Sabato 20 gennaio 2018 è morta a 96 anni Naomi Parker-Fraley, l’operaia cui si è ispirato l’artista J. Howard Miller negli anni ’40 per creare il poster poi diventato un simbolo della lotta femminista.
Fino al 2016 però nessuno sapeva che la donna del poster fosse in realtà Naomi. Si pensava infatti che Miller si fosse ispirato a Geraldine Hoff Doyle, che riconoscendosi nel poster per via della sua somiglianza con Naomi pensò in buona fede di essere lei, e fu creduta.
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E così è stato fino a quando nel 2016 James J. Kimble, ricercatore della Seton Hall University (New Jersey), ha svelato dopo sei anni di ricerche la vera identità di Rosie the Riveter sulla rivista Rhetoric & Public Affairs.
L’indagine è stata ulteriormente complicata dal fatto che negli anni il nome Rosie the Riveter fosse stato usato per identificare opere diverse.
La prima Rosie compare in una canzone scritta durante la guerra da Redd Evans e John Jacob Loeb, e si riferisce alla filatropa Rosalind P. Walter, di Long Island, che all’epoca era addetta alla rivettatrice (strumento usato per posizionare i rivetti, elementi meccanici di fissaggio) sugli aerei della marina militare.
Un’altra Rosie fu quella dipinta da Norman Rockwell per la copertina del Saturday Evening Post del 29 maggio ’43, citando il poster di Miller. La copertina, per cui posò a modella Mary Doyle Keefe, mostra una muscolosa operaia in tuta che pesta il Mein Kampf mentre regge una rivettarice.
Nulla si sapeva invece del famoso poster utilizzato nelle fabbriche della Westinghous Electric Corporation per disincentivare assenteismo e scioperi delle operaie durante la guerra.
Quando nei primi anni ’80 ne riemerse una copia, l’immagine divenne immediatamente un simbolo del femminismo, col nome di Rosie the Riveter.
L’enorme diffusione del ritratto permise a molte ex operaie di identificarvisi. Quando lo vide, Naomi pensò che le somigliasse, ma immaginò di essere una tra le tante.
Terza di otto figli, Naomi Parker-Fraley nacque a Tulsa, in Oklahoma, il 26 agosto 1921. Dopo l’attacco dell’esercito giapponese a Pearl Harborl la ventenne Naomi e sua sorella minore Ada cominciarono a lavorare come operaie alla Naval Air Station di Alameda, vicino a San Francisco.
Tra i loro compiti c’era anche quello di addette alla rivettatrice. Fu qui che un fotografo dell’agenzia Acme scattò una foto di lei al tornio. Naomi ritagliò la foto dal giornale e la conservò per anni.
Sebbene le carte di Miller (che non ha lasciato eredi) non dicano nulla in proposito, secondo la ricostruzione di Kimble è altamente probabile che l’artista si sia ispirato proprio a quella foto, in cui anni prima si riconobbe Geraldine Hoff Doyle.
Il poster comparve infatti nelle fabbriche Westinghouse nel febbraio ’43, quindi l’artista deve averci lavorato l’anno precedente, pochi mesi dopo la pubblicazione della foto sul giornale il 5 luglio 1942.
Inoltre la bandana rossa a pois bianchi, che Naomi si era legata attorno ai capelli per proteggerli, è inconfondibile, ed evidente è anche la somiglianza tra le due giovani donne.
Naomi non pensò più alla foto fino a quando, nel 2011, lei e la sorella parteciparono ad una riunione delle operaie di guerra al Rosie the Riveter/World War II Home Front National Historical Park di Richmond, in California.
Lì il poster “We can do it!” era esposto con di fianco la sua foto. La didascalia recitava “Geraldine Doyle”.
Si rivolse al National Park Service, che chiese il suo aiuto per determinare la vera identità della donna nella foto.
“Non volevo fama o soldi” ha dichiarato a People nel 2016 “ma volevo la mia identità.”
Dopo forsennate ricerche Kimble riuscì a trovare una copia originale della foto in un negozio di fotografie vintage. Sopra c’erano data e luogo (24 marzo 194, Alameda), e una didascalia:
“Sembra che il naso della bella Naomi Parker potrebbe impigliasi nel tornio che sta manovrando”.
A quel punto fece di tutto per localizzarla, e quando nel 2015 si incontrarono, Naomi gli mostrò la foto che aveva conservato per settant’anni.
“Oggi le donne di questo paese hanno bisogno di icone”, ha detto la donna a People. “Se pensano che io sia una di queste, ne sono felice”.
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