Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Esteri
  • Home » Esteri

    Kamala Harris riceve Netanyahu: “Israele ha il diritto di difendersi ma non resterò in silenzio sulla sofferenza di Gaza”

    Credit: Amos Ben Gershom / Government Press Office (GPO)
    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 26 Lug. 2024 alle 11:27

    La vicepresidente e candidata democratica in pectore alle presidenziali degli Stati Uniti, Kamala Harris, ha giurato che “non resterà in silenzio” sulle sofferenze di Gaza e ha espresso le sue “serie preoccupazioni” al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ricevuto ieri a Washington, affermando che dopo oltre nove mesi di guerra è arrivato il momento di concludere un accordo per un cessate il fuoco nella Striscia e per la liberazione degli ostaggi ancora in mano a Hamas e alla Jihad Islamica.

    Cosa ha detto Kamala Harris su Gaza
    “Israele ha il diritto di difendersi e il modo in cui lo fa è importante”, ha spiegato Kamala Harris dopo l’incontro. “Ciò che è accaduto a Gaza negli ultimi nove mesi è devastante”.

    “Le immagini di bambini morti e di persone disperate e affamate che fuggono per mettersi in salvo, a volte sfollate per la seconda, terza o quarta volta. Non possiamo distogliere lo sguardo di fronte a queste tragedie. Non possiamo permetterci di diventare insensibili alla sofferenza e non resterò in silenzio”, ha proseguito la vicepresidente Usa che, come aveva già fatto il presidente Joe Biden nel suo incontro di qualche ora prima alla Casa bianca con Netanyahu, ha comunque assicurato a Tel Aviv il “ferreo sostegno e impegno” dell’America verso lo Stato ebraico, senza rinunciare però a chiedere la fine delle ostilità.

    “È tempo che questa guerra finisca e finisca in un modo in cui Israele sia al sicuro, tutti gli ostaggi vengano liberati, le sofferenze dei palestinesi a Gaza terminino e il popolo palestinese possa esercitare il proprio diritto alla libertà, alla dignità e all’autodeterminazione”.

    “Come ho appena detto al premier Netanyahu, è tempo di concludere questo accordo”, ha detto Kamala Harris, secondo cui qualcosa si muove nei negoziati, un segno di “speranza”. “Quindi a tutti coloro che hanno chiesto un cessate il fuoco e a tutti coloro che desiderano la pace, dico: vi vedo e vi sento”.

    L’amministrazione Biden, ha poi aggiunto la vicepresidente che ha incontrato le famiglie di alcuni rapiti, sta lavorando per riportare a casa gