Elon Musk è già l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato in quasi 300 miliardi di dollari, ma ora che si appresta a guidare il nuovo dipartimento per l’Efficienza Governativa (in inglese: Department of Government Efficiency, DOGE) affidatogli dal presidente eletto Donald Trump nella prossima amministrazione degli Stati Uniti, i suoi molteplici interessi imprenditoriali e gli appalti a Washington potrebbero subire un’impennata.
A più di una settimana dalla rielezione del miliardario newyorkese alla Casa bianca, tra rialzi in borsa e sul mercato dei futures, le sole azioni Tesla hanno totalizzato un guadagno complessivo del 37 per cento accrescendo, secondo Barron’s, di altri 60 miliardi di dollari il patrimonio di Musk. Ma è solo una piccola parte della torta.
L’impero di Elon Musk
Il miliardario guida infatti sei società, tra cui alcune delle più importanti del pianeta. Musk controlla oltre 715 milioni di azioni Tesla, pari al 20,5 per cento del capitale della più grande casa automobilistica elettrica al mondo, fondata nel 2003ma di cui è amministratore delegato dall’ottobre 2008. Ma dal 2002, anno della sua costituzione, Elon è anche a.d. della società aerospaziale SpaceX, di cui possiede il 42 per cento del capitale sociale, che offre anche i servizi Internet satellitare Starlink.
L’imprenditore di origini sudafricane controlla inoltre il 79 per cento della piattaforma social X (ex Twitter), una maggioranza acquisita nel 2022 per 44 miliardi di dollari, e il 90 per cento delle azioni di The Boring Company, fondata nel 2016 allo scopo di decongestionare il traffico urbano attraverso lo scavo di tunnel sotterranei in cui far transitare centinaia di auto elettriche a guida autonoma marca Tesla.
Elon controlla e guida anche le startup xAI, costituita nel 2023 come concorrente della casa madre di ChatGPT OpenAI, che contribuì a fondare ma da cui uscì nel 2018, e Neuralink, che progetta dispositivi connessi alla rete da impiantare nel cervello umano per comunicare con i computer direttamente attraverso il pensiero.
Un vero e proprio impero da centinaia di miliardi di dollari che al momento non sembra costituire un ostacolo al suo ingresso nell’amministrazione americana, a cui qualcuna di queste aziende fornisce servizi per miliardi di dollari.
Il conflitto di interessi di Elon Musk
Gli interessi in ballo sono tantissimi. Le aziende di Musk infatti, in particolare SpaceX, figurano tra i principali appaltatori del governo federale statunitense, dai voli spaziali per la Nasa ai satelliti spia per il Pentagono, e un incarico volto alla de-regolamentazione dei settori in cui operano le sue società favorirebbe di certo l’uomo più ricco del mondo. Non è forse un caso che il nuovo dipartimento affidato da Trump a lui e a Vivek Ramaswamy si chiami “DOGE”, proprio come la cripotovaluta Dogecoin promossa dall’imprenditore di origini sudafricane per l’acquisto di auto Tesla. Ma il problema, per l’entourage del tycoon, non si pone.
Anche se le norme in vigore negli Usa teoricamente impediscono ai dipendenti del governo federale, compresi i consulenti non retribuiti, di prendere parte a decisioni amministrative che potrebbero influenzare i loro interessi finanziari, a meno che non si astengano dal partecipare al processo decisionale o cedano le proprie quote negli enti e nelle aziende coinvolte, il patron di Tesla, X e SpaceX potrebbe fare eccezione.
Nel comunicato in cui annunciava la nomina di Musk e Ramaswamy infatti Trump ha precisato che il nuovo DOGE non sarà un dipartimento come gli altri ma un gruppo esterno all’amministrazione, che “fornirà consigli e indicazioni al di fuori del governo e collaborerà con la Casa bianca e l’Office of Management & Budget per guidare una riforma strutturale su larga scala e creare un approccio imprenditoriale mai visto prima all’amministrazione”. Insomma il miliardario di origini sudafricane, il cui mandato scadrà il 4 luglio 2026, potrà solo fare delle raccomandazioni, che poi toccherà ai funzionari dell’amministrazione eseguire. Pazienza se, incidentalmente, queste avranno effetto sulle sue aziende, che già guadagnano molto dagli appalti a Washington.
