Migranti torture Libia | Rapporto Onu
“Eravamo 700-800 persone in un grande hangar. Sparavano nelle gambe dei migranti che non potevano pagare e li lasciavano morire dissanguati. Mio figlio, che all’epoca aveva cinque anni, è stato colpito in testa con una grande sbarra di ferro per convincerci a pagare velocemente. Ho visto morire molte persone in quel posto a causa delle botte e della fame. C’era un ragazzo somalo ridotto pelle e ossa. Non riusciva nemmeno a stare in piedi e nonostante ciò i trafficanti hanno continuato a picchiarlo. Alla fine è morto. Ancora oggi, quando chiudo gli occhi, la sua faccia mi perseguita”.
Questa è una delle testimonianze raccolte nel nuovo rapporto stilato dalla Missione di supporto dell’Onu in Libia (Unsmil) e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr).
Il documento è basato sulla testimonianza di 1.300 persone intervistate tra il gennaio del 2017 e l’agosto del 2018 sulle condizioni di vita nei centri di detenzione per migranti in Libia.
Il paese, spaccato in due dopo l’inizio del conflitto nel 2011, è teatro di atrocità e abusi “commessi dai funzionari pubblici, dai miliziani che fanno parte di gruppi armati e dai trafficanti”.
Unsmil e Ohchr avevano già pubblicato un rapporto nel 2016 sulle violenze nel paese nordafricano, ma – denunciano – “le autorità libiche sono state incapaci o non hanno voluto mettere fine alle violenze”.
“Le milizie sono state ampiamente integrate nelle istituzioni, anche se dopo l’esplosione delle violenze a Tripoli nel settembre del 2018 il governo di unità nazionale aveva promesso di agire per diminuire l’influenza di questi gruppi”, si legge nelle sessanta pagine di rapporto.
I migranti intervistati hanno raccontato le terribili condizioni di vita nei lager libici e le atrocità cui sono stati sottoposti, inclusi stupri, omicidi e torture in diretta telefonica a scopo di estorsione.
“La maggior parte di queste persone”, si legge nel report, “vengono imprigionate arbitrariamente, senza mai essere sottoposte a un regolare processo”.
“Reclusione arbitraria, percosse, bruciature con ferri caldi, torture con cavi elettrici, molestie e violenze sessuali, con l’obiettivo di estorcere soldi alle famiglie attraverso un sistema complesso di money transfer. Spesso alcuni di loro sono venduti e comprati da diversi gruppi criminali e gli viene chiesto di pagare dei riscatti prima di essere portati sulla costa per provare a fare la traversata. Le donne e le ragazze hanno raccontato all’Unsmil di aver subìto violenze di gruppo o di aver assistito alla violenze subite da altre”, si legge nel documento.
Frequenti sono anche le esecuzioni sommarie. Non è raro in Libia trovare cadaveri senza nome con segni di tortura o ferite da arma da fuoco dentro ai cumuli dell’immondizia o nel letto prosciugato di qualche fiume, nel deserto o nei campi.