La questione dell’immigrazione e della chiusura più o meno accentuata delle frontiere non riguarda solo l’Occidente ma diversi paesi del mondo, compreso un sultanato arabo, l’Oman, che quest’anno ha adottato una politica sempre più restrittiva nei confronti dei migranti.
Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è impegnato da mesi in una campagna volta a limitare gli ingressi nel paese e in Europa cresce il consenso ai movimenti sovranisti, anche la 72esima economia del mondo ha deciso di chiudere le frontiere allo scopo di dare lavoro ai residenti locali.
In termini di Pil pro-capite, l’Oman risulta più sviluppato di paesi europei come la Slovacchia e la Croazia, che in termini numerici presentano una popolazione comparabile a quella del sultanato arabo. Tuttavia, nonostante la ricchezza nominale pro-capite e l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite siano paragonabili alle più piccole economie europee, lo scorso anno il tasso di disoccupazione ha raggiunto in Oman il 16% su una popolazione di poco più di 4,64 milioni di abitanti e una forza lavoro di 2,54 milioni di persone. Nello stesso 2017, il paese arabo ospitava oltre 2,07 milioni di migranti, pari al 45% della popolazione e a oltre l’81% della forza lavoro omanita.
A gennaio, il governo di Mascate ha però deciso di incentivare l’assunzione di cittadini del paese, inasprendo una politica adottata da oltre 30 anni e nota in arabo come “al-Tamin”, letteralmente “omanizzazione”. Questo programma mira a sostituire i lavoratori stranieri con personale omanita qualificato. L’obiettivo di questa politica, voluta nel 1988 dal sultano Qaboos bin Said Al Said, è proprio quello di concedere ai lavoratori migranti una partecipazione nell’economia del sultanato in quei settori in cui la popolazione locale non risulta abbastanza qualificata. Quest’anno però, il governo dell’Oman ha deciso non solo di rivedere le quote di assunzione per gli stranieri, ma di chiudere direttamente la frontiera a determinati tipi di lavoratori migranti.
Nata come un’iniziativa per istituire un sistema di incentivi e agevolazioni che garantisse nuove opportunità ai cittadini del paese nel settore privato, la nuova politica si è infatti trasformata in una strategia generale sull’immigrazione, che prevede il divieto di rilascio di visti di ingresso ai lavoratori migranti impiegati in certi ambiti dell’economia. Il bando, inizialmente in vigore per sei mesi, è stato esteso prima a luglio e poi ancora a novembre e ha visto un ampliamento non solo della durata ma anche dei settori di applicazione.
Secondo il ministero della Manodopera dell’Oman, a ogni “datore di lavoro è vietato assumere dipendenti non-omaniti se questi non hanno ottenuto un permesso” dal governo. La legge sul lavoro in vigore nel sultanato prevede che “la concessione di tale permesso è soggetta alle seguenti condizioni: che non ci sia tra gli omaniti la forza lavoro sufficiente per il posto di lavoro offerto; che il datore di lavoro rispetti le percentuali prescritte dal programma di omanizzazione; e che paghi determinate tasse”.
Il decreto dello stesso ministero n. 38/2018, adottato il 28 gennaio, prevede il blocco delle assunzioni di lavoratori stranieri in 87 professioni e mestieri. Tra queste figurano esperti di sicurezza informatica, designer, tecnici specializzati, impiegati di banche e società finanziarie di basso livello, contabili, agenti di assicurazione, agenti pubblicitari, infermieri, controllori del traffico aereo, architetti e ingegneri. A novembre, il governo ha deciso non solo di estendere di altri sei mesi il divieto ma, con il decreto ministeriale n. 487/2018, dal 1 dicembre i datori di lavoro del paese non potranno più assumere lavoratori stranieri nemmeno come agenti di commercio e responsabili vendite o acquisti.
Ma quali effetti ha avuto sul paese questa politica? Secondo l’ufficio di statistica del sultanato, il numero di lavoratori migranti è sceso a ottobre a poco più di 1 milione e 798mila persone, con un calo di oltre 200mila unità in dieci mesi.
Secondo le ultime statistiche del ministero della Funzione Pubblica dell’Oman, alla luce degli obiettivi stabiliti, il risultato di queste politiche funziona, almeno nel settore pubblico. A ottobre, più del 70% di tutti gli enti governativi presentava un “tasso di omanizzazione” del 99%, rispetto al 44% delle istituzioni registrato cinque anni fa. Le cifre riportano che solo 133 lavoratori stranieri sono impiegati in 28 organismi governativi, compresi ministeri, autorità pubbliche e consigli locali, a fronte di un totale di 39 istituzioni pubbliche presenti nel sultanato. Il ministero del Turismo, il Museo Nazionale, il Centro Nazionale di Statistica e Informazione, il Consiglio Supremo per la Pianificazione, l’Autorità pubblica per lo sviluppo delle PMI e il Governatorato di Mascate sono tra le 11 organizzazioni governative che non impiegano nemmeno un cittadino straniero. Il ministero della Salute invece è quello che presenta il maggior numero di dipendenti stranieri, pari al 30,7% del totale dei lavoratori impiegati, seguito dal ministero della Manodopera, dove il 13,9% dei dipendenti non è omanita, e dal ministero della Pubblica Istruzione con l’11,7% di stranieri assunti.
