Augustine aveva 26 anni nel 2015, quando decise di lasciare la Nigeria per andare in Europa. Le elezioni nazionali erano appena state vinte da Muhammadu Buhari, ma durante la campagna elettorale Augustine si era schierato con il candidato della fazione opposta, il presidente uscente Goodluck Jonathan.
Per sostenerlo Augustine aveva rassegnato le dimissioni, e tanti altri come lui: se Jonathan avesse vinto di nuovo le elezioni, Augustine avrebbe avuto un posto nella sua amministrazione.
“Sfortunatamente per noi, abbiamo perso quelle elezioni”, racconta Augustine a TPI. La crisi economica in corso nel suo paese ha fatto il resto: nonostante avesse anni di carriera alle spalle come giornalista e conduttore radiofonico, a un certo punto Augustine si è reso conto che non avrebbe avuto alcuna possibilità di trovare un lavoro. Così ha deciso di partire: è andato in Niger e da lì in Algeria.
“Non è stata una bella esperienza”, racconta: all’inizio voleva raggiungere l’Europa, ma dopo essere partito ha capito che il rischio era troppo alto. “Non biasimo chi tenta di arrivare, ma per me rischiare la vita al 50 per cento non è un’opzione”.
Il ritorno in Nigeria
Così, dopo quattro mesi in Algeria dove ha insegnato inglese e svolto altri lavori, Augustine si è deciso di tornare nel suo paese. Durante il viaggio di ritorno è stato derubato dei suoi soldi e della sua videocamera e abbandonato nel deserto del Niger.
Lì ha scoperto per caso che esiste un centro di transito dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) ad Agadez. Così si è rivolto agli operatori del centro, che forniscono assistenza e supporto ai migranti in transito e sviluppa progetti per aiutarli a reintegrarsi nei loro paesi con i rimpatri volontari.
“Voglio creare una radio che aiuti chi sta pensando di partire, gli spieghi i rischi che corre e perché dovrebbe restare nel nostro paese”, aveva risposto Augustine agli operatori quando gli chiesero cosa volesse fare una volta tornato in Nigeria.
Nacque così Amebo Fm, una radio online che oggi coinvolge 21 persone, di cui 11 membri dello staff e altri volontari. Ogni giorno, 24 ore su 24, in radio parlano di migrazioni dalla loro sede di Abuja, cercando di informare e supportare chi sta decidendo di partire.
“Identifichiamo i fattori chiave della migrazione, che hanno a che fare con la disoccupazione”, ci spiega Augustine. “Ma non si può parlare di migrazione senza offrire una soluzione: per questo abbiamo avviato il progetto dell’empowerment. Con il gruppo Migrant Support li aiutiamo a non essere in condizione di dover partire per forza. Diamo anche suggerimenti alla gente che vuole a tutti i costi partire per raggiungere i propri sogni. Non tutti ad esempio sanno nuotare, vogliamo realizzare uno skill acquisition program che insegni loro le cose fondamentali”.
In radio Augustine invita anche le persone che sono tornate, per condividere la loro esperienza: “Il nostro scopo è far sì che prima di decidere se intraprendere il viaggio verso l’Europa, una persona possa fare domande. Cosa deve affrontare un migrante? È legale o illegale arrivare in Europa? Diamo loro consigli anche sugli enti a cui rivolgersi”.
Grazie a questo progetto gli ascoltatori hanno scoperto qual è lo scopo principale dell’Oim, che non è solo un’organizzazione umanitaria, ma che con i suoi progetti aiuta i migranti.
Per Augustine, le donne sono una priorità. “Una volta giunte in Italia rischiano di finire nella prostituzione, di contrarre malattie, e infine di cadere in depressione”, sostiene. “Se scopri di avere una malattia cronica e non hai i soldi per curarti finisci per sviluppare una depressione e per morire. Abbiamo testimonianze video di donne a cui sono stati promessi lavori e poi sono finite nella prostituzione. Questi filmati stanno diventando virali e fanno dire alla gente: ‘l’Italia non è un posto per me’”.
Augustine è sicuro che i risultati si vedano già. Il server della loro radio è andato fuori uso per le troppe visite, ma presto saranno di nuovo online.
“Molte persone sono andate al centro dell’Iom, fanno domande prima di andare, chiedono del visto”, racconta Augustine. “Scoprono che in Europa non c’è lavoro. Sì, si vive bene, ma non c’è lavoro. Meglio essere certi di avere un buon lavoro prima di andare”.
Per esempio, c’è Victor, che è tornato dal Regno Unito e in radio ha raccontato che ci sono medici nigeriani, avvocati nigeriani, ingegneri aeronautici, che a Londra vivono per strada. “Loro hanno ciò che serve per lavorare nel loro paese, allora perché non tornano indietro?”, chiede Augustine. “Questa testimonianza si è diffusa moltissimo, e la gente si stupiva. Sono stati fuorviati da quello che vedevano sui media”.
È vero, non sempre funziona. “A prescindere dal modo in cui provi a sensibilizzarle, ci sono comunque persone che non ti ascolteranno mai”, dice Augustine. “Ma il 95 per cento ti ascolta”.
I progetti dell’Oim
Con Augustine lavora anche Sofia, che viene da Benin City ed è la consulente sul tema delle migrazioni. Lei non ha un’esperienza diretta di cosa voglia dire migrare, ma indirettamente lo ha vissuto per via di alcuni conoscenti o parenti.
“Cerchiamo di sensibilizzare le persone spiegando loro che in Nigeria hanno la libertà, in Europa rischiano di essere deportati con la forza. Allora perché non stabilirsi qui con quello che abbiamo?”, spiega Sofia a TPI. “La Nigeria è un grande paese, ha tutte le risorse del suolo. Li incoraggiamo a restare, dobbiamo costruire insieme una nazione. E chissà, magari le prossime generazioni dell’Italia un giorno aspireranno a venire in Nigeria”.
Una volta che un migrante decide di partire, tuttavia, non è così semplice tornare indietro, accettando che tutti i sacrifici vissuti durante il viaggio siano stati vani.
“Quando diciamo loro che se si imbarcano sui barconi dalla Libia rischiano la vita rispondono che sono già morti, che se tornano a casa sono morti ugualmente. Non è questo quello che funziona”, ha detto a TPI Giuseppe Lo Prete, capo missione dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni in Niger.
“Quello che noi cerchiamo di dire è: ‘Sì, se vai ci sono dei rischi’. Ma diciamo anche: ‘Perché non rimani qui con noi e facciamo questo?’ Oppure: ‘Perché non ritorni indietro con noi e cominciamo con un progetto nel tuo villaggio?’. Sono progetti di gruppo, non singoli, noi li raggruppiamo per villaggi perché comunque vengono tutti dalle stesse zone”.
Tutto questo in Niger, uno dei principali paesi di transito dei migranti, esiste già da almeno tre anni, ma è cresciuto nel tempo. Adesso ci sono centri di assistenza e transito su tutto il territorio del paese.
“Sempre più migranti vengono per via della formazione che facciamo sul campo o perché non ce la fanno più a pagare i trafficanti”, dice Lo Prete. “Quando vengono nei centri ricevono un’assistenza totale, sostegno psicologico, possono mangiare e dormire. I nostri centri sono aperti, volontari, non come quelli della Libia. Sono gestiti direttamente da noi o dai nostri partner e da lì organizziamo un ritorno volontario con questi progetti di reintegrazione nei loro villaggi d’origine”.
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