Si intravede attraverso le vetrine di Via Paolo Sarpi a Milano, o dietro ai banconi dei ristoranti di Venezia creati da rifugiati, nel libro paga delle aziende lanciate da chi è arrivato da immigrato e ha dato vita a una piccola impresa: forse, dopo quello americano e quello cinese, esiste anche un sogno italiano.
Ma l’immigrazione economica porta benefici anche al paese che accoglie, e a sfatare quello che da tanti è visto meramente come un approccio buonista, ci pensano i dati: una diminuzione dell’immigrazione economica, corrisponderebbe a una perdita consistente dell’economia italiana.
La Fondazione Moressa nel suo ultimo rapporto sull’economia dell’immigrazione ha raccolto i numeri relativi all’anno 2018. Stando al documento, negli ultimi dieci anni il flusso dell’immigrazione ha subito un cambiamento: i permessi di soggiorno sono diminuiti sensibilmente, ma il dato più allarmante è soprattutto il drastico taglio dei permessi di soggiorno per lavoro, crollati del 96 per cento rispetto al 2009. A livello europeo l’Italia si posiziona al quattordicesimo posto per numero di permessi di lavoro rilasciati agli immigrati.
Sempre secondo i dati raccolti dalla Fondazione Moressa, se la riduzione dei flussi migratori continuasse a questo regime, nel 2040 ci sarebbero 35 miliardi di euro di prestazioni in meno da destinare agli immigrati, ma allo stesso tempo si registrerebbero anche 73 miliardi di euro in meno di entrate contributive. Di conseguenza, il saldo finale sarebbe in negativo, con una perdita di 38 miliardi di euro.
Cambiamenti e conseguenze dei flussi di immigrazione economica
Su 7.900 comuni, solo 400 non contano sul loro territorio aziende guidate da imprenditori stranieri: i datori di lavoro in Italia nati all’estero so 708 mila e 949 e corrispondono al 9,4 per cento del totale. Un chiaro segno che l’imprenditoria straniera è parte integrante della rete produttiva del Paese.
I settori nei quali si registra il maggior numero di imprenditori stranieri è quello dell’edilizia (il 15 per cento del totale), seguito da commercio, ristorazione, manifattura e per ultimo l’agricoltura.
Nel corso degli ultimi 10 anni, dal 2008 al 2018, il numero degli impresari italiani è diminuito del 10 per cento, contro a una crescita del 41 per cento degli imprenditori nati all’estero.
Il contributo economico dell’immigrazione all’Italia corrisponde al 9 per cento del Pil nazionale, per un complessivo di 139 miliardi di euro. Se si presta attenzione al dato relativo al ruolo ricoperto all’interno dell’azienda dagli stranieri, il dato è meno confortante. La maggior parte di questi infatti svolge prettamente professioni non qualificate, ma che hanno comunque un peso sul paese sia a livello economico che contributivo.
I numeri degli immigrati economici per lavoro in Italia:
L’identikit della popolazione straniera in Italia è giovane: l’età media dei nati all’estero è 34 anni, contro quella locale, che è 45,7 e la maggior parte di loro sono arrivati da oltre dieci anni.
Sono 5 milioni 255 mila e 503 gli immigrati regolari presenti sul territorio, e corrispondono all’ 8,7 per cento della popolazione italiana. Le comunità più numerose sono quella rumena, che costituisce il 23 per cento del totale, quella albanese.
I dati dell’occupazione straniera in Italia:
Se gli immigrati occupati in Italia corrispondono circa al 10 per cento degli impiegati a livello nazionale, è degno di nota che le professioni svolte da immigrati e da italiani sono complementari. La maggior parte degli immigrati stranieri (il 33 per cento) infatti svolge lavori poco qualificati, mentre le professioni più qualificate sono svolte prettamente da italiani (39 per cento).
Sempre secondo i dati della Fondazione Moressa, gli stranieri costituiscono il 68 per cento dei domestici, il 56 per cento dei badanti, il 40 per cento dei venditori ambulanti e il 32 per cento dei braccianti agricoli.
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