi pentiti, Borghetti chiama in causa i vertici di Regione Lombardia: “Chi ha ragione? Chiediamo a Fontana e Gallera di fare subito le dovute verifiche e di intervenire. È comunque certo che quei medici hanno bisogno d’aiuto, così come tutti quelli in trincea negli altri ospedali dell’area metropolitana, e non vorremmo proprio che la Regione pensasse solo al reparto in Fiera”.
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