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    Le verità indicibili sulla strage di Stato degli studenti desaparecidos di Ayotzinapa

    Credit: AP Photo

    Nel 2014 Omar Garcia studiava ad Ayotzinapa. Il 26 settembre i suoi compagni, diretti nella capitale, lo avvisarono che polizia e banditi li stavano attaccando. Oggi, a 10 anni dalla scomparsa di 43 suoi amici, il deputato non smette di chiedere giustizia. Ma il caso ha scoperchiato i rapporti tra criminalità e politica

    Di Andrea Cegna
    Pubblicato il 23 Set. 2024 alle 09:09

    La notte del 26 settembre del 2014 Omar Garcia, studente della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, riceve una chiamata che cambierà la sua vita e la storia del Messico. Sono i suoi compagni di scuola che lo chiamano perché la polizia federale, municipale e gruppi del crimine organizzato li stanno attaccando, a Iguala, città dello stato messicano del Guerrero. Alla fine dell’operazione sei persone saranno ammazzate e 43 studenti spariranno nel nulla, e ancora non si sa niente della loro fine. Una storia che pare riportare l’orologio al tempo della “guerra zozza” di fine anni ’60.  

    Omar Garcia, era presidente del Comitato della Coscienza Politica della Normale Rurale di Ayotzinapa, aveva 26 anni, e dal giorno seguente ha pubblicamente gestito l’accaduto del 26 settembre. Nel frattempo si è laureato in Diritto e ora è deputato della Repubblica del Messico. 

    Il suo vero nome è Manuel Vázquez Arellano, ma il mondo ha avuto bisogno di diversi anni per scoprirlo. La storia di Omar/Manuel è quella di un militante politico e studente delle Scuole Normali Rurali, istituzioni create in Messico nel 1922 e tuttora esistenti. Nascono come coda della rivoluzione iniziata nel 1910 e come critica al sistema centralizzato e urbanizzato che si inizia a costruire dal 1920 in poi. Il loro obiettivo iniziale era quello di formare insegnanti che svolgessero le loro funzioni pedagogiche nelle aree rurali e quindi garantire una formazione adeguata alla tipologia di contesto socio/economico in cui si trovavano ad operare.

    A partire dal 1935 le Scuole Rurali entrarono nella Federazione degli studenti contadini socialisti del Messico (Fecsm), organizzazione facente parte della Confederazione della Gioventù Messicana (Cjm). Ben presto dentro la Fecsm si formò un’ala radicale che criticava la Cjm, e nel momento in cui Lucio Cabañas divenne presidente della Fecsm la federazione si divise. La storia conflittuale e radicale delle Scuole Normali Rurali e della Fecsm porterà a subire diverse ondate repressive, la più grave sarà a seguito del movimento del 1968, con la chiusura di 14 scuole.

    Versione “storica”
    Proprio dentro la storia delle Scuole Normali Rurali si deve cercare l’origine dei fatti di Iguala. Gli studenti desaparecidos, e gran parte di quelli uccisi, si trovavano nella città del Guerrero per prendere dei pullman che li avrebbero portati a Città del Messico per partecipare alla manifestazione in ricordo del massacro studentesco di Piazza Tlatelolco (Piazza delle Tre Culture). L’usanza degli studenti di Ayotzinapa era di arrivare a Iguala, occupare dei bus e trattare quindi la cifra più bassa possibile per il trasferimento nella capitale. La notte del 26 settembre tutto procedeva  come al solito, fino a quando per cinque volte in quattro ore gli studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” subiscono attacchi. 

    A subire la violenza, fatta anche di colpi da arma da fuoco, di quella notte è anche una squadra di calcio amatoriale che viaggiava su un bus simile a quello degli studenti. I sei morti di quella notte sono tre studenti (Julio César Mondragón Fontes, Daniel Solís Gallardo, Julio César Ramírez Nava), un giocatore del team di calcio Los Avispones, David Josué García Evangelista, l’autista del bus della squadra, Víctor Manuel Lugo Ortiz, e una donna, Blanca Montiel Sánchez, passeggera di un taxi che passava di lì durante gli attacchi. Dopo dieci anni è stata ricostruita la scena degli attacchi, si è scoperto che la “verità storica” presentata dalla Procura Generale della Repubblica e appoggiata dal presidente del Messico allora in carica, Enrique Peña Nieto, è una farsa ed è stata fabbricata ad arte attraverso la tortura delle persone interrogate e la manomissione delle prove. 

    La supposta verità fabbricata dal governo diceva che gli studenti dopo essere stati fermati dalle forze di polizia furono consegnati a forze del crimine organizzato che li portò quindi alla cava di Cocula e qui li bruciò. La stessa “verità” direbbe che la “causa” dell’attacco ai bus dei “normalisti” si deve al fatto che su quei mezzi fosse stata nascosta dell’eroina che sarebbe dovuta andare a Chicago e quindi i gruppo del crimine organizzato pretesero, tramite la loro infiltrazione nelle forze di polizia, la “testa” degli studenti. Anche questa “verità” non pare così vera. 

    Le indagini ufficiali sono state smontate pezzo pezzo grazie al lavoro del Gruppo Indipendente di Esperti Interdisciplinari, degli avvocati e dei gruppi dei diritti umani che seguono le famiglie dei 43 desaparecidos, e dal lavoro di giornaliste e giornalisti. Ben presto, dalle strade del Messico che si riempivano per chiedere verità, giustizia, e la restituzione in vita dei 43, si levò il grido “Fue el Estado” (è colpa dello Stato), un grido che poi è diventato realtà. «La Presidenza della Commissione per la verità e l’accesso alla giustizia nel caso Ayotzinapa (CoVAJ) ha dimostrato che la cosiddetta verità storica è stata una costruzione – elaborata dal governo federale – per coprire i fatti e legittimare e imporre la versione ufficiale dell’incenerimento dei 43 studenti nella discarica di Cocula e per archiviare il caso.

    La complicità dei funzionari dei tre livelli di governo e le azioni concertate per nascondere la verità costituiscono un crimine di Stato», si può leggere in un comunicato stampa sul sito ufficiale dell’esecutivo. Nei primi anni di governo di Andres Manuel Lopez Obrador (spesso indicato con l’acronimo Amlo) ci sono stati dei passi in avanti anche nelle indagini ufficiali, nella sua vittoriosa campagna elettorale il presidente aveva promesso verità e giustizia per il caso. Ma i passi in avanti si sono fermati e scontrati davanti all’esercito messicano, forza armata che, nonostante conclamate responsabilità, non ha voluto partecipare all’indagine. Questo muro si è alzato ogni giorno di più contestualmente alla decisione di Amlo di dare sempre più forza e legittimità all’esercito. È stata cambiata la Costituzione da Amlo e ora corpi dell’esercito si sono trasformati in aziende che controllano l’aeroporto di Città del Messico e altre grandi opere infrastrutturali, come il Tren Maya. 

    Nel comunicato sopra citato, datato 27 settembre 2023, si legge anche che «le autorità federali, statali e municipali sono sempre state a conoscenza della mobilitazione degli studenti, dalla loro partenza dalla Scuola Normale Isidro Burgos fino alla loro scomparsa. Le loro azioni, omissioni e partecipazioni hanno permesso la scomparsa e l’esecuzione degli studenti, oltre all’omicidio di altre sei persone. Gli studenti sono stati regolarmente controllati dall’intelligence militare per anni prima di quanto accaduto il 26 e 27 settembre 2014 a Iguala. Il comando militare non è intervenuto neppure per proteggere e cercare il soldato Julio César López Patolzin, che si trovava nel gruppo di studenti (come infiltrato, ndr)».

    «Il gruppo criminale ha agito con un gran numero di persone di un comando centrale e almeno tre cellule di falchi e assassini a pagamento, con il supporto di varie polizie municipali e agenti statali. Sulla base dei dati riscontrati, la Commissione per la verità e l’accesso alla giustizia nel caso Ayotzinapa ha compiuto progressi significativi rispetto alla Procura speciale per i movimenti sociali e politici del passato, ottenendo anche risultati che superano le aspettative delle commissioni per la verità in altri Paesi».

    Complicità istituzionali
    Già a fine luglio dell’anno scorso, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) aveva pubblicato il suo sesto rapporto sul caso della sparizione forzata dei 43 studenti dove denunciava ciò che la Procura messicana e il governo hanno poi fatto proprio. Nel rapporto vengono descritti i diversi livelli di coinvolgimento e responsabilità a vari livelli dello Stato nella scomparsa dei 43. Durante la conferenza stampa di presentazione sono stati ripercorsi gli anni di investigazione ricordando l’intreccio tra politica, forze militari e criminali e ribadito che «c’è chi sa cosa è successo e perché, ma chi sa non vuole collaborare e ostacola le indagini». 

    Il rapporto è molto netto nella determinazione delle responsabilità del ministero della Difesa Nazionale (Sedena), del ministero della Marina (Semar), del Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (Cisen, oggi Centro Nazionale di Intelligence), così come della polizia municipale, statale, federale, e ministeriale nella sparizione forzata, negli omicidi del 26 settembre, e nella manipolazione delle prove e nell’occultamento delle informazioni successive.

    Carlos Martín Beristain, il portavoce del Giei, che intervistai lo scorso anno per Altreconomia, disse parlando del ruolo del presidente Andres Manuel Lopez Obrador: «Con lui abbiamo avuto un buon rapporto. Ha ordinato di aprire gli archivi e questo per noi è stato molto importante, anche per avere contatti di alto livello con i vertici militari. Poi, però i militari hanno detto al presidente che non c’erano altre prove. Noi ci siamo rivolti nuovamente a lui spiegandogli che non era così e che le istituzioni non stavano collaborando. López Obrador sa tutte queste cose, lo abbiamo incontrato ripetutamente per raccontargli quello che avevamo scoperto e per chiedergli nuovo aiuto per accedere agli archivi che ci venivano negati. Purtroppo non abbiamo potuto consultare quei documenti».

    Nella stessa intervista il membro del Giei, che intanto ha sospeso le sue operazioni di ricerca, disse: «A nostro avviso, questa vicenda è una radiografia di quello che accade anche in altre zone del Paese dove il legame tra le corporazioni di polizia, lo Stato ed il narcotraffico è forte. Questi legami tra gruppi criminali e parti dello Stato spiegano come sia stato possibile che i giovani di Ayotzinapa non siano stati protetti. Ed è un esempio delle violenze che la popolazione civile è costretta a subire anche in altre parti del Messico».

    Il presidente Lopez Obrador ha pesantemente contestato le parole del Giei e giorno dopo giorno è sempre più entrato in conflitto con i padri e le madri dei 43 desaparecidos (di tre di loro sono stati trovati i resti ed è quindi stata determinata la morte). Dopo l’arrivo alla presidenza di López Obrador nel 2020, il Giei è potuto tornare nel Paese proprio su invito del nuovo governo per assistere alle indagini ed è stata creata la Commissione per la verità, CoVAJ. Ma dal 2022 in poi gli ostacoli sono diventati sempre maggiori e si è arrivati all’allontanamento del Pubblico ministero dal caso e allo stop quasi definitivo dei mandati di cattura, anche quelli già concessi da un giudice.

    Una promessa non mantenuta
    A inizio settembre 2024, a pochi giorni dal decennale dei fatti di Iguala, durante una manifestazione pubblica, Estanislao Mendoza, padre di Miguel Ángel Mendoza Zacarías, ha rimproverato il presidente López Obrador per non aver mantenuto la promessa fatta loro il 25 maggio 2018 quando era in campagna elettorale, e che a poco più di un mese dalla fine del suo governo non ha risolto il caso. «Dopo dieci anni stiamo ancora protestando e la nostra denuncia al governo è: “Dov’è la promessa che hai fatto, che li avresti trovati?”. Stiamo aspettando», ha sottolineato Mendoza. Padri e madri dei 43 si sono divisi recentemente, 19 hanno deciso di disconoscere il lavoro dell’avvocato Vidulfo Rosales del Centro dei Diritti Umani la Montaña Tlachinollan e Miguel Agustín Pro Juárez e hanno così saltato gli ultimi incontri. Rosales ha accusato i 19 di essere stato cooptati dalla Commissione presidenziale per la verità e la giustizia nel caso Ayotzinapa (CoVAJ), la Commissione esecutiva per l’attenzione alle vittime (Ceav) e la Commissione nazionale per i diritti umani (Cndh). 

    Manuel Vázquez Arellano, dopo essere stato portavoce degli studenti di Ayotzinapa e aver lavorato gomito a gomito con i genitori dei 43, ha trasformato il suo impegno politico, passando dalla Fecsm e dalla lotta di base ai centri dei diritti umani e quindi al Parlamento messicano. È diventato parlamentare nel 2018, partecipando di fatto alla campagna elettorale di Andres Manuel Lopez Obrador. Da quel momento ha lasciato le strade ma la sua voce ha continuato a chiedere verità e giustizia per i fatti di Iguala. Il presidente Andrés Manuel López Obrador, ha detto lo scorso marzo, «ha esaurito il tempo» e «non risolverà il caso» di Ayotzinapa. «Ha dato molta fiducia e molta partecipazione al ministero della Difesa Nazionale e ai militari», aveva denunciato qualche settimana prima. «La popolazione certamente ha fiducia in queste istituzioni ma non c’è motivo di farle intervenire in un caso che è rimasto irrisolto per quasi dieci anni e che il presidente si è impegnato a risolvere, perché questo è diventato un caso di Stato», aveva aggiunto. «Un’istituzione non può ostacolare l’esecutivo nel compito di scoprire cosa è successo ai 43 normalisti, i nostri compagni».

    Manuel Vázquez Arellano critica Amlo quando pensa sia il caso e anche la scelta di dar sempre più potere all’esercito, ma allo stesso tempo si è fatto rieleggere nelle fila del suo partito Morena (in spagnolo: Movimiento Regeneración Nacional) e continua a sostenere il progetto politico di Andrés Manuel López Obrador e ora della neopresidente eletta Claudia Sheinbaum, che entrerà in carica il 1° ottobre. 

    A dieci anni dalla telefonata che cambiò la vita di “Omar Garcia”, il caso di Iguala è diventato uno spartiacque, la sparizione dei 43 di Ayotzinapa ha scoperchiato il rapporto ambiguo tra crimine e Stato, e rotto definitivamente la narrativa della “guerra alla droga” iniziata del 2006. Un conflitto “narrato” come necessario per risolvere la violenza nel Paese ma che si è mostrato essere altro. Un conflitto sociale che pare sia stato l’inizio della creazione di un sistema di controllo del territorio e non uno scontro contro i gruppi criminali. Ora risolvere il caso dei 43, sapere che fine hanno fatto, dove e quando è stato dato l’ordine di attaccarli per «dare loro una lezione esemplare», e chi ha organizzato e voluto il depistaggio delle indagini e come tutto ciò è stato organizzato tenendo assieme le diverse forze di polizia, la politica, il crimine organizzato e l’esercito significherebbe svelare ciò che da quasi vent’anni segna il Messico e determina la violenza che insanguina ogni giorno il Paese.

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