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    Il virus Zika provoca la microcefalia

    Le autorità sanitarie statunitensi hanno confermato la correlazione tra l'infezione da Zika e la microcefalia nei neonati, se a contrarre il virus sono le donne incinte

    Di TPI
    Pubblicato il 14 Apr. 2016 alle 09:51 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:05

    Il centro per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Stati Uniti (Cdc), ha confermato che il virus Zika provoca la microcefalia e altre malattie infantili, come era stato ipotizzato poco tempo dopo lo scoppio dell’epidemia. Centinaia di bambini nati in Brasile nei mesi scorsi, riportavano testa piccola e altri disturbi. La diffusione di questa malattia è coincisa con l’epidemia di Zika nel paese e in tutto il continente sudamericano. “Adesso è confermato che il virus causa la microcefalia”, ha dichiarato Tom Frieden, il direttore del Cdc. Le autorità sanitarie degli Stati Uniti hanno messo in guardia il governo sulla possibilità di diffusione del virus nel paese, chiedendo sforzi maggiori nella prevenzione. 

    Ma cos’è esattamente questo virus che sta seminando il panico in tutto il continente americano? 

    Quando è stato isolato?

    Il virus è stato isolato nel 1947, da una scimmia nella foresta Zika in Uganda, da cui prende anche il nome. Da allora ha causato piccoli e sporadici focolai in alcune parti dell’Africa e del sudest asiatico.

    Il primo caso di contagio su un essere umano si è verificato in Nigeria nel 1954, ma è stato ignorato dalla comunità scientifica per decenni. Ci si è iniziati a interessare al virus solo nel 2007, quando un focolaio è esploso nell’isola di Yap, in Micronesia.

    Fino a quel momento i casi di contagio erano stati solo 15. Oltre all’America latina, altri focolai si erano verificati tra il 2012 e il 2013 nel Pacifico, alle isole Salomone, a Fiji e Vanuatu. In Brasile, per ragioni ancora poco chiare, si è ora rapidamente diffuso, arrivando a colpire fino a un milione e mezzo di persone. 

    (Nella foto qui sotto: Geovane, di 32 anni, insieme a suo figlio di due mesi Gustavo Henriqu nato con la microcefalia, ovvero con la testa più piccola del normale e, di conseguenza, danni cerebrali. La foto è stata scattata a Recife, in Brasile, l’11 febbraio 2016. Credit: Nacho Doce) 

    Quando ha iniziato a diventare allarmante la situazione? 

    Il virus ha iniziato a manifestarsi più diffusamente in Brasile nel mese di maggio del 2015 e si è allargato in gran parte dell’America latina, dal Messico al Paraguay e anche in gran parte degli stati insulari. 

    Fino al mese di ottobre non era però considerato una minaccia: solo un quinto delle persone che lo contraevano poi effettivamente si ammalava. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che il virus potesse essere arrivato nel paese nel 2014 in occasione dei mondiali di calcio che avevano attirato visitatori da tutto il mondo. 

    Il campanello di allarme è suonato però definitivamente a ottobre, quando i medici dello stato federale brasiliano di Pernambuco, nel nordest del Brasile, hanno iniziato a riscontrare un aumento dei bambini nati con microcefalia.

    I dati parlano di 3.893 casi totali documentati nel solo 2015 in Brasile, che rimane il paese in assoluto più colpito. Nei 5 anni precedenti al 2015 i casi erano stati invece in media meno di 200 l’anno.

    Come si trasmette?

    Il virus può essere trasmesso solo dalle zanzare e non da persona a persona, tranne nel caso della madre e del feto. Finora sono stati registrati due casi di una presunta trasmissione sessuale da persona a persona, ma le autorità sostengono che non ci sono prove verificate in tal senso.

    Gli scienziati del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense hanno scoperto infatti che il virus Zika può trasmettersi dalla madre al feto, dal momento che è stato trovato il virus nel liquido amniotico di donne che avevano in grembo bambini affetti da microcefalia.

    La zanzara punge una persona infetta e poi, pungendone successivamente un’altra ne infetta il sangue trasmettendo la malattia. Più precisamente si tratta dell’Aedes aegypti, che è anche il vettore della dengue e della febbre gialla. È un insetto che vive in climi tropicali, ma una zanzara simile, l’Aedes albopictus, riesce a vivere anche più a nord, fino a New York o Chicago in alcune zone dell’Europa meridionale. 

    Quali sono i sintomi?

    I sintomi sono simili a quelli della dengue o della febbre gialla come lieve febbre, eruzioni cutanee, dolori articolari e occhi rossi. Gli scienziati hanno però osservato correlazioni sempre più frequenti con la microcefalia nei bambini e altre malattie autoimmuni o del sistema nervoso negli adulti, tra cui la sindrome di Guillain-Barré, che può portare alla paralisi degli arti. La morte è invece una possibilità pressoché remota. 

    Cosa si sta facendo per affrontarlo?

    L’unico modo per combattere Zika è quello di eliminare l’acqua stagnante dove le zanzare si riproducono per impedire lo sviluppo delle larve. I governi di tutto il mondo hanno inoltre consigliato alle donne incinte di non recarsi nei paesi dove è in corso l’epidemia.

    Nel mese di dicembre 2015 il Brasile ha decretato lo stato di emergenza sanitaria nazionale per eliminare ostacoli burocratici per l’acquisto di particolari strumenti come insetticidi o attrezzature per medici e infermieri. Anche l’esercito è stato allertato per aiutare gli operatori sanitari nella disinfestazione.

    Inoltre, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense ha raccomandato a chiunque viaggi nelle aree interessate, di usare repellenti per insetti o zanzariere e indossare pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe.

    Esiste un vaccino?

    I ricercatori americani hanno iniziato a lavorare a un vaccino, così come sta facendo lo stesso un’azienda indiana. Non ci si aspetta tuttavia che sia pronto un vaccino a breve.

    A differenza di quello per Ebola, però, che era stato in cantiere per un decennio prima che scoppiasse l’epidemia in Africa occidentale, questo si trova ancora allo stadio zero, così come i potenziali farmaci antivirali.

    I ricercatori dell’Università del Texas si sono recati in Brasile per prelevare campioni utili e li stanno adesso analizzando in un laboratorio ad alta sicurezza di Galveston, in Texas. 

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