SpaceX, Starlink e Tesla
Valutata circa 210 miliardi di dollari, il che la rende una delle aziende private più preziose al mondo seconda in Occidente nel suo settore solo alla GE Aerospace, SpaceX non è una società quotata in borsa ma all’interno della galassia Musk è quella con i maggiori contatti con il governo federale degli Stati Uniti e che potrebbe trarre ulteriori vantaggi da una seconda amministrazione Trump.
L’azienda non riceve sovvenzioni da Washington ma continua a vincere appalti su appalti ed è difficile sostenere che non se lo meriti. SpaceX ha ridotto significativamente il costo dei viaggi spaziali e aumentato l’affidabilità delle missioni, aprendo la strada ai razzi riutilizzabili e consentendo nuovamente agli Usa di trasportare equipaggi umani nel cosmo, superando colossi americani come Boeing e Lockeed Martin.
Dalla sua fondazione nel 2002, secondo il centro studi indipendente The Pulse of GovCon, l’azienda ha incassato almeno 21 miliardi di dollari di fondi federali, grazie alle forniture di servizi per il lancio il lancio di satelliti militari, la manutenzione della Stazione Spaziale Internazionale e la costruzione di un lander da inviare sulla Luna.
Ma la società offre anche i servizi Internet satellitare Starlink, in particolare all’Ucraina. Basato su una rete di almeno 4.000 satelliti lanciati nell’orbita terrestre bassa, non abbiamo idea di quanto frutti all’azienda il servizio fornito tramite un appalto vinto nel 2023 con il Pentagono ma, per stessa ammissione di Musk, sappiamo che i soli costi di manutenzione per SpaceX si aggirano intorno ai 20 milioni di dollari al mese. Quindi il contratto con il dipartimento della Difesa Usa non sarà meno oneroso per i contribuenti americani (e lucroso per il miliardario).
Questo però potrebbe essere solo l’inizio. La Nasa prevede già di impiegare il razzo Starship per il suo programma Artemis volto a riportare gli esseri umani sulla Luna. Una tecnologia che ha uno scopo ben più “alto”: arrivare su Marte. Il proposito dichiarato di Musk e della sua SpaceX infatti è portare gli umani sul Pianeta rosso nel prossimo decennio ma per riuscirci avrà bisogno di ingenti finanziamenti federali, come avvenne negli anni Cinquanta e Sessanta per il programma Apollo. Un obiettivo sposato anche dal presidente Trump nel 2019 durante il suo primo mandato.
Se però le difficoltà tecniche della sfida marziana sono ancora tutte da superare, i benefici per SpaceX del ritorno del magnate newyorkese alla Casa bianca potrebbero essere ben più immediati. Nel dicembre scorso infatti la Federal Communications Commission (FCC) negò all’azienda di Musk quasi 885,5 milioni di dollari di sussidi federali per fornire accesso alla banda larga alle zone rurali del Paese tramite la rete satellitare Starlink, una decisione che con la nuova amministrazione potrebbe essere rivista.
Non finisce qui perché nell’ottobre 2023 SpaceX ha vinto un altro appalto da 70 milioni di dollari con la US Space Force, l’agenzia spaziale militare Usa, per fornire a Washington il nuovo servizio Starshield, che garantisce accesso alla banda larga satellitare per l’osservazione della Terra, le comunicazioni nello spazio e il lancio di missioni nel cosmo. Un bel guadagno, a cui vanno aggiunti quelli realizzati e quelli potenziali delle altre imprese del gruppo.
