Sono le 13.30 davanti alla stazione della metro di Szell Kalmán Tér a Budapest. Un paio di ragazzi passeggiano con aria circospetta e ogni tanto si avvicinano a dei gruppetti appena arrivati. Chiedono se sono di là per la parata e gli forniscono le indicazioni per raggiungerla.
Dall’abbigliamento ai tatuaggi, passando per toppe e simboli sui giubbotti, non è difficile capire chi fa parte della galassia nera ungherese ed è lì per commemorare il “Giorno dell’Onore”, l’evento neo-nazi che ogni anno ricorda i soldati tedeschi morti durante l’assedio di Budapest, e che è stato celebrato il 9 febbraio.
Episodio poco noto della Seconda guerra mondiale, l’assedio di Budapest dell’Armata rossa fu uno dei momenti più drammatici del conflitto. Strategica per difendere Vienna e Berlino, Hitler ordinò di tenere la capitale ungherese fino all’ultimo uomo.
L’11 febbraio 1945, dopo tre mesi di assedio, il generale della guarnigione Karl Pfeffer-Wildenbruch decise di disobbedire agli ordini del Führer e diede un ordine dettato dalla disperazione: provare a rompere l’accerchiamento. Per le truppe tedesche, decimate, affamate e ormai a corto di munizioni, non finì bene.
Lo storico ungherese Krisztián Ungváry descrive così ciò che successe: “fu una carneficina, nel giro di 6 ore in un’area di pochi chilometri giacevano morti migliaia di soldati tedeschi e ungheresi. Dei 28mila che presero parte all’azione meno del 2 per cento riuscì a raggiungere le linee tedesche, il 45 per cento morì entro poche ore e i restanti, quasi tutti feriti gravemente, vennero fatti prigionieri”.
Secondo Ungváry la scelta suicida del comando tedesco fu un atto senza senso e per certi versi criminale: “quei soldati furono vittime condannate a un sacrificio inutile”. Ma dopo la caduta del comunismo, intorno agli anni Novanta, questo evento storico acquisì particolare valore nella fiorente sottocultura ungherese skinhead. I soldati della fortezza Budapest, in una storiografia alternativa, iniziarono a essere celebrati come eroici difensori dell’Europa bianca dall’avanzata del Comunismo.
Raggiungo anche io il luogo d’incontro. Viene passato di bocca in bocca e sembra segretissimo, anche se quando ci arrivo lo trovo completamente blindato dalla polizia. Chissà se consapevolmente o meno, ma il parco scelto per la parata fu teatro durante l’assedio di eccidi di ebrei da parte degli squadroni della morte ungheresi.
Dentro il parco ci saranno già almeno un migliaio di neo-nazi. Le celebrazioni del “Giorno dell’Onore” col passare del tempo sono diventate un ritrovo dell’internazionalismo nero: ogni anno arrivano a Budapest gruppi e rappresentanti dell’estrema destra straniera. Oggi, tra le altre, sono presenti delegazioni del partito neo-nazi tedesco NPD, dei nazional-socialisti cechi e membri dell’estrema destra francese, serba e norvegese.
I giornalisti qui non sono esattamente benvenuti, tollerati a malapena come semplici osservatori dato lo schieramento massiccio di forze dell’ordine. Laszlo, un dottorando in sociologia dell’Università di Debrecen che studia la subcultura di estrema destra ungherese, un paio di giorni fa mi ha mostrato un video di pochi minuti pubblicato su un portale di estrema destra e girato durante una delle edizioni passate del “Giorno dell’Onore”. Si vede un giornalista circondato da quattro o cinque skinhead; solo il pronto intervento della polizia lo salva da un pestaggio.
All’ora stabilita i partecipanti si dispongono in formazione e marciano in fila di quattro, fino a raggiungere un complesso monumentale in ricordo dei caduti della Grande Guerra. Eretto nel 1941, è composto da due soldati che si stringono la mano, uno della Prima guerra mondiale e uno della Seconda, a quel tempo ancora in corso.
Il soldato della Grande guerra ha un piede su un gradino, pronto a scendere dal piedistallo e lasciare la scena al suo giovane compagno d’armi. Un simbolismo, quello del passaggio di testimone e della continuità tra passato e presente, forte e ben presente anche nei discorsi.
Un membro norvegese di Nordic Resistance, un movimento scandinavo neo-nazi messo fuori legge in Finlandia e considerato da vari ricercatori un’organizzazione paramilitare, lo dice a voce alta: “sacrificio, onore, sangue puro, sono i valori che ci accomunano a quegli eroi. E come loro, siamo disposti a sacrificarci e fare ciò che è necessario per salvare l’Europa dal marxismo culturale e il globalismo”.
Durante questa giornata l’estrema destra alza la voce e diventa visibile e sfrontata. A una protesta anti-fascista pacifica organizzata a poca distanza dei neo-nazi rispondono gridando Juden Raus! (Via gli ebrei!) e facendo saluti nazisti. Finita la contromanifestazione antifascista, senza la polizia intorno, un gruppo di attivisti verrà seguito e raggiunto da sette naziskin, tre verranno aggrediti e le loro bandiere rubate. Subito dopo verrà pubblicata online una foto trionfante dei sette col volto oscurato, la bandiera della pace calpestata dalle loro scarpe.
Ma per capire come l’estrema destra una volta all’anno sia libera di scorrazzare apertamente per Budapest è necessario recarsi nel quartiere del Castello. Da qui partirà nel pomeriggio un’altra iniziativa che di anno in anno diventa sempre più popolare: “L’escursione della memoria”.
Circa tremila persone parteciperanno a un’escursione di 25 chilometri nei luoghi percorsi dalle truppe tedesche in fuga. Molti sono giovani in abbigliamento sportivo o da trekking, ma una parte significativa dei presenti usa questo evento come cosplay neo-nazista: molti arrivano con divise della Wehrmacht, delle SS o di battaglioni ungheresi della Seconda guerra mondiale fedeli al nazismo.
Un ventenne tedesco che preferisce restare anonimo, occhiali e sguardo gentile, mi racconta che negli ambienti di estrema destra questo evento inizia a essere abbastanza noto. Indossa elmetto, uniforme con mostrine delle SS e zaino militare d’epoca. È arrivato da Dresda e partecipa al trekking per la prima volta.
“Lo trovo un modo unico di celebrare i nostri soldati, cosa che non ci è permessa in Germania, lì devi passare la vita a chiedere scusa al mondo e sentirti in colpa per essere tedesco”. Un suo amico aggiunge: “guarda che è successo dopo Hitler: sono bastati 70 anni per trasformare l’Europa in una succursale dell’Islam. Tra un po’ dovremo chiedere il permesso per vivere qui. Ma è arrivato il momento di fare qualcosa: come quei soldati, anche noi dovremmo sacrificarci per l’anima dell’Europa”.
“L’escursione della memoria” è organizzata da una normale associazione d’escursionismo e viene definita un evento apolitico. Ma dalle parole dell’organizzatore Zoltan Moys è evidente che una buona parte della società ungherese post-comunista abbia internalizzato orientamento, attitudine e valori prettamente di estrema destra: “purtroppo abbiamo perso la guerra e la Storia viene sempre scritta dai vincitori. Ma quei soldati stavano dalla parte del bene. Come disse Gesù Cristo, non c’è amore più grande del sacrificio per i tuoi amici. Quegli eroi lo fecero e col loro esempio ci hanno dimostrano che l’onore della nazione è più importante della propria vita”.
A pensarci bene, forse è questa la sensazione più inquietante che si prova oggi a Budapest: non sono i tatuaggi con la svastica, non sono le magliette con Hitler, non sono i discorsi di purezza e suprematismo bianco a far temere per la tenuta democratica dell’Europa. Sono le tante persone comuni che partecipano a un evento in cui circolano insegne e simboli che evocano i momenti più bui dell’Europa, senza vederci niente di male. Un chiaro sintomo di come il sistema immunitario della società stia smettendo di funzionare. Un ragazzo ungherese, stemma di Árpád sulla giacca, simbolo dell’estrema destra ungherese, col suo ottimismo non potrebbe spiegarlo meglio: “si respira aria di anni Trenta, di cambiamento. Qui ci sono famiglie, giovani. Stanno passando dalla nostra parte. Insieme raddrizzeremo finalmente l’Europa”.