“Quando avevo 11 anni mio padre scrisse in una lettera a un suo amico: ‘mia figlia è una Turner’. Gli chiesi: papà, che significa Turner? E lui mi rispose: ‘Sei tu’. Per me è stato un colpo al cuore”. Emanuela ha 39 anni e da quando è nata convive con una malattia genetica rara che colpisce solo le donne, chiamata sindrome di Turner o sindrome di Ullrich-Turner.
“Ho sempre saputo che c’era qualcosa che non andava perché dovevo fare dei controlli periodici, ma fino a quel momento non le avevo ancora dato un nome. Solo in età adulta, tuttavia, ho capito cosa comportasse vivere con la mia sindrome”, racconta Emanuela in un’intervista a TPI.
Sindrome di Turner | Testimonianza: la storia di Emanuela
La sindrome di Turner è una malattia cromosomica associata alla mancanza totale o parziale del cromosoma X. Mentre la maggior parte delle persone hanno 46 cromosomi nel loro cariotipo, le persone con la sindrome solitamente ne hanno 45.
Se l’anomalia cromosomica riguarda non tutte le cellule, ma solo alcune, si parla di sindrome di Turner con “mosaicismo”. A seconda della percentuale di cellule che presentano l’anomalia rispetto al totale, la sindrome può essere più o meno lieve.
La diagnosi oggi si ottiene facilmente con l’amniocentesi, che consente una valutazione del cariotipo, cioè dell’assetto cromosomico del feto, da cui si riscontra l’eventuale presenza di anomalie.
Nel 1980, l’anno in cui Emanuela è nata, la diagnosi prenatale tuttavia non era molto diffusa. Così solo quando aveva 8 anni la sua famiglia è riuscita ad arrivare a una diagnosi definitiva.
“Sono nata a Palermo e mia madre ha avuto una gravidanza normalissima”, racconta Emanuela, “nulla faceva pensare a dei problemi, tranne il fatto che il battito del mio cuore era più veloce del normale. Dissero che questa cosa doveva essere controllata alla nascita”.
Dopo la nascita, tuttavia, Emanuela racconta di aver contratto un’infezione alle vie respiratorie che stava diventando un virus meningeo. “Mi hanno presa in tempo, sono guarita dopo alcuni mesi”, dice. “Ma da quel momento in poi è stato un susseguirsi di acciacchi che non avevano spiegazione: il cuore che andava troppo veloce, quindi non potevo fare nessuna attività fisica, poi sono sopraggiunte le intolleranze alimentari”.
“Mia madre sapeva che c’era qualcosa che non andava, ma nessuno capiva cosa. A un certo punto lei ha ascoltato un programma alla radio in cui si parlava di sindrome di Turner: coincideva esattamente con quello che avevo io. Così lei collegò tutto, anche il fatto che io non ero più sviluppata, avevo una testa grossa ma non crescevo di altezza”, dice Emanuela a TPI.
Sua madre, racconta, dovette insistere molto per ottenere una mappa cromosomica. “A Palermo l’hanno presa per pazza, ma al terzo rifiuto ha minacciato di andarla a fare da un’altra parte. Alla fine l’hanno fatta, ma l’ablazione era talmente piccola che non la trovavano. Dopo un anno e mezzo, in Svizzera, è arrivata la diagnosi definitiva, a Berna. Avevo 8 anni”.
Sindrome di Turner: sintomi e diagnosi
A parte la diagnosi prenatale, la sindrome di Turner può essere riscontrata in età infantile o addirittura adolescenziale, a seconda dei sintomi che si riscontrano nel caso specifico, come spiega a TPI il dottor Marco Cappa, responsabile del reparto di Endocrinologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
“Alla nascita la bambina può avere, nelle forme più importanti, il linfedema, cioè manine e piedini gonfi, può avere il cosidetto pterigium colli cioè delle pliche cutanee laterali nel collo, o il pectus excavatum cioè lo sterno rivolto verso l’interno”, spiega il dott. Cappa. “Sono tutte caratteristiche che permettono al neonatologo di sospettare la sindrome di Turner”.
Alcune bambine con la sindrome di Turner hanno un fenotipo poco evidente, cioè caratteristiche così poco visibili che solo un occhio esperto se ne può accorgere, come il cubito valgo, la brevità del quarto metacarpo, l’attaccatura posteriore dei capelli a tridente. “Sono tutte cose estremamente specifiche che sono parte del bagaglio culturale dell’endocrinologo pediatra esperto”, spiega il dottor Cappa.
Queste più sfumate in genere vengono diagnosticate tra i 2 e i 4 anni di età della bambina. “In questi casi il sospetto è legato soprattutto al fatto che le bambine crescono di meno a livello di statura. Se c’è una bambina di 3 anni che non cresce e sono state escluse altre possibili cause bisogna necessariamente pensare alla sindrome di Turner. In quel caso è necessario richiedere il cariotipo”, prosegue il medico. “La diagnosi arriva invece in età adolescenziale se le bambine non sviluppano completamente la pubertà”.
L’incidenza della sindrome di Turner è di una bambina ogni 2.500 nate vive, non è quindi così rara come si pensa.
Sindrome di Turner: cura
Dopo la diagnosi, Emanuela ha iniziato una cura con l’ormone della crescita (o GH), che le ha consentito di crescere di diversi centimetri in più.
“Come una pianta ha bisogno di acqua per crescere, il mio corpo aveva bisogno di quell’ormone”, spiega. “Mi dava anche un tono muscolare, quindi i problemi cardiaci erano più sotto controllo”.
“I miei genitori sono alti entrambi un metro e 50”, prosegue Emanuela, “al liceo io sono arrivata più meno a un metro e 43, anche grazie alle cure”.
Nei casi di sindrome di Turner, l’ormone della crescita è la terapia per eccellenza. “Se trattate precocemente, intorno ai 3-4 anni, le bambine riescono a recuperare in media sette centimetri e a volte anche di più, rispetto al non trattamento”, spiega il dottor Cappa. “Il trattamento determina quindi un miglioramento significativo della statura finale. Se la diagnosi viene fatta più tardivamente, è ovvio che il guadagno sarà minore. Più precoce è la terapia e più l’effetto è positivo”.
La statura finale in media per le bambine italiane di Turner non trattata è un metro e 43 centimetri, spiega il medico, mentre la statura finale con la terapia iniziata intorno ai tre anni può arrivare a un metro e cinquanta, che viene considerata nella norma per la popolazione italiana.
Un’altra questione da monitorare nelle pazienti con sindrome di Turner è quella del ciclo mestruale.
“Esiste la terapia per la pubertà, quindi gli estrogeni che permettono alle bambine di avere un normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come il seno e la peluria. Permettono anche lo sviluppo regolare dell’utero e la possibilità di avere regolarmente il ciclo mestruale”, spiega il dottor Cappa.
Esistono varie “sfumature” della sindrome di Turner, determinate dalla mancanza totale o parziale del cromosoma X.
“Le bambine che hanno una sindrome di Turner ‘completa’ hanno una bassa fertilità, legata all’anomalia delle ovaie, che sono definite streak o ‘a banderella’”, spiega lo specialista. “Esistono pure una serie di bambine con sindrome di Turner che possono avere normale sviluppo puberale e normale ciclo mestruale”.
È questo ad esempio il caso di Emanuela, che racconta di aver avuto le sue prime mestruazioni al compleanno dei suoi 14 anni. “C’è stata un’emozione speciale”, dice. “Non se lo aspettava nessuno, perché non è detto che ci sia un ciclo biologico normale nel caso della sindrome”.
Le donne con sindrome di Turner possono avere delle gravidanze (nelle forme più gravi succede intorno al 2-3 per cento dei casi). Il problema, come spiega il dottor Cappa, è che c’è una facile esauribilità del numero di ovociti.
“Di solito abbiamo una menopausa precoce”, dice Emanuela, “Intorno ai 30 anni per me sono arrivati i primi segni della menopausa, che ho voluto contrastare. Nel mio caso era andata in cortocircuito la tiroide, e questo provoca purtroppo anche il sovrappeso”.
Emanuela alcuni anni fa si è trasferita a Roma. Si è sposata ma non ha figli, né li desidera. “Io sto bene così con mio marito, ma penso che le donne con la sindrome di Turner abbiano il diritto, se lo vogliano, di poter essere madri”.
Gli episodi di bullismo
Alcuni anni fa, Emanuela ha deciso di parlare pubblicamente della sua situazione, aprendo una pagina sui social che si chiama “La ragazza con la sindrome di Turner”, che le ha consentito di parlare con altre persone o famiglie che vivono questa condizione.
“Per anni ho vissuto nascondendomi, per una questione di bullismo, di ignoranza da parte della gente. Poi mi sono detta che avevo abbastanza conoscenze sul tema da aprire una pagina per confrontarmi con le persone, conoscerle, capire se avevano avuto vissuti simili al mio”, racconta Emanuela. “Spesso questi vissuti coincidono. Ci sono storie familiari anche abbastanza pesanti, perché non tutti i genitori accettano questa diagnosi. Non è facile da sentire, ma non è neanche tra le più gravi. Per i feti che sopravvivono c’è un’ottima qualità della vita”.
Emanuela dice di aver vissuto un senso di diversità attraverso gli occhi degli altri. “Ero piccola, apparivo buffa, parlavo in maniera più matura rispetto alla mia età”, dice. Per questo ha subito atti di bullismo sia durante il periodo scolastico sia successivamente.
La sua famiglia, invece, l’ha sempre vista “come una persona intelligente a cui non mancava niente, solo che avevo bisogno di alcune particolari attenzioni”.
“Hanno sempre valorizzato le mie capacità e le mie passioni”, dice. “Erano emozionati nel vedere come, nonostante per me determinate cose fossero difficili, io ero in gamba. Soprattutto mia madre. Non dimenticherò mai quando mi disse: Tu mi odierai ma non ti sprecherai, non ti permetterò di sprecarti”.
Alcuni anni fa Emanuela ha deciso di iniziare un percorso di terapia, anche su consiglio della sua sorella maggiore che fa la psicologa. “Non solo per la conoscenza di me stessa, ma anche per gestire al meglio la mia vita senza essere dominata dalle ansie”.
Dopo aver preso il diploma da onicotecnica, si è iscritta all’università e sogna di diventare counselor artistico nelle relazioni d’aiuto.
“Sono fiera del percorso che ho fatto”, dice, “Mi piace tantissimo nuotare, nuoto e cammino molto. Ho fatto persino rafting. Magari rendo la metà di quanto rendono le persone che hanno minore coordinazione della mia, però è stata un’esperienza bellissima. A mia madre non l’ho detto, l’ho fatto e basta. Poi le ho mandato una foto e si è fatta una risata. È da me: stupisco nel fare cose che nessuno si aspetta”.
“Ho scritto anche una fiaba che si intitola ‘Pollicina non aveva voglia di crescere’, in cui tutti dicono a Pollicina che non può fare certe cose, e invece lei poi in realtà si trova a farle”.
Emanuela racconta anche del canale Youtube che ha aperto per la sua passione per la cosmetica.
“So che non diventerò mai famosa e so di non essere una gran bellezza, ma ribadisco il mio diritto come tutti gli altri a espormi, proprio perché i canoni devono cambiare”, dice. “Non esiste la perfezione. Esiste qualcosa che incornicia la bellezza d’animo. Ci sono poche persone che mi seguono, che condividono con me una forte empatia e sensibilità. Altre persone mi hanno offeso in tutti i modi possibili, come leoni da tastiera. Ho sofferto per questo, ma vado avanti per la mia strada. La mia salute viene prima di tutto”.
“Ci sono dei rapporti che davvero hanno valore nella mia vita”, spiega. “Quelle altre persone alla fine che valore hanno? Se sono arrivate a conclusioni superficiali sicuramente non meritano la mia attenzione”.
“Praticamente ho avuto due mamme: mia mamma e mia sorella”, dice Emanuela. “Se ho un’indipendenza oggi è anche grazie a loro, ho vissuto una vita più normale possibile”.
Gli altri rischi
Al di là delle questioni legate alla statura e allo sviluppo, le donne con sindrome di Turner possono avere piccole anomalie cardiache, che vanno monitorate nel tempo. Altre anomalie possono essere registrate a livello renale, spiega il dottor Cappa, oppure possono esserci problematiche infiammatorie croniche intestinali, come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa. “Anche i nei vanno attentamente controllati, perché tendono ad averne molti, ma questo vale anche per la popolazione in generale”, suggerisce il medico.
Le donne con sindrome di Turner possono inoltre sviluppare con un’incidenza leggermente aumentata la tiroidite e/o la celiachia, il diabete di tipo 2 e l’artrite reumatoide.
“Le bambine con sindrome di Turner invece non hanno in genere nessun ritardo mentale”, spiega lo specialista. “La quantità di bambine con ritardo mentale e sindrome di Turner rientra nel rischio di ritardo mentale della popolazione generale”.
“L’aspettativa di vita, con i controlli giusti e la terapia giusta, è uguale a quella della popolazione generale”, assicura il dottor Cappa.
“Nel caso di diagnosi prenatale, direi ai genitori che si tratta di bambine perfettamente nella norma, e la possibilità che abbiano le forme gravi è ridotta rispetto alla larga percentuale di bambine in cui la sindrome addirittura non è riconoscibile. Spiegherei anche quali sono i rischi, che sono comunque tutti affrontabili e correggibili”, dice il medico. “Se invece la diagnosi viene fatta successivamente alla nascita, in fase infantile o in fase adulta, il mio ragionamento è in relazione al sintomo che mi trovo di fronte”.
“A volte la preoccupazione per la mia salute c’è, ed è tanta”, conclude Emanuela. “Ma la speranza è di mantenermi in salute e godermi le gioie che la vita mi riserva, perché spesso non le apprezziamo a pieno. Spero che questa intervista sia utile per le persone che magari hanno paura per il futuro delle loro figlie. Spesso arrivano sorprese positive, sono bambine dolcissime che chiedono solo amore. Non c’è niente di cui avere paura, c’è solo da vivere 24 ore su 24 e farlo intensamente”.
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