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    New York pronta al World Pride, 50 anni dopo Stonewall: “Siamo felici e continuiamo a lottare”

    Lo Stonewall memorial
    Di Caterina Coppola
    Pubblicato il 28 Giu. 2019 alle 19:53 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:56

    New York Pride | World pride | Stonewall | 50 anni | Lgbt | Trump

    New York Pride – Non si possono avere dubbi, arrivando all’aeroporto JFK di New York. Perché, superati i controlli di rito all’immigrazione, la prima cosa che si vede è un grande banner che recita: “Welcoming the celebration”.

    Un arcobaleno parte e finisce sullo skyline di Manhattan e un breve testo spiega di cosa si tratta: è il benvenuto dell’autorità portuale a chi è arrivato per celebrare i 50 anni dei moti di Stonewall.

    Credits: Caterina Coppola

    New York Pride | La notte tra il 27 e il 28 giugno

    Nelle prime ore del giorno del 28 giugno 1969, infatti, stanchi dei continui blitz della polizia, della repressione violenta, di finire in carcere o picchiati solo perché gay, lesbiche, bisessuali o trans, i clienti del bar “Stonewall Inn” del Greenwich Village (a New York, appunto) si ribellarono. Ne seguirono due notti di scontri guidati, secondo molte testimonianze, da Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson: due donne trans, la prima di origini latine e la seconda nera. Tenete a mente questi dettagli: ci torneremo. Quei moti sono considerati il momento in cui nacque il movimento lgbt+ globale, il primo pride.

    Cinquat’anni dopo New York celebra quei fatti con il World Pride. Alla parata prevista per il 30 giugno gli organizzatori attendono circa 4 milioni di persone da tutto il mondo. Cifra non irreale: solo dall’Italia, in questi giorni, sono arrivate almeno 400 persone.

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    New York arcobaleno

    New York non è l’America di Trump, si sa. Se gli Usa fossero come New York, le ultime presidenziali sarebbero andate diversamente.

    E forse anche questo ha un peso nel fatto che la città è un tripudio di arcobaleni. Da Brooklyn a Lower Manhattan, da Park Avenue a, naturalmente, il Greenwich Village è davvero difficile percorrere più di 200 metri senza imbattersi in una bandiera rainbow, il simbolo della comunità lgbt+ e della battaglia per l’uguaglianza. “Love is love” è uno degli slogan più diffusi, specialmente sulle vetrine dei brand di lusso sulla 5th Avenue.

    Ma c’è anche chi ha vestito di arcobaleno i propri manichini, chi invita i clienti a lasciare un post-it con il suo messaggio di orgoglio, chi propone il suo prodotto “for equality”.

    Uno dei birrifici storici di Brooklyn ha realizzato una birra appositamente per l’occasione. Con etichetta arcobaleno, naturalmente. Più si scende verso sud, sulla 5th Avenue, più gli arcobaleni si fanno frequenti. Un pub ha talmente tanti arcobaleni da rendere difficile capire quale sia il colore delle pareti. “No, non siamo gay – spiga Ashley, la cameriera -. Questo è da sempre un locale accogliente, domenica la parata passerà da qui e vogliamo essere pronti”.

    Credits: Caterina Coppola

    New York Pride | L’amministrazione

    Alle fermate degli autobus e sulla metro, i messaggi di vicinanza dell’amministrazione e sul palazzo del Comune, arcobaleni giganti. Metro incrementate per domenica. Del resto Bill De Blasio, il sindaco di NYC, non ha mai fatto mistero del suo appoggio alla comunità lgbt+.

    La Biblioteca pubblica di New York ospita una mostra dedicata all’anniversario: “Love&Resistence”, sullo sfondo l’immagine di due ragazzi che si baciano. Amore e resistenza? Ma a chi ha ascoltato i racconti, visto le foto di Stonewall, letto le storie qualcosa non torna: dove sono, in questa narrazione rassicurante, i moti, i riots, i tacchi lanciati contro la polizia, gli agenti costretti a rifugiarsi dentro lo Stonewall pressati dall’orgoglio non più disposto a farsi reprimere?

    Queering the church

    Per ritrovare quello spirito bisogna immergersi nel Village, verso Christopher Street e lo Stonewall Inn.

    Non prima di essere passati da “The Church of Village” una delle tante chiese protestanti che fioriscono da queste parti. All’esterno una bacheca mostra la scritta: “Celebrating queerness, queering the church”. La navata centrale è attraversata da 6 enormi drappi, ognuno con uno dei sei colori della bandiera lgbt+.

    Credits: Caterina Coppola

    New York Pride | Lo Stonewall Inn

    Lo Stonewall Inn è esattamente com’era 50 anni fa: un locale angusto e buio, pieno di gente. Solo che oggi quelle persone sono qui per celebrare quelle notti, non per nascondersi in un luogo sicuro. Sicuro, almeno finché i proprietari pagavano la polizia per non fare lasciarli in pace.

    Sulle pareti campeggiano alcune foto di quelle notti, i decreti di sequestro della polizia, i volti di Sylva Rivera e Marsha P. Johnson, divenute ormai leggenda. In migliaia, in questi giorni, sono passati da qui, anche solo per farsi una foto davanti alla vetrina, identica a quella vista nelle foto d’epoca. Un lungo, lunghissimo pellegrinaggio laico “nel luogo in cui tutto è cominciato”, è il mantra.

    “Sopravvissuta, non veterana”

    Per questo, quando arrivano i veterani e le veterane, l’applauso e la commozione sono inevitabili. “Non ci sono ricordi brutti di quelle notti, solo buoni”, racconta Jaw Toole, “non veterana: sopravvissuta!”. “Avevo 19 anni ed ero una senza casa – continua. Mio padre mi aveva sbattuta fuori per via della mia identità sessuale. Vivevo per strada e quella notte ero qui fuori, nel parchetto. Capimmo subito che qualcosa stava succedendo e non ci pensammo un attimo: ci unimmo alla rivolta”.

    “Ricordo chiaramente che ad un certo punto eravamo noi, la polizia in mezzo e di nuovo noi. Tirammo oggetti, costringemmo la polizia a chiudersi nei locali. Ma non avevamo idea che quella notte stavamo facendo la storia”. La risposta alla domanda su cosa lei veda oggi dello spirito di quella notte è immediata: “La felicità e il fatto che stiamo ancora combattendo”.

    Nera e lesbica

    “Io vivevo a San Francisco, allora, e avevo 21 anni. La notizia arrivò tramite i giornali gay che stampavamo di nascosto e fummo subito solidali” dice Mandy Carter, arrivata qui dal North Carolina, dove vive adesso, per partecipare alle cerimonie di questi giorni.

    “Ero già un’attivista lesbica, ma era tutto molto difficile. C’erano leggi molto repressive e io vivevo una doppia battaglia: quella da lesbica e quella da nera – ricorda -. Avete un’idea di cosa abbia significato per noi, neri lgbt+, quando nel 2016 il primo presidente nero degli Stati Uniti (Barack Obama, ndr) proclamò monumento nazionale il parchetto davanti allo Stonewall Inn? Abbiamo pagato un prezzo altissimo, ma quanta strada abbiamo fatto da quella notte”.

    Dopo Obama è venuto Trump, le facciamo notare. “Sì, ma sai cosa penso – risponde -? Quando il cambiamento è così radicale, così profondo da essere arrivato alle province del North Carolina, Trump non mi spaventa più”.

    Credits: Caterina Coppola

    Finalmente a casa

    “Nessuno parla dei neri e dei latini che erano a Stonewall” denuncia la reverenda Goddess Kennedy, veterana di Stonewall e nera.

    Eppure le icone degli “Stonewall Riots” sono una nera e una latina, entrambe trans. “Sì, ma la componente nera e latina è sottorappresentata. Io ero nelle Black Panther – prosegue -. Ma io e quelli come me fummo costretti ad andarcene: non eravamo ben visti perché gay, lesbiche o trans”. “Quella notte arrivai qui, quasi per caso – continua – quando vidi quello che stava succedendo pensai solo: “ok, ora sono a casa”. Non furono scontri, come dicono tanti: fu una vera ribellione”. “Davvero venite dall’Italia – chiede stupita Barbara Volpe, veterana anche lei -? Mio nonno venne da Roma a New York tanti anni fa. Sono felice che siate qui con noi in questo anniversario”.

    Credits: Caterina Coppola

    New York Pride | Dall’Italia, per la storia e per Roma 2025

    Almeno 400 persone dall’Italia, dicevamo, parteciperanno alla parata del 30 giugno. “Per noi è importante essere a New York – spiega Sebastiano Secci, presidente del Circolo Mario Mieli di Roma -. Siamo qui non solo per sostenere la nostra candidatura al World Pride del 2025, ma soprattutto per confrontarci e contaminarci con chi organizza pride in tutto il mondo. Siamo qui per celebrare le ragazze di Stonewall rivendicando davanti a tutto il mondo l’orgoglio di essere lesbiche, trans, bisessuali e gay”.

    “In questi giorni celebriamo la storia di milioni di persone lgbt+ che hanno sofferto e lottato per la loro e la nostra libertà – aggiunge Alessandro Battaglia del Torino Pride e che da presidente di Quore ha presentato all’Enit di New York il progetto di promozione turistica “Friendly Piemonte”. “Abbiamo fatto un grande passo avanti con Torino e con la Regione, presentando il territorio come meta per i turisti lgbt di tutto il mondo – conclude -. Domenica marceremo rappresentando l’Italia e supportando la candidatura di Roma al World Pride del 2025”.

    E poi Famiglie Arcobaleno, Arcigay, le associazioni trans e quelle di legali lgbt: la foltissima rappresentanza italiana si prepara alla parata, nonostante siano previste temperature tropicali e regole un po’ troppo rigide, per gli standard dei cortei italiani (niente alcool, niente nudità, tenere il passo, non si entra in corteo se non in delegazioni iscritte, solo per fare qualche esempio). Ma domenica si celebra la storia. Domenica tutto il mondo lgbt+ marcerà a New York per dire che da quei tacchi lanciati con orgoglio, e da quello a cui hanno dato vita, non si torna indietro.

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