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“Ci chiamano élite, ma non c’è nessuna guerra con il popolo”: Sandro Veronesi di Non siamo Pesci a TPI

Sandro Veronesi. Credit: Claudio Onorati/ANSA
Di Valerio Nicolosi
Pubblicato il 27 Gen. 2019 alle 18:28 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:27

Si chiama “Non siamo pesci” l’appello lanciato dallo scrittore Sandro Veronesi, insieme a Luigi Manconi, con cui chiede di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi del Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia.

“Al momento siamo a oltre 1.500 firme, tantissimi!”. Tra i firmatari diverse personalità del mondo della cultura e dello spettacolo: Andrea Camilleri e Roberto Benigni, Leonardo Pieraccioni e Antonio Albanese, Alessandro Baricco, Edoardo Nesi, Domenico Procacci, Paolo Virzì, Carlo Verdone. 

Gli aderenti all’appello si sono dati appuntamento lunedì 28 gennaio 2019 davanti a Montecitorio per una manifestazione “contro le stragi nel Mediterraneo”. Il promotore Sandro Veronesi spiega a TPI l’obiettivo dell’iniziativa.

Nei giorni scorsi, insieme a Luigi Manconi, avete lanciato l’appello “Non siamo pesci” con cui chiedete l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi in mare. Com’è stata la risposta?

Al momento siamo a oltre 1.500 firme, tantissimi! È una bella dimostrazione il fatto che il mondo della cultura (e non solo) abbia deciso di mettersi insieme per un tema così importate e sentito.
Per la prima volta, dopo anni, c’è qualcuno che si unisce.

Chi sono le persone che hanno aderito?

C’è praticamente tutto il mondo della cultura. Gli scrittori ci sono praticamente tutti, quelli che non ci sono è perché non abbiamo fatto in tempo a raggiungerli. Per il mondo del cinema e della musica, idem. Se oggi decidessero di farci fuori tutti, non ci sarebbero più libri, film, musica. La cosa bella che voglio sottolineare è che ci sono persone con idee e orientamenti politici diversi, perché questo è un tema che va oltre gli steccati. Tutti chiedono chiarezza al governo perché non è possibile che ogni volta ricomincia l’odissea per farli sbarcare, i Paesi si rimbalzano le persone e indicano sempre altri come colpevoli.

Spesso si accusa il mondo della cultura di essere distante dal “paese reale”, non credi possa essere il limite di questo appello?

Non credo ci sia una guerra tra il popolo e élite. Al nostro appello hanno risposto moltissime persone che non fanno parte del mondo della cultura. La discriminante non è tra la conoscenza, l’istruzione. Oggi c’è una parte del Paese che non è interessata o non ha strumenti per capire quello che sta avvenendo.

Il ruolo delle élite dovrebbe essere quello di aiutare e mettere in condizione queste persone di superare il proprio limite, invece li sfruttano a fini elettorali. Se pensi che i Protocolli di Sion siano veri o che la terra è piatta, puoi credere anche che Di Maio sia un leader credibile. Molti vedono solo il faccione del proprio capitano nelle dirette sui social ma non vedono il resto, quello che gli sta attorno.

Dopo la lettera che scrivesti a Roberto Saviano naque il collettivo “Corpi”, questa è la naturale prosecuzione di quella lettera?

Purtroppo si. È la continuazione perché purtroppo i problemi si ripresentano da capo, uguali a se stessi. Non è cambiato nulla da luglio ad oggi e con questi interlocutori, si riparte sempre da zero. Quella lettera ci ha aiutato ad unire un primo gruppo di persone, a ragionare insieme e a non essere soli. È diverso agire da soli o in gruppo. Il pensiero di uno vale uno, ma il pensiero di un gruppo di più.

Tutti insieme, come soggetto plurale, siamo riusciti a mobilitare tantissime persone su un tema che non può dividere. Quello che hanno fatto a Castelnuovo di Porto è orribile ma non è la stessa cosa: in mare o si soccorre o le persone muoiono. Quindi la nostra richiesta è di fare chiarezza sulle stragi in mare, perché quando dicono che ci sono stati solo 1800 morti – e per me è una strage – come possono essere “solo”? Stessa cosa se fossero stati 800, 600 e così via. Visto che non credono ai reportage dei giornalisti, mandiamo i nostri parlamentari direttamente in Libia a capire chi finanziamo.

Rispetto al passato, negli ultimi 30 anni gli intellettuali sono stati poco presenti nella scena politica italiana. Pensi che questo momento sia l’inizio di una nuova fase?

Gli intellettuali si schierano quando la situazione è eccezionale, quando ce n’è bisogno. Lo scrittore, il musicista e tutti gli altri scrivono per passione… figuriamoci se non vogliono farlo e vogliono dedicarsi alla politica. Io stesso vorrei dedicarmi al mio prossimo libro, ma sono uno che non dorme la notte perché penso a quello che sta avvenendo là fuori, alle persone che muoiono.

Io mi sto impegnando per tornare a scrivere il mio romanzetto. In passato, in particolare durante il fascismo, gli intellettuali hanno pagato un prezzo molto alto ma lo hanno fatto perché ce n’era bisogno. Con questo non voglio dire che non c’era bisogno di impegnarsi quando Berlusconi era al governo, dico che le condizioni erano differenti. Il popolo non stava soffrendo nessuna crisi, quindi ascoltava meno volentieri gli intellettuali. Qualcuno di quella situazione ne ha fatto un business, ad esempio Travaglio, però ripeto, la situazione era differente.

Qual era questa differenza?

Quella era una destra borghese ma democratica. Oggi firmerei con il sangue per avere una destra democratica, perché chi governa ora non lo è. A molti è suonato lo stesso campanello d’allarme e per questo ci stiamo impegnando in tanti e in prima persona. Storicamente la destra è stata dalla parte della borghesia, quando voleva occuparsi dei poveri ha fatto disastri che ancora ricordiamo. Questi dicono di volersi occupare dei poveri ma in realtà sparano solo cazzate. La scorsa estate Salvini disse che voleva introdurre il modello australiano per fermare i migranti, ne hai più sentito parlare? In questi giorni parlano del Franco Coloniale e tra poco sarà altro. Fanno solo campagna elettorale ma così rischiano di fare grandi danni.

I social media hanno aiutato questo fenomeno diminuendo la distanza tra popolo e politica?

Il popolo è chi il popolo fa. Non sei il popolo se insulti qualcuno con una chiocciolina (Twitter, ndr). I popoli hanno ucciso i re, non insultato su Twitter. I social media hanno creato una modalità diversa di fare politica, di interagire. Ma non hanno soppiantato quella tradizionale. Ha riempito uno spazio che non c’era ma che in realtà non c’è tutt’ora. È virtuale, non reale. Una sola persona può avere 100 account dai quali può scrivere quello che vuole, può essere democrazia? I social media esistono solamente per rubare i dati e utilizzarli in maniera scientifica, non solo per venderci i prodotti ma per classificarci. Il caso di Cambridge Analytica è emblematico.

Come pensi possa cambiare la situazione?

Con l’istruzione e gli strumenti di conoscenza. Io mando i miei figli a scuola e all’università non perché un giorno siano ricchi, ma perché abbiano gli strumenti per comprendere la società e non credere a tutto quello che dicono i politici e chi fa propaganda.

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