A partire da Tesla, che quest’anno ha trasferito la sede centrale da San Francisco in Texas. La casa automobilistica ha molti meno contratti con il governo federale statunitense rispetto alla sua consorella spaziale ma, secondo i dati raccolti dal portale indipendente USAspending.gov, dal 2022 al 2024 si è comunque aggiudicata poco meno di 632mila dollari di fondi federali, vendendo più che altro veicoli elettrici alle ambasciate degli Stati Uniti a Singapore, in Islanda e in Thailandia, e altri 2,8 milioni di dollari dal dipartimento dei trasporti della Pennsylvania attraverso un programma finanziato a livello federale per l’installazione di colonnine di ricarica. Ben poca cosa rispetto agli appalti con la Nasa e con il Pentagono di SpaceX, eppure il futuro sembra roseo.
Malgrado da quando ha ricevuto l’endorsement di Musk (e i suoi oltre 118 milioni di dollari di finanziamenti elettorali) Trump abbia moderato i propri attacchi al settore delle auto elettriche, il neopresidente ha promesso di porre fine agli incentivi tramite credito d’imposta che sostengono il comparto, il che dovrebbe teoricamente danneggiare anche Tesla.
Tuttavia, secondo Bloomberg, la casa automobilistica di Musk è l’unica a non dipendere da questi incentivi, la cui eliminazione invece potrebbe tradursi in una desertificazione della concorrenza nel settore. Il pericolo maggiore per l’azienda proviene invece dai dazi promessi da Trump, che potrebbero proteggere le gigafactory create dalla società in California, Nevada, Texas e a New York ma danneggiare quelle in Germania e Cina, per cui però la Casa bianca potrebbe anche fare un’eccezione, colpendo comunque duramente i concorrenti cinesi ed europei. Ma non è tutto.
xAI, Neuralink e X (ex Twitter)
Anche le altre aziende dell’impero di Musk, che non hanno contratti con il governo statunitense, potrebbero beneficiare dei provvedimenti attesi dal Trump-bis. La startup xAI, come altre aziende del settore dell’intelligenza artificiale, potrebbe trarre vantaggio dall’attesa de-regulation del comparto. In campagna elettorale infatti i repubblicani hanno promesso di abrogare l’ordine esecutivo sull’intelligenza artificiale approvato dal presidente uscente Joe Biden, che tra l’altro dispone l’applicazione delle leggi a tutela dei consumatori nel settore.
Anche la consorella Neuralink, i cui studi clinici sono regolamentati dalla Food & Drug Administration (FDA), potrebbe beneficiare di un approccio più lasco dell’amministrazione Usa. L’azienda ha impiantato il primo chip Neuralink in un essere umano lo scorso 28 gennaio, dopo aver ricevuto l’approvazione per la sperimentazione umana a settembre 2023.
La società, valutata circa 5 miliardi di dollari soltanto l’anno scorso, si trova però ad affrontare ripetute richieste di controllo sui suoi protocolli di sicurezza: a gennaio infatti il dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti ha multato la startup per aver violato le norme relative al movimento di materiali pericolosi. Provvedimenti che potrebbero essere rivisti dalla nuova amministrazione.
Per non parlare della piattaforma social X, anch’essa trasferita in Texas, che potrà beneficiare della promessa fatta da Trump nel 2022, quando il tycoon assicurò la modifica della Sezione 230 del Communications Act del 1934, per proteggere le piattaforme dalla responsabilità per i contenuti generati dagli utenti. Non solo: l’ex Twitter potrebbe anche guadagnare dal possibile bando del concorrente cinese TikTok nell’ambito dell’annunciata guerra commerciale tra la nuova Casa bianca e Pechino.
Questo è quanto le sue aziende guadagnano già e potranno ancora guadagnare dagli appalti con il governo statunitense. Scommettiamo che non cominceranno da qui i duemila miliardi di dollari che Musk si propone di tagliare dal bilancio federale con il suo nuovo dipartimento dell’Efficienza Governativa (DOGE)?