Tuttavia, i risultati sono ben diversi nel privato. Secondo una nota pubblicata nel fine settimana dallo sceicco Abdullah bin Nasser Al Bakri, ministro della Manodopera del sultanato, il “tasso di omanizzazione” del settore privato è pari all’11,7%, sebbene sia in crescita rispetto all’8,6% dell’anno precedente. Secondo il ministro, sono 228.070 i cittadini del paese impiegati nel settore privato, pari al 14% della forza lavoro totale. Al-Bakri ha attribuito lo squilibrio nel “tasso di omanizzazione” tra il settore pubblico e quello privato nella maggiore “sicurezza” che i cittadini del paese arabo attribuiscono agli incarichi governativi rispetto a quelli offerti dalle altre imprese. “I numeri mostrano che i posti di lavoro per gli omaniti ci sono, tuttavia, coloro che cercano lavoro, dovrebbero cogliere le opportunità quando sono disponibili”.
Diversi uomini d’affari del paese arabo temono che questa politica possa scoraggiare gli investimenti esteri in Oman. “Speravamo che il divieto di visto per questi lavori sarebbe stato adottato per un periodo limitato, ma la decisione va esattamente nella direzione opposta e questo non attrarrà gli imprenditori ad avviare imprese in questi settori”, ha detto al quotidiano locale The Times of Oman il direttore della Camera di commercio e dell’industria del Governatorato di Al Dhairah, Saif Al Badi.
A differenza di altri casi registrati in tutto il mondo, la preferenza del settore privato omanita per i dipendenti stranieri non è legata a una diminuzione dei costi. Durante il suo intervento della scorsa settimana al Consiglio della Shura del paese, il ministro della Manodopera del sultanato ha confermato la pratica, definita “illegale”, di offrire agli omaniti retribuzioni inferiori rispetto ai dipendenti stranieri. Questa situazione è legata alla differenza di competenze tra i lavoratori del paese e gli stranieri. La maggior parte dei lavoratori omaniti impiegati nel privato non sono particolarmente qualificati. Il ministro ha infatti rivelato che solo 16.856 dipendenti omaniti del settore privato possiedono un titolo equivalente alla laurea, mentre 15.622 sono diplomati superiori, su oltre 228mila. Rispondendo a una domanda al Consiglio della Shura sulla mancanza di omaniti in posizioni di rilievo nel settore privato, Al-Bakri ha detto che “è responsabilità dei proprietari dell’azienda e dei nostri figli (i cittadini dell’Oman) di mettersi alla prova nel mercato competitivo”. “E’ una sfida”, ha detto il ministro, che ha annunciato una nuova legge sul lavoro “nel prossimo futuro”. Secondo Al-Bakri, “la nuova legge è in fase avanzata”. “Mi aspetto che venga approvata presto”, ha detto il ministro, senza però annunciare quali novità preveda. Ad ogni modo, secondo Al-Bakri, “metà degli amministratori delegati nel settore privato dell’Oman sono cittadini. “Se ne contano infatti 175 su 309”.
Al di là della diminuzione dei lavoratori migranti presenti nel paese arabo, non sono ancora disponibili i dati sulla disoccupazione, la cui impennata nel 2017 ha giustificato la nuova politica migratoria. Un’altra criticità circa le motivazioni del governo di Mascate riguarda i giovani. Nonostante l’alto tasso di disoccupazione generale registrato lo scorso anno nel sultanato, nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione giovanile era pari all’8%, la metà del dato complessivo, in un paese in cui il 46,7% degli abitanti ha un’età compresa tra 18 e 29 anni.
La nuova politica del governo omanita vede comunque un’applicazione simile in diversi altri paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), come l’Arabia Saudita e il Kuwait. Secondo Balram Manji, un consulente per le risorse umane di una società privata in Oman, le nuove regole sono in linea con la crescente tendenza alla chiusura del mercato del lavoro agli stranieri, diffusasi ormai in tutto il mondo. “E’ molto simile a quello che gli Stati Uniti e molte nazioni europee stanno facendo in termini di priorità per il proprio popolo”, ha detto Manji al portale Arab News. “In America, prima che il Bureau of Immigration proceda con l’emissione del visto, chiedono sempre alla società in questione se c’è un americano che possa essere assunto al posto dello straniero”.
Questa nuova politica ha effetti in particolare sui cittadini provenienti dal subcontinente indiano. Nel 2017 infatti quasi 1 milione e 700mila lavoratori stranieri presenti in Oman su oltre 2,07 milioni proveniva da India, Bangladesh e Pakistan, di cui quasi 1 milione e 202mila indiani. L’ultimo anno ha così visto un aumento dell’immigrazione irregolare nel paese arabo, proveniente proprio dal subcontinente indiano. Soltanto ieri, la Guardia Costiera dell’Oman ha soccorso un’imbarcazione con 10 migranti irregolari nel Golfo persico, nel nord del paese. Nell’ultimo mese, le autorità di Mascate hanno arrestato 361 lavoratori migranti ed espulso 458 immigrati irregolari.
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