Odio online contro le donne: parla il linguista
Odio online contro le donne | Da Greta Thunberg alla nazionale di calcio femminile, negli ultimi mesi e settimane diverse figure di donne sono state insultate online e persino da una parte della stampa. Gli avvenimenti degli ultimi giorni, con il caso Sea Watch, hanno fornito nuove occasioni agli “odiatori” per attaccare esponenti del volontariato, della politica o dello spettacolo che hanno preso posizioni diverse dalle loro. È il caso della comandante della nave Sea Watch 3 Carola Rackete ma anche di chi ha preso le sue difese, come la cantante Emma Marrone.
Emma Marrone risponde agli insulti ricevuti per aver difeso Carola Rackete
Sui discorsi d’odio online TPI ha intevistato Federico Faloppa, professore di Linguistica italiana nel Department of Modern Languages dell’Università di Reading e autore, tra l’altro, di “Parole contro. La rappresentazione del diverso”, “Razzisti a parole” e “Contro il razzismo”.
Faloppa è stato ospite insieme alla scrittrice Igiaba Scego, alla giornalista Eva Giovannini e all’economista Vincenzo Visco Comandini all’appuntamento di oggi della rassegna “BE POP! Senza perdere l’amore”, che si tiene al Caffè Nemorense, a Roma. L’incontro è intitolato “Ti odio! – Comizi non proprio d’amore” e punta a capire cosa ha provocato e legittimato la “spettacolarizzazione dei discorsi d’odio”.
Professor Faloppa, il discorso d’odio o hate speech è colpa dei social network o esisteva già prima? Adesso si ha solo modo di esprimerlo più facilmente?
Tutte e due. Sicuramente il linguaggio xenofobo, discriminante e razzista c’era e c’è stato anche prima dei social network, ci sono molti studi che lo confermano. Pensiamo anche soltanto al linguaggio d’odio discriminante che ha portato all’Olocausto nella storia del Novecento.
I social media non hanno inventato i discorsi d’odio, però li hanno amplificati e resi più creativi: non è solo la parola ma sono anche video e foto. Lo hanno reso una specie di teatro in cui si spettacolarizza l’odio con il linguaggio estremo, e soprattutto hanno tolto dei filtri, quelli che stigmatizzavano socialmente il linguaggio d’odio e il razzismo, come i corpi sociali, i partiti, i sindacati, i mezzi di comunicazione di massa.
Il fatto che tutti potessero esprimere un’opinione con queste platee sconfinate ha determinato che non c’è più un discrimine tra il bene e il male, tra le fonti autorevoli e quelle che non lo sono. Lo schermo che si frappone tra chi urla e chi viene attaccato impedisce sia alla vittima sia all’odiatore di avere una relazione empatica, fisica, che in qualche modo limiterebbe la brutalità di questo linguaggio e metterebbe di fronte all’odiatore le sue responsabilità.
E poi i social media, per i meccanismi che sono proprio alla base del loro funzionamento, come algoritmi, troll, tweet, hanno amplificato moltissimo i discorsi d’odio. Prima la vittima poteva ricevere attacchi, anche molto forti, da una persona singola. Adesso può essere bersaglio invece di migliaia di personaggi d’odio: la potenza di fuoco che i social media hanno introdotto è una novità.
Come scrive Giovanni Ziccardi nel suo libro L’odio online, diventato una pietra miliare, ci sono delle novità sia sul piano delle dinamiche del medium, sia sul piano dell’interazione interpersonale, sia sul piano del linguaggio. Ma sarebbe sbagliato dire che i social media hanno creato i linguaggi d’odio. Hanno creato un ambiente diverso, che in qualche modo ha reso più facile la circolazione e più difficile stigmatizzare questi comportamenti.
Come si può combattere l’odio online?
La battaglia è legata al problema della responsabilità. Si possono porre dei limiti, anche normativi, alla circolazione dell’odio, e lo ha fatto in parte il Consiglio d’Europa che ha indicato una condotta ai provider, dicendo loro di rimuovere i contenuti d’odio.
Ma la risposta normativa è solo una delle risposte. C’è anche una cattiva alfabetizzazione dell’uso dei social. Bisognerebbe anche educare gli utenti dei social media, spiegando che la responsabilità del linguaggio online va al di là di quel singolo passaggio, si possono produrre dei danni psicologici ad esempio, pensiamo ad esempio al bullismo.
Sulla lotta al linguaggio d’odio online ci sono due scuole di pensiero: la prima è quella che sostiene che bisogna rimuovere i contenuti d’odio, violenti, perché non sono ammissibili in una società che deve lottare contro le discriminazioni; un’altra scuola di pensiero è quella che dice invece che non si può limitare la libertà, neanche sui social, anzi, i social nascono proprio per rendere orizzontale la libertà d’informazione ed evitare dei filtri di potere, quindi bisognerebbe rieducare a un utilizzo più maturo e responsabile gli utenti dei social.
Queste due scuole di pensiero non sono in opposizione, certamente bisogna fare entrambe le cose. La situazione oggi è grave, lo dico in maniera oggettiva. Siamo immersi in questi discorsi d’odio anche quantitativamente, non solo qualitativamente. Per questo forse la parte educativa, che richiede tempo e impegno da parte dell’utente, è un po’ debole rispetto alla parte normativa, che è quella che indica il limite da non superare. Quindi forse alcune norme dovrebbero essere più stringenti.
Le donne sembrano essere i bersagli preferiti dagli odiatori, abbiamo avuto molti esempi. Perché?
Sì, lo dicono anche i dati e le ricerche, incluso il Barometro dell’odio 2019 di Amnesty International.
L’odio esplode soprattutto in presenza di alcuni soggetti: le donne innanzitutto. Lo confermano le ricerche svolte su Twitter da parte di un’associazione di Milano che si chiama Vox Diritti, che ha costruito le cosidette “mappe dell’intolleranza”. Le donne sono tra i bersagli preferiti, sicuramente sono vittime di odio più di altri soggetti.
Quando abbiamo un’intersezione tra donna e operatrice di una Ong, oppure donna e politica, oppure donna e membro di una minoranza, c’è una moltiplicazione. Quindi non è soltanto donna in quanto donna, possono esserci delle categorie che si assommano al “bersaglio donna”. Inoltre come abbiamo visto durante la campagna elettorale per le elezioni europee, i migranti sono un bersaglio che ormai purtroppo si è consolidato nel linguaggio dei politici e dei loro followers, quindi nei commenti che vanno poi a incidere sui social dei politici. Ma ci sono anche alcune minoranze storiche, per esempio i rom, che soprattutto quando la cronaca ne parla diventano immediatamente bersaglio d’odio. Su Twitter pare che ci sia un ritorno all’antisemitismo, cosa che per esempio non abbiamo visto su Facebook.