“Radical chic” e “buonista” sono tra gli epiteti più ricorrenti nella retorica di Salvini, soprattutto quando i toni si accendono attorno alla questione dei migranti.
Ma ora è nata una linea di abbigliamento online che vuole rivendicare quello che vorrebbe essere un insulto. È Radical Chic, un’azienda che vende magliette dalle stampe provocatorie per “prendere posizione in maniera aperta e dire ‘adesso basta!’ all’ignoranza razzista e xenofoba che sta dilagando in Italia”.
Dietro all’idea sta Umberto Mastropietro, un amministratore aziendale italiano che da trent’anni abita in Germania.
Mastropietro ha raccontato a Dire di essersi reso conto dei commenti molto pesanti a sfondo razzista che circolano sui social network italiani cercando di restare in contatto con la famiglia rimasta nel Bel Paese.
“La cosa è iniziata per scherzo tra amici, ma poi nel giro di una settimana ho ricevuto oltre 700 mila visite e ho venduto quasi 600 magliette”, ha raccontato l’imprenditore.
La vendita non ha, comunque, fini di lucro, anche se la ditta che le stampa cede all’ideatore il 20 per cento del ricavato su ogni pezzo venduto.
Mastropietro, che non vuole guadagnare da questa sua idea provocatoria, ha deciso di devolvere quanto ricavato in beneficenza a Emergency. Le donazioni sono pubbliche.
I motivi sulle magliette, spille, tazze e borse di tela disponibile sul sito web di Radical Chic prendono in rassegna tutti gli insulti più ricorrenti che dilagano online. Radical chic, quindi, ma anche buonista e zekka rossa.
Sulle magliette si nota anche una simbologia storica, come falce, martello e stelle. Questi rimandi ammiccano all’idea che chiunque non sostenga le posizioni del nuovo Governo debba necessariamente essere comunista.
La maglietta più provocatorio, però, è quella che riporta una frase intera: “Non sono razzista ma prima gli italiani è come dire Non sono una merda sono prima di tutto stronzo”.
Per Mastropietro, la sua piccola nuova attività è un modo per “alzare la testa, perché sempre meno persone hanno il coraggio di dire ‘basta, io non sono questa Italia’ o che non è questo il Paese che ci piace”.
E fa il confronto con la Germania, che da tanto tempo lo ospita. Lì, “le persone si vergognano ancora quando si parla di nazismo, mi sembra che in Italia questo pudore si sia un po’ perso”.
Le sue magliette ironiche, però, sono valse all’ideatore anche un bel po’ di minacce in rete.
“Alcune persone vorrebbero uccidermi, altre invece sperano che mia moglie venga violentata dagli immigrati. Ma la cosa che mi fa più ridere è quando mi definiscono ‘comunista’, cosa che sicuramente un dirigente d’azienda non è”.
Da dove viene il termine “radical chic”
In origine il termine “radical chic” si riferiva a una categoria di persone molto più ristretta di quanto il discorso pubblico italiano di questi tempi non suggerisca.
L’espressione è stata infatti ideata da Tom Wolfe, giornalista statunitense autore di libri best seller tra cui The Electric Kool-Aid Acid Test e Bonfire of the Vanities, in un articolo del 1970.
Wolfe aveva raccontato una serata colma di vip e artisti organizzata da Felicia Montealegre, moglie del celebre compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein, per raccogliere fondi a favore del gruppo rivoluzionario marxista-leninista Pantere Nere.
Tom Wolfe scrisse un dettagliato resoconto sulla serata, descrivendo in modo molto critico gli invitati, rappresentanti dell’alta società di New York.
Il termine, dunque, in origine definiva gli appartenenti all’alta borghesia che per moda, esibizionismo o interessi personali ostentano idee e tendenze politiche opposte al loro ceto di appartenenza.
In Italia, ad importare il termine è stato il giornalista Indro Montanelli nel 1972 con Lettera a Camilla, in cui apostrofava in modo polemico la collega Camilla Cederna, secondo Montanelli rappresentante dell’italico magma radical-chic.