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    Vent’anni dopo

    A vent'anni di distanza dal genocidio, il Ruanda è un paese vivo e fiorente, ma ancora segnato da quella tragedia

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 7 Apr. 2014 alle 08:07 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 08:24

    Vent’anni fa, in cento giorni di massacri tra aprile e luglio 1994, circa un milione di uomini, donne e bambini ruandesi sono stati uccisi dai loro concittadini. Si è trattato di uno dei peggiori genocidi della storia, che ha lasciato il segno in Ruanda, in Africa e nel mondo.

    Con uno sterminio premeditato le milizie estremiste Hutu hanno massacrato i membri della minoranza etnica Tutsi – uccidendo i tre quarti di loro presenti nel paese – così come gli Hutu moderati. Molti di coloro che sono sopravvissuti alla carneficina sono stati mandati in esilio o sono rimasti sfregiati; lo stupro è stato usato come arma, diffondendo l’HIV. Almeno 800 mila persone sono morte.

    In questi giorni, centinaia di persone si sono riunite nella capitale del Ruanda, Kigali, per le cerimonie commemorative delle vittime, cui però non prenderà parte alcun rappresentante del governo francese. La Francia ha voluto prendere in questo modo le distanze da quanto dichiarato in un’intervista con il settimanale Jeune Afrique dal presidente Kagame, il quale ha denunciato apertamente il “ruolo diretto del Belgio e della Francia in preparazione politica per il genocidio”. Il ministero degli esteri francese ha detto che i commenti del presidente Kagame vanno contro gli sforzi di riconciliazione compiuti dai due paesi.

    In un commento pubblicato sul Los Angeles Times, Jonathan Tepperman spiega che visitando il Ruanda oggi si scopre una terra straordinariamente tranquilla e ben ordinata. Hutu e Tutsi convivono pacificamente in villaggi di campagna. Sotto la leadership tecnocratica e di buon senso del presidente Paul Kagame, che ha guidato il paese dal rovesciamento del regime, l’economia del Ruanda è esplosa: il Pil è salito a un tasso medio dell’8 per cento negli ultimi cinque anni e più di un milione di cittadini sono usciti dalla soglia di povertà dal 2006.

    L’anno scorso, la Banca mondiale ha classificato il Ruanda come il secondo posto migliore in Africa per fare affari, mentre per Transparency International è la seconda nazione meno corrotta del continente.La mortalità infantile è scesa del 70%, e le morti per malaria e malattie correlate sono crollati più dell’85 per cento dal 2005.

    Le donne ruandesi, inoltre, hanno fatto la storia con il loro nuovo ruolo vitale nella politica e nella società civile, come racconta Swanee Hunt su Foreign Affairs. Non più confinate a lavori di casa, sono diventate una forza politica dal consiglio del più piccolo villaggio fino alle più alte sfere del governo nazionale.

    Nonostante questi successi, negli ultimi anni le accuse contro il presidente Kagame sono diventate sempre più numerose e difficili da ignorare. I giornalisti ruandesi lamentano frequenti molestie dal governo e l’anno scorso il trattamento riservato ai media ha fatto sì che il Paese fosse dichiarato “non libero” dalla classifica di Freedom House.

    Kagame ha vietato alcuni partiti politici, ha vinto le sue ultime due elezioni con margini di consenso poco realistici (oltre il 90 % sia nel 2003 e nel 2010) e al momento rifiuta di garantire le sue dimissioni alla fine del suo secondo mandato – che termina nel 2017- come richiederebbe la Costituzione.

    Molti cittadini si lamentano inoltre perché i migliori posti di lavoro appartengono ai Tutsi, che rappresentano solo il 14 per cento della popolazione e costituiscono anche la maggioranza del governo di Kagame.

    Anche gli Stati Uniti, l’alleato più coraggioso di Kagame, alla fine sembrano aver perso la pazienza. Dopo anni di sostegno a Kagame, nel dicembre del 2012 il presidente Obama è intervenuto personalmente chiedendo al presidente ruandese di fermare la sua ingerenza nella vicina guerra civile del Congo, che sembra ormai interminabile.

    In una recente intervista, Kagame ha risposto a critiche simili a queste che sono state mosse al suo paese dagli esperti stranieri, notando come la gran parte di essi non abbia mai visitato il luogo di cui stanno parlando. “Gli esperti vogliono vedere il Ruanda a loro immagine. Pensano come i ruandesi devono comportarsi, pensare. Ogni cosa fatta diversamente è sbagliata. E questo non va bene”, ha detto Kagame.

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