Intervista al medico vittima di razzismo a Roma
Andi Nganso è un medico di origine camerunese che vive in Italia da tredici anni. Nei giorni scorsi a Roma è stato vittima di un grave episodio di razzismo. L’abbiamo intervistato per TPI.
Alle 21, 30 del 21 agosto: parcheggio la mia macchina in Circonvallazione Casallini a Roma. Sono con un caro amico che vive a Yaoundé, di passaggio a Roma per l’ultima tappa delle sue vacanze in Europa. Finita la cena in uno dei ristoranti di via del Pigneto ci avviamo alla macchina. D’un tratto il mio amico, che camminava circa due metri davanti a me, urla: “What a F*ck! C’est quoi ça?” (so che potete decifrare voi il significato).
Sulla mia macchina, scritto a lettere cubitali e rigorosamente in nero, in modo che potesse esaltare quanto più possibile, vedo scritte le due parole che più fanno sentire “potenti” certe persone: NEGRO MERDA. Vorrei poter essere simpatico e scherzoso come sempre, ma la tristezza e la frustrazione di questo gesto sono tali che prima di convincermi a farlo ho dovuto fare i conti con la rabbia e l’orgoglio che ho dentro, e non è stato facile.
Forse perché arriva un punto in cui t’illudi che certe cose possano smettere di accadere, o peggio, speri che dopotutto certi gesti non facciano più male come un tempo. Quasi come se le precedenti esperienze ti avessero in qualche modo temprato l’anima e preparato a certi soprusi. Ma la verità è un’altra. La verità è che, una volta superata una specifica soglia, tutto quello che viene detto o fatto fa male. Punto e basta.
Sì certo, però il mio “negro di merda” è stato denunciato con tanta eco solo per la mia posizione sociale e per la mia professione di medico. Del negro povero che si prende le offese razziste non se ne interesserebbe nessuno. Per questo l’offesa razzista non deve mai essere derubricata a goliardia indipendentemente dalla persona a cui è rivolta. Le persone vanno rispettate, tutte.
Non siamo di fronte a un’emergenza, né tantomeno di fronte un’emergenza la cui sola responsabilità sia da imputare al governo dimissionario.
Siamo, invece di fronte a un persistente problema culturale del rifiuto del diverso che non possiamo più liquidare con delle semplici frasi ad effetto. Io non ho notato peggioramenti. Gli atti di razzismo, piccoli e più eclatanti fanno parte della vita dei cittadini neri in Italia.
Vivo in Italia da 13 anni e non mi ricordo un periodo nel quale non sia stato testimone di atti di razzismo piccoli, microagressioni o più eclatanti. I ragazzi nati e cresciuti qua non hanno mai avuto il privilegio di poter dire che hanno passato periodi con meno aggressioni verbali o fisiche.
Nella lotta antirazzista o nelle lotte contro le discriminazioni in generale ci sono due piani di percezioni e di realtà. Di solito il percepito e il vissuto dei discriminati non corrisponde a quello dei gruppi non toccati dalla carenza dei diritti o dalla segregazione. Gli atti di razzismo in Italia ci sono sempre stati, oggi se ne parla semplicemente di più.
Ora dobbiamo stare attenti. Ne parliamo per risolvere davvero il problema o per puro opportunità di varia natura? La strumentalizzazione ha raggiunto il suo livello massimo e i governanti continuano a trattare la questione come mero tema di propaganda. Il tessuto culturale occidentale in generale e italiano in particolare è ancora incrostato di strutture verticali coloniali e discriminatorie. L’antirazzismo è una lotta che, per essere combattuta, necessita vera onestà intellettuale e un impegno che non sia solo radicamento retorico spolverato di umanità.
Le soluzioni ci sono. La madre di tutte le battaglie in Italia è l’allargamento dello spazio dei diritti a tutti i figli d’Italia. In questo contesto la riforma della cittadinanza è uno dei punti fondamentali. Che razzismo vogliamo combattere se la legge certifica che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B? Lo ius soli non è un capriccio. La legge deve garantire gli stessi diritti a tutti quelli che nascono in Italia e certificare così che siamo tutti figli della stessa nazione.
Per combattere il razzismo è necessario rimettere in discussione un sistema secolare che autoalimenta l’illusione della superiorità di alcuni con strumenti culturali, artistici, linguistici ed economici.
È importante interrogarsi e ribellarsi davanti alle immagini, le pseudo opere d’arte e le parole che offendono non la dignità dei neri, ma l’intelligenza di tutti noi.
Parlare di razzismo vuol dire parlare e affrontare il tema dei privilegi, specialmente essere maschio, bianco, ricco, etero, borghese e non disabile è esattamente come aver vinto al lotto, senza averlo chiesto, e soprattutto senza capire cosa vuol dire appartenere ad una delle classi discriminate.
La politica di destra e di sinistra ha deciso di trattare la questione della cittadinanza all’interno delle leggi sulla sicurezza, aprendo di fatto un’equazione falsa e essa stessa razzista che costringe il corpo, degli stranieri in generale e quello dei neri in particolare, ad una segregazione legislativa e culturale.
La politica deve smetterla con la strumentalizzazione del corpo degli stranieri. I protagonisti della battaglia hanno bisogno di veri alleati: un buon alleato non fa mai finta di immedesimarsi nel dolore che non può provare neanche in senso figurato. Un buon alleato dovrebbe provare empatia, mettersi al mio fianco in ascolto senza la pretesa di poter rappresentare le mie istanze per conto mio.
Non accetteremo più di essere strumentalizzati.
Dobbiamo lottare contro l’emozione dei singoli eventi e aprire i libri per studiare un fenomeno che ha radici secolari.
C’è un’ipocrisia di fondo che dobbiamo combattere: chi vive il razzismo deve raccontare che cos’è. Non è accettabile pensare che la nostra storia e le nostre lotti debbano essere raccontate da persone che non la vivono sulla propria pelle. Dobbiamo ripartire da questi presupposti.
Sono a casa. Sono a casa nel varesotto come lo sono a Sesto San Giovanni e a Yaoundé. Dobbiamo abituarci sempre di più al fatto che quando parliamo di identità non esiste la sottrazione. Le identità si sommano. Ieri camerunense, oggi italo-camerunense, domani chi lo sa?
Il cambiamento è stato avviato. Non potremo più tornare indietro. Una nuova coscienza sta nascendo in Italia e gli attori sul campo si stanno rafforzando e le menzogne e le ipocrisie perderanno sempre di più il loro potere. Non accetteremo più di essere chiamati per rilasciare testimonianze. La nostra responsabilità ora è di rifiutare e di lottare contro la continua falsificazione della storia e dei fatti. Rimetteremo progressivamente sul tavolo i temi centrali: le disuguaglianze sociali a livello mondiale.
L’Italia cambierà da questo punto di vista quando avremo il coraggio di aprire gli occhi davanti al razzismo subdolo. Quello silenzioso, quello che ci fa mischiare il senso di superiorità di alcuni con lo sventolamento dell’umanità di facciata. Però penso anche che i razzisti abbiano già perso. Questa strumentalizzazione rappresenta in realtà i titoli di coda della storia di attori già rinnegati dalla storia.
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