Sono ormai più di due settimane che la Sea Watch 3, battente bandiera olandese e la Professor Albrecht Penck, l’imbarcazione della Sea Eye, battente bandiera tedesca, navigano confusamente in cerca di un approdo sicuro (qui tutti gli aggiornamenti sul caso).
A bordo della prima, 32 migranti, 17 sulla seconda. Entrambe hanno ottenuto da Malta il permesso di entrare nelle acque territoriali del Paese, senza possibilità di attracco, per ripararsi. Le scorte d’acqua e di cibo stanno per finire, e la disidratazione per alcune persone comincia a mostrare i suoi nefasti effetti, sommandosi alla costante minaccia di ipotermia, a causa del mare in tempesta e delle cattive condizioni meteorologiche. Tutto questo, per una persona indebolita e malnutrita, potrebbe essere fatale.
Nonostante gli appelli di un gruppo di sindaci italiani, il ministro dell’interno Matteo Salvini comunica, attraverso i suoi canali social, che i porti rimarranno chiusi: nessuna possibilità di attracco. Si moltiplicano gli appelli al governo affinché si crei una condizione di sicurezza per le persone a bordo delle due imbarcazioni, da Save The Children all’Unhcr il messaggio è lo stesso: fateli scendere.
Il diniego però non arriva solo dall’irremovibile governo Conte, a trazione populista. Nemmeno la sinistra al potere di Tsipras in Grecia o quella di Sanchez in Spagna hanno concesso lo sbarco dei migranti, dimostrando di possedere una visione della questione non dissimile da quella dei governi di destra di mezza Europa. Flebile arriva anche la voce delle numerose opposizioni parlamentari del continente.
La sinistra europea è morta nel Mediterraneo. Lì dove, dallo scoppio delle primavere arabe nel 2011, non ha saputo cogliere la portata del momento storico e riflettere sulle sue possibili conseguenze. Lì dove non si è saputa fare carico di un’ecatombe, voltandosi dall’altra parte e lasciando lo spazio alle soluzioni proposte dalla destra, dai populisti e dai fautori del respingimento aprioristico.
Nella confusione generale dovuta allo shock post- traumatico della vittoria degli anti-élitaristi sul continente, la sinistra europea non è stata in grado di affrontare quella che forse più di tutte rappresenta la sfida del nostro tempo, dimostrando reticenza e disorientamento, rincorrendo gli avversari politici sullo stesso terreno di gioco, anziché scuotere le masse alla consapevolezza che lì in quel mare, non è in gioco solo la vita di 49 persone, ma di tutta l’Europa, faticosamente costruita fino a qui.
La vicenda delle due imbarcazioni in attesa di conoscere il loro destino ricorda per le rime storiche quella del transatlantico tedesco St. Louis che, partito da Amburgo nel 1939 con 936 rifugiati ebrei a bordo, venne rifiutato dapprima da Cuba, poi dagli Stati Uniti e infine dal Canada, dal quale dovette far rotta per tornare in Europa. Al tempo, ai rifugiati non venne consentito lo sbarco per via dell’eccedenza delle quote sull’immigrazione – una legge americana risalente al 1924 – e il comandante della nave Gustav Schröder pensò addirittura di incagliare la nave sulle coste britanniche per costringere il governo inglese ad accettare il carico di dannati, che il mondo intero stava rifiutando.
Ottant’anni dopo, i governi e i partiti di opposizione progressisti europei, dopo anni di fallimentari tentativi, non sono ancora riusciti a concretizzare in un’azione politica efficace la loro visione a lungo termine sulla questione.
A parte gli appelli di qualche sparuto gruppo di sindaci, la sinistra europea, smarrita e disorganizzata, non è ancora stata all’altezza di ritrovare il coraggio – ingrediente fondamentale per la più basilare delle battaglie politiche – per comprendere che lì, in mezzo al Mediterraneo, stia galleggiando l’opportunità storica della sua rinascita, del suo ritorno, e del suo stesso senso di essere.
La decisione di rincorrere i populismi di destra o di non esporsi, non prendendo nessuna posizione di netto contrasto alle politiche migratorie dei governi europei, ad esempio potenziando i progetti legati allo sviluppo dei canali legali di immigrazione, come i corridoi umanitari nasconde il timore, profondissimo, della perdita di un numero imprecisato di consensi.
Così, invece che farsi interpreti e tradurre i bisogni di una società, la maggior parte dei partiti di sinistra europei si ritrovano ad inseguire gli istinti e le pulsioni dei loro avversari, in un gioco di attrazione magnetica che in vista delle elezioni europee, nel maggio di quest’anno, potrebbe essere determinante.
In Europa salvare 49 persone in condizioni di salute precaria, a largo del Mediterraneo sembra sia diventata una pratica insostenibile ed è facile immaginare quanto l’appuntamento elettorale del prossimo maggio rappresenti una spada di Damocle per ogni passo falso dei movimenti o dei governi di sinistra che aspettino una riconferma alle urne.
La questione, però, di questo passo, non si porrà definitivamente: l’immobilismo, l’inattività, l’incompetenza e le responsabilità sono tutti sinonimi di un vocabolario politico che Le Pen, Orban, Kurz, Salvini, Wilders utilizzeranno per totalizzare un numero altissimo di consensi.
Il Mediterraneo diventa un luogo simbolico, di umanità e di solidarietà in primis, ma anche di riscatto e di rivincita per tutti quei governi e opposizioni che non vorranno in futuro essere costretti all’insignificanza o all’invisibilità. Diventa un banco di prova anche per la tenuta stessa dell’Unione europea, gigante economica e strumento di pacificazione di un intero continente, insidiata da scettici e avversari, ma che si sta dimostrando incapace di affrontare il destino di 49 persone.