Quattro giornalisti arrestati durante i disordini seguiti alle contestate elezioni presidenziali del 28 luglio scorso in Venezuela sono stati accusati di “terrorismo”. La denuncia arriva dal Sindicato Nacional de Trabajadores de la Prensa (Sntp), l’associazione locale a tutela della stampa, secondo cui i cronisti fermati non hanno nemmeno avuto la possibilità di scegliersi i propri avvocati.
In totale, secondo il sindacato venezuelano, sono nove i giornalisti arrestati in pochi giorni, tra cui una cronista, che al momento del fermo stavano lavorando in varie località del Paese. Secondo i dati ufficiali diramati dal governo di Caracas, almeno 2.400 persone sono state arrestate in Venezuela dall’inizio dei disordini, che hanno provocato la morte di due agenti della Guardia nazionale.
“Denunciamo l’uso illegale e arbitrario delle leggi antiterrorismo in Venezuela, in particolare contro i giornalisti detenuti durante le proteste post-elettorali nel Paese”, si legge in una nota diramata sui social nella notte italiana dal Sntp. Tra i fermati, secondo il sindacato, i fotografi Yousner Alvarado e Deisy Pena, il cameraman Paul Leon e il giornalista José Gregorio Carneiro sono stati accusati di terrorismo. “In tutti i casi è stato rifiutato il ricorso alla difesa privata”, sottolinea l’associazione a tutela della stampa.
Inoltre, secondo una denuncia dell’ong Aula Abierta, “tra le misure repressive attuate, c’è il ritiro arbitrario dei passaporti, una misura utilizzata come strumento di persecuzione contro politici dell’opposizione, accademici critici, attivisti e difensori dei diritti umani, che ricorda le tattiche repressive osservate in altri regimi autoritari, in particolare in Nicaragua, rappresentando una grave violazione dei diritti umani e delle norme internazionali che garantiscono la libertà di movimento, il diritto all’identificazione, compreso il diritto alla nazionalità”.
“Il ritiro dei passaporti come forma di repressione politica non solo limita la capacità delle persone colpite di viaggiare e partecipare ad attività accademiche internazionali, ma serve anche come mezzo per mettere a tacere il dissenso, non permettendo loro di identificarsi, in violazione dei loro diritti umani”, prosegue la nota. “Le azioni del governo Maduro in relazione alle restrizioni sui passaporti devono essere viste come parte di un più ampio piano di rappresaglia contro coloro che criticano o sfidano il potere costituito”.
Si tratta, secondo le ong Provea e Human Rights Watch, di un’ulteriore conferma della repressione messa in atto dall’attuale Governo di Caracas che, in seguito alle elezioni, ha causato almeno 24 morti. Ma i disordini seguiti alla proclamazione della vittoria del presidente uscente Nicolas Maduro, che sostiene di essere stato rieletto per un terzo mandato, hanno provocato anche una crisi internazionale.
Tra gli arrestati dalla polizia fedele a Maduro figurano infatti diversi leader dell’opposizione, tra cui il giornalista Roland Carreno, attivista del partito Voluntad Popular, mentre la Procura ha aperto un’indagine penale contro il candidato presidente dell’opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia e la leader dei dissidenti Maria Corina Machado, di cui il presidente chiede l’arresto perché sostengono di aver ottenuto la vittoria alle presidenziali. Un risultato riconosciuto dagli Stati Uniti, mentre l’Unione europea ha chiesto agli organi elettorali competenti di pubblicare tutti i documenti relativi alle consultazioni, che secondo Bruxelles “non hanno rispettato gli standard internazionali”.
Il 2 agosto il Consiglio elettorale nazionale ha ratificato la vittoria di Maduro con il 52 per cento dei voti, senza però rendere pubblici tutti i verbali dei seggi elettorali, sostenendo di essere rimasto vittima di un attacco informatico. Secondo l’opposizione però, che ha pubblicato i verbali ottenuti grazie ai propri scrutatori – la cui validità è stata messa in dubbio dai sostenitori di Maduro – Gonzalez Urrutia avrebbe vinto le elezioni con il 67 per cento delle preferenze.