L’inglese ha 11 parole per identificare i colori di base, mentre il russo ne ha 12. La lingua wobé, parlata in Costa d’Avorio, ne ha solo tre: scuro, chiaro e rosso.
Non sorprende che ogni lingua abbia parole specifiche per identificare i colori, ma al di là delle difficoltà di traduzione tra i vari idiomi, la domanda principale è un’altra: quali colori indicano queste parole e perché una lingua sceglie proprio quelli?
Tutti conosciamo il rosso, il blu, il verde e il giallo ma la verità è che non esistono, non in senso assoluto.
I colori non sono altro che una percezione visiva generata dai segnali nervosi che gli occhi inviano al cervello quando assorbono le radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda e intensità della luce.
Questa percezione è quello che chiamiamo lo spettro elettromagnetico visibile che include appunto tutti i colori percepibili dall’occhio umano.
Fino agli anni Sessanta gli antropologi pensavano che la scelta riguardo quale colore nominare fosse casuale. Ma nel 1969, due studiosi dell’Università di Berkeley, Paul Kent e Brent Berlin, scoprirono che se una lingua ha solo sei parole per identificare i colori di base – come il cinese mandarino – questi sono sempre gli stessi: nero o scuro, bianco o chiaro, rosso, verde, giallo e blu.
Se ne ha quattro, come la lingua ibibio parlata in Nigeria, questi sono sempre nero, bianco, rosso e poi uno tra il verde e il giallo. Se ne ha tre, come nell’esempio della lingua wobé, sono sempre scuro, chiaro e rosso.
I due ricercatori pubblicarono le loro conclusioni nel libro Basic Color Terms: Their Universality and Evolution.
Se quindi esiste una gerarchia nella terminologia cromatica, i primi colori che ogni cultura identifica sono il più scuro e il più chiaro – quindi il rosso, il verde o il giallo – poi il blu, e infine tutti gli altri.
Brent e Kent mostrarono inoltre che quelle lingue che presentano poche parole specifiche per identificare i colori di base sono anche quelle che fanno maggior ricorso a comparazioni con la vita reale per alludere alle diverse tonalità di colore.
Nel linguaggio Yele della Papua Nuova Guinea, per esempio, le cinque parole per i colori di base coprono solo alcune tonalità di rosso, bianco e nero. Queste parole si basano sulla ripetizione di alcuni termini con un significato completamente diverso: “mtyemtye” che significa rosso, letteralmente si traduce come “pappagallo-pappagallo”.
Ma quest’idioma include anche una serie di parole come cenere, banane e cielo che vengono utilizzate per descrivere dei colori.
Questo video di Vox mostra quanto sia difficile identificare i colori e dar loro un nome, e come ogni lingua lo faccia in modo diverso:
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