Alle elezioni spagnole 2019, che si sono tenute domenica 28 aprile, il partito ultraconservatore Vox è entrato per la prima volta in parlamento, con il 10,3 per cento dei voti
A dicembre 2018 aveva ottenuto il suo massimo risultato alle elezioni regionali in Andalusia. Un fatto, questo, che gli ha permesso di salire agli onori delle cronache e a essere individuato da gran parte della stampa e degli osservatori politici come un movimento euroscettico e sovranità pronto a farsi valere nel voto delle Europee del 2019.
A rendere il tutto più intrigante agli occhi degli osservatori c’è anche il fatto che in Spagna non erano fino a questo momento emersi in modo particolare movimenti sovranisti: il sistema politico del Paese, infatti, negli anni Novanta e Duemila è stato principalmente un bipolarismo tra socialisti e popolari con fuori dai poli i movimenti autonomisti e indipendentisti delle diverse comunità autonome spagnole.
Negli anni successivi è poi emerso sulla scena politica il movimento Podemos, una formazione di sinistra basata sulla democrazia diretta e l’ambientalismo che all’epoca aveva pochi paragoni in Europa, cui si è aggiunta poi la formazione liberale ed europeista di Ciudadanos. In tutto questo, diversamente da molti altri Paesi, non era emersa alcuna forza sovranista come ad esempio la Lega in Italia, il Front National in Francia o l’UKIP nel Regno Unito: uno spazio che potrebbe essere occupato da Vox.
Il tutto in un Paese che si trova lungo un’importante rotta migratoria, che è stato in passato ripreso dall’Unione europea per la situazione finanziaria non virtuosa e che ha avuto diversi problemi istituzionali, soprattutto durante la crisi catalana che ha toccato il proprio apice nel 2017. Tutte condizioni che sembrano essere favorevoli all’ascesa di una forza sovranista, ma in cui nessun movimento politico del genere aveva finora preso piede diversamente dal resto d’Europa.
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Le forze sovraniste, tuttavia, sono formazioni eterogenee dalle storie differenti che sono però oggi accomunate da una critica alle istituzioni europee e da un’opposizione all’immigrazione: spesso vengono identificate come “forze di estrema destra” ma in molti casi dare loro questa etichetta rappresenta un errore e si discosta molto dalla loro storia. In attesa di sapere se il risultato di Vox in Andalusia sia stato un unicum o l’inizio di una serie di successi, possiamo dire che anche per questo partito la storia è più complessa di quanto si possa pensare.
La storia di Vox prima delle elezioni in Andalusia
Per quanto Vox abbia conquistato con le elezioni andaluse del 2 dicembre 2018 l’onore delle cronache, la sua storia inizia esattamente cinque anni prima, nel dicembre 2013. In quell’occasione, un gruppo di esponenti del Partito Popolare spagnolo (PP) lasciarono la propria formazione politica, critici verso la politica fiscale e la linea troppo permissiva verso gli autonomisti catalani e baschi del governo guidato dal popolare Mariano Rajoy.
In tale occasione i “ribelli” del Pp fondarono Vox, un partito di orientamento conservatore guidato dal membro del parlamento basco Santiago Abascal (attuale leader del partito), da Josè Antonio Ortega Lara (tenuto prigioniero dal gruppo terrorista basco dell’Eta tra il 1996 e il 1997 lavorava al carcere di Logrono) e dal filosofo Josè Luis Gonzales Quiroz. Il nuovo partito si definì come “conservatore e cristiano democratico” e concorse per le elezioni europee del 2014, ottenendo l’1,57 per cento e non ottenendo alcun seggio.
Il programma politico di Vox era un programma conservatore: favorevoli a un governo più centralizzato che superasse l’attuale sistema spagnolo tendente al federalismo che tutela in parte le numerose autonomie linguistiche del Paese, un taglio delle tasse, l’opposizione all’aborto e la sostituzione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso con unioni civili.
Con il passare del tempo, tuttavia, l’originaria piattaforma tendenzialmente conservatrice ma con idee liberali in termini economici si è imparate spostata su istanze euroscettiche, con una critica al multiculturalismo e la contrarietà alla cessione di parte della sovranità spagnola all’Unione europea. Già nel 2015, con l’esplosione in tutta Europa della crisi dei migranti, Vox prese una chiara posizione contro l’immigrazione e il rischio di islamizzazione dell’Europa, dando inizio a quella che per la stampa spagnola è stata la svolta ideologica del partito.
Fino al 2017 Vox è rimasto ai margini della politica spagnola fino agli attentati di Barcellona dell’agosto di quell’anno e all’esplosione della crisi catalana. In quell’occasione, complice l’opposizione del partito all’autonomia delle regioni spagnole e al multiculturalismo, in appena 20 giorni i membri del partito aumentarono del 20 per cento.
Il 21 dicembre 2017 il partito decise inoltre di non presentarsi alle elezioni regionali catalane come forma di boicottaggio verso un voto definito “un accordo tra Rajoy e i golpisti”, dove i golpisti sarebbero gli indipendentisti catalani che avevano unilateralmente proclamato la secessione della Catalogna dalla Spagna.
Il 2 dicembre 2018, il voto in Catalogna ha poi portato alla definitiva consacrazione sulla scena politica nazionale di Vox, che con il suo 11 per cento dei voti è riuscita a eleggere 12 rappresentanti al parlamento locale. Un dato interessante su questo voto è che cinque anni fa, alle elezioni europee, Vox in Andalusia ottenne solamente l’1,2 per cento, al di sotto della madia nazionale dell’1,57. In tale occasione, le comunità in cui andò meglio furono l’exclave nordafricana di Melilla (5,96) e Madrid (3,64).
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