Decidere di cancellarsi da tutti i social network è un passo importante. Le notifiche di Instagram, Facebook e Twitter permeano ormai le nostre vite.
Nonostante l’impeto di dopamina da like e la continua ossessione da accesso compulsavo, scegliere di chiudere tutti gli account significa prendere consapevolezza che, in certi casi, i social network fanno più male che bene. O per lo meno, sono curioso di sapere se questo esperimento confermerà quel sentore.
Per molti profili professionali i social network sono una vetrina: niente più classico portfolio, sui social ci si autopubblicizza.
Come si legge nel racconto su Quartz di Hannah Seidlitz, scrittrice freelance, un professore universitario in una classe di letteratura, ha detto che per essere interessanti agli occhi dei nostri ipotetici datori di lavoro dobbiamo stare online, dobbiamo avere degli account sui social: “Nessuno ha intenzione di darti un lavoro a meno che tu non abbia follower su Instagram”. Una inquietante estremizzazione, che, però, per certi lavori corrisponde alla cruda realtà.
Con l’avvento degli influencer, il mondo del lavoro è completamente cambiato. Imprenditori e dirigenti di aziende hanno iniziato a vedere nei social network una vera e propria fonte di ricchezza.
In pochi secondi è possibile raggiungere un vastissimo pubblico, a livello globale. Promozioni e prodotti finiscono sul banco virtuale con un click.
La facilità e l’immediatezza dell’interazione dell’utente accelera la connessione e le strategie di crescita dell’azienda dipendono quasi esclusivamente dalla connettività di queste piattaforme.
I datori di lavoro, in particolare quelli più anziani, vogliono veder crescere il proprio marchio grazie alle potenzialità dei giovani dipendenti. I social network diventano così lo strumento più veloce ed efficace per farlo, oltre che economico.
È in mano ai giovani questo potere straordinario. Questa tecnologia in continua evoluzione è una delle armi più grandi che i lavoratori più giovani hanno. Una rivoluzione vera e propria, quella dei social network. Ma siamo sicuri di volervi prendere parte?
La preoccupazione più grande dunque, cancellando i propri account, è quella di danneggiare in qualche modo il proprio curriculum.
Sarebbe interessante ribaltare la situazione e capire quanto ci guadagniamo in qualità e quantità di lavoro stando lontano dai social network. Secondo il racconto di Hannah Seidlitz su Quartz, staccare dai social ha significato ritrovare la creatività perduta.
Essere immersi in quell’universo costruito ad opera d’arte in cui abbiamo tutto davanti agli occhi, immagini e informazioni, ed entriamo in contatto facilmente con chiunque, può illuderci di vivere in una stanza piena di gente.
La verità è un’altra: quella non è una vera stanza piena di gente e, spesso, veniamo consumati da quel mondo senza vivere davvero quello che ci circonda.
Poter accedere a una rete direttamente dal mio cellulare significa che, almeno in quell’istante, mi sto negando la possibilità di crearmi una rete attorno a me.
“È stupefacente quanto tempo ho sperperato sui social media, scorrendo profili di persone che conoscevo o che a malapena conoscevo”, ha detto Hannah Seidlitz.
L’utente medio dei social network trascorre il suo tempo a guardare video di dubbio spessore e a cimentarsi in test anch’essi per lo più poco intelligenti. E perché lo facciamo? Per scongiurare la noia.
Questo modo di fare – ha spiegato ancora Hannah Seidlitz – non ha fatto altro che “impedirmi di rispettare le scadenze, mi ha fatto riflettere sul mio senso di presenza, di consapevolezza”.
“Due mesi dopo aver lasciato i social media, i miei pollici freneticamente ritornavano sempre in modo compulsavo alla schermata iniziale per trovare un’altra app da aggiornare, un altro dei cugini della ex compagna di stanza della mia migliore amica del college per stalkerare e invidiare, ma non c’era più nessuna app lì e questo non ha eguali”, ha detto ancora.
Il passo successivo alla “disintossicazione” è quello di riuscire a guardarsi intorno. Accorgersi dell’ambiente che ci circonda e scoprire le ricchezze che ci circondano e che abbiamo ignorato mentre avevamo gli occhi fissi sul cellulare.
Una sorta di “meditazione esteriorizzata”: l’idea è quella di assorbire, valutare e apprezzare ogni spazio in cui si entra.
“Continuo a fare la pendolare con le cuffie alle orecchie, a fotografare le stranezze sul marciapiede con la mia fotocamera del cellulare e a giocare con qualche app, ma nel frattempo quello che ho iniziato a fare è stato concentrarmi sul trascorrere il tempo con l’intenzione di godermelo, e mi sento meglio”, ha continuato Hannah Seidlitz.
“Il blocco dello scrittore spesso prevale, ma dovevo iniziare da qualche parte. E sto facendo progressi. Spero solo che anche quelli che cercano di assumermi possano vederlo”.
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