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    ESCLUSIVO – “Voglio solo dimenticare”: a TPI parla Patrick Zaki

    Credit: EPA/STRINGER

    "Scriverei un libro di gratitudine per ogni persona che mi ha aiutato. Mi occuperò di diritti umani. In carcere ho imparato che è troppo presto per fare piani a lungo termine. Girerò l’Italia per ringraziarvi"

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 16 Dic. 2021 alle 13:24 Aggiornato il 16 Dic. 2021 alle 15:21

    “Una delle lezioni più importanti che ho imparato in carcere è che è troppo presto per fare piani a lungo termine per il futuro”. Patrick Zaki, il trentenne, ricercatore egiziano dell’Università di Bologna, è stato scarcerato lo scorso 8 dicembre. Era detenuto al commissariato di Mansura dal 7 febbraio 2020, quando fu arrestato appena arrivato in Egitto per una vacanza. La sua vita è precipitata in un attimo, catapultato in una delle peggiori carceri al mondo – la prigione cariota di Tora – ha trascorso mesi chiuso in una cella, con l’unico conforto dei ricordi e del desiderio di tornare a studiare, in Italia, dove lo aspettano tanti amici e amiche. Zaki è fuori dal carcere, ma non è libero. La prossima udienza è stata fissata il primo febbraio 2022.

    Qual è stato il momento più difficile che ricordi di questi lunghi mesi di carcere?
    Tutti e due gli anni sono stati duri, non c’è un periodo specifico, aprire gli occhi ogni giorno in una cella chiusa è difficile e serve molto tempo per dimenticare.

    C’è stato un momento in cui pensavi di non farcela?
    Sì, ci sono stati alti e bassi.

    Cosa ti è mancato di più?
    La mia fidanzata, la mia famiglia, la città di Bologna, il calcio e il mio lavoro.

    Hai pensato a cosa vuoi fare da grande?
    Al momento voglio concentrarmi sul mondo accademico, ho bisogno di recuperare il tempo che ho perso e di laurearmi e poi vedremo dove ci porterà la vita. Una delle lezioni più importanti che ho imparato in carcere è che è troppo presto per fare piani a lungo termine per il futuro.

    Vuoi occuparti di diritti umani?
    Certo.

    C’è chi ha digiunato per te, chi ha girato l’Italia in bici per chiedere la tua liberazione, cosa vuoi dire a questi italiani?
    Se potessi scrivere un libro pieno di gratitudine per ogni persona che ha partecipato in qualsiasi modo al mio caso, non sarebbe abbastanza.

    Sai che molte città in Italia ti hanno fatto cittadino onorario?
    L’ho saputo solo quando sono stato rilasciato, sarà un’ottima occasione per fare un tour in tutta Italia per ringraziare ogni città

    L’inferno dove era prigioniero

    Il complesso carcerario di Tora è considerato uno dei peggiori d’Egitto, ed è situato nell’omonima città (nota anche come Tura) a sud del Cairo. L’istituto comprende quattro prigioni, un ospedale militare e un carcere di massima sicurezza noto come Scorpion. Da diverse organizzazioni umanitarie, giornalisti e attivisti, Tora, e precisamente l’ala Scorpion, è considerata una tomba. È lì che vengono imprigionati attivisti, giornalisti, intellettuali, oppositori del regime egiziano.

    È qui che Patrick Zaki ha trascorso gran parte della sua prigionia da quando è stato arrestato al Cairo, l’8 febbraio 2020. Nella prigione di Tora lavorano gli uomini mukhabarat della Qata`al-Amn al-Watani, ossia i militari e i poliziotti dell’agenzia di intelligence egiziana, e che rispondono direttamente ad Abdel el-Ghaffar, considerato uno degli uomini chiave coinvolti nella misteriosa morte di Giulio Regeni.

    Un dossier di 80 pagine redatto nel 2016 dalla ong Human Rights Watch racconta i trattamenti inumani riservati ai detenuti di Tora che vivono in spazi angusti senza letto né materasso, con privazioni di cibo e medicine. Ai prigionieri vengono inflitti vari tipi di torture e maltrattamenti basati su pestaggi e abusi anche sessuali, senza che alcun legale o familiare possa incontrare i detenuti, definiti “sepolti vivi”.

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