Caso Cucchi, l’appello di Casamassima a Di Maio
“Appena risolvete questa crisi vi prego di interessarvi alla mia situazione”: l’appello comparso nella pagina Facebook dell’ex vicepremier Luigi Di Maio è scritto da Riccardo Casamassima, carabiniere in servizio a Roma che con le sue dichiarazioni ha riaperto il processo sulla morte di Stefano Cucchi e che ora si ritrova ai margini dell’Arma dei Carabinieri nonostante il suo coraggio sia risultato fondamentale per avvicinarsi alla verità. (Qui la ricostruzione dell’intera vicenda)
Casamassima non rilascia interviste (per i suoi sfoghi è già stato sottoposto a diversi processi militari) ma attraverso il suo avvocato Serena Gasperini ci tiene a raccontare la sua scelta di vita che gli sta costando moltissimo sul piano professionale e sul piano umano.
A fine 2014 ha saputo dai telegiornali che al processo Cucchi erano stati tutti assolti ma sapeva che c’era stato un tentativo di depistaggio: ha raccontato di avere sentito il maresciallo Mandolini dire “i ragazzi hanno fatto un casino, hanno pestato un arrestato”.
Ci racconta che non sapeva se qualcuno nell’Arma avesse voluto procedere, “non era una scelta facile”, ma quando ha visto la madre e la sorella di Stefano Cucchi incassare l’assoluzione è stato “scosso da quelle immagini e dal vedere persone innocenti che sono finite in un processo in cui non c’entravano niente” e insieme a sua moglie (anche lei in servizio nell’Arma) ha deciso che era arrivata l’ora di rompere gli indugi e denunciare.
E denunciare carabinieri da carabiniere non è una cosa facile: “Nell’Arma una persona che denuncia viene perseguitata”, spiega, e per questo l’appoggio dell’opinione pubblica è fondamentale per avere la forza di andare avanti.
Casamassima ha telefonato d’istinto all’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, e già la sera stessa ha raccontato a lui e a Ilaria Cucchi tutto quello che sapeva. Ha parlato perché è stanco di un sistema “sempre intento a coprire e a insabbiare”. Del resto i colleghi che hanno visto il corpo di Cucchi gli hanno riferito di “non avere mai visto una cosa del genere” e “detto da un collega significa che la cosa è seria, parliamo di gente abituata agli orrori”.
Fondamentale è stato anche l’impegno del Procuratore di Roma Pignatone che in pubblico aveva garantito che avrebbe “supervisionato” tutta l’indagine sulla morte di Cucchi: “Quella per Casamassima era una garanzia”.
Quando il maresciallo Mandolini ha appreso la notizia che Casamassima aveva deciso di collaborare i due erano insieme, nell’auto di servizio: tra le tante stranezze di questo storia c’è anche la vicinanza professionale tra accusatore e accusatore, nello stesso battaglione, e non sono mancati gli scontri con toni accesi. Del resto l’appuntato Casamassima era stato bollato (come troppo spesso succede) come un semplice delatore, un traditore.
Caso Cucchi, Casamassima e le regole usate come clava
Passano poche settimane e contro Casamassima viene aperto un procedimento disciplinare per un vecchio incidente nonostante fossero già scaduti i termini: “Lì è cominciata la paura”, ci dice Casamassima attraverso il suo avvocato.
Forse lì ha compreso per la prima volta che la convivenza nell’Arma non sarebbe stata facile come sperava. “Sono cominciate le istanze per parlare con Del Sette che a quel tempo era comandante generale, i superiori chiedevano perché lasciassero lavorare insieme Casamassima e Mandolini, la cosa sembrava non avere nessun senso”: per questo Riccardo Casamassima decide di chiedere il ricongiungimento con la madre dei suoi figli, previsto dal regolamento.
Ricongiungimento negato: l’Arma fa sapere che non essendo sposato l’appuntato Casamassima non ne ha nessun diritto e non contano i figli della coppia. Ancora una volta le regole che vengono usate come clava.
Quando il processo inizia si scopre che le dichiarazioni di Casamassima sono avvalorate da altri elementi e dalle intercettazioni telefoniche, il generale Del Sette convoca Casamassima e gli chiede come può essere utile: “Del Sette è stato un grande generale e un grande professionista”, secondo Casamassima. Siamo al 15 maggio del 2018: Casamassima va in Aula per rendere la sua testimonianza e nemmeno un mese dopo arriva il trasferimento: “Allontanato da casa, ad alzare la sbarra della Scuola di Ottaviano”. Per Casamassima e la sua compagna ricomincia la paura.
Con l’arrivo del generale Nistri la situazione precipita
Poi, con l’arrivo al comando generale di Nistri “la situazione è precipitata”: durante un colloquio con la ministra alla Difesa Trenta Casamassima scopre addirittura che secondo le voci nell’Arma sarebbe stato lui stesso a chiedere il trasferimento. E invece, secondo Casamassima, quello spostamento non è altro che un modo per “allontanarlo, demansionarlo e punirlo dal punto di vista economico”: nel nuovo ruolo infatti l’appuntato perde tutte le indennità.
Per questo comincia a scrivere sui social e cerca il modo di fare conoscere la propria situazione. Chiede anche di parlare con il generale: niente di niente. Di Nistri però si ricordano tutti la lunga narrazione proprio contro Casamassima durante il suo incontro con i famigliari di Cucchi: non certo un bel segnale.
E ora? Ora Casamassima ha fatto richiesta, ancora, di ricongiungimento ma intanto continuano i processi militari ai suoi danni. È proprio Casamassima a raccontare che in uno dei processi un componente della commissione giudicante gli ha riferito che fosse “tutto un teatrino” e che “il Generale ha fatto tutto lui”.
Dal 5 giugno Riccardo Casamassima è in ufficio regolarmente a fare nulla tutto il giorno. Nulla. “Nemmeno una fotocopia”. A fare i conti con quel terribile presentimento di essere isolato e solo ma convinto di meritare giustizia per il coraggio di avere parlato. Ed è difficile dargli torto.