Alcuni Comuni italiani hanno trovato un modo per aggirare il decreto Sicurezza senza infrangere la legge.
A differenza delle iniziative prese dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e dai presidenti delle Regioni di Toscana, Umbria, Marche, Piemonte ed Emilia-Romagna, non si tratta di disobbedienza civile ma di una “modalità creativa” di recepimento del provvedimento voluto dal ministro dell’Interno.
Al centro della questione vi è l’impossibilità di iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo con permesso di soggiorno umanitario e la conseguente perdita di diversi diritti fondamentali come l’accesso all’assistenza sanitaria, la ricerca di un lavoro o l’apertura di un semplice conto corrente.
I sindaci di Jesi, in provincia di Ancona, e di Mugnano di Napoli hanno però trovato un modo per aggirare il problema senza andare contro la legge. Il primo cittadino di Jesi ha spiegato ad Avvenire che il decreto Sicurezza non vieta l’iscrizione in linea generale, “ma non riconosce il permesso di soggiorno come titolo valido per la registrazione”.
Il Testo unico sull’immigrazione invece ammette che dopo tre mesi di dimora abituale il Comune sia obbligato a riconoscere l’iscrizione all’anagrafe. Il migrante quindi può fare affidamento sul sistema di accoglienza del Comune per i primi tre mesi in Italia, a seguito dei quali può essere iscritto nell’anagrafe temporaneo, potendo così usufruire dei relativi diritti, sulla base del Testo unico sull’immigrazione.
Così facendo, il comportamento dei sindaci non viola la legge ma anzi sfrutta un altro provvedimento in vigore, aggirando così l’articolo 13 del decreto Sicurezza.
La norma in discussione stabilisce che il permesso di soggiorno per la richiesta di asilo non è sufficiente l’iscrizione anagrafica, ma il Testo Unico immigrazione equipara ogni straniero regolarmente soggiornante al cittadino italiano. Dopo tre mesi quindi il Comune può procedere alla registrazione all’anagrafe dei migranti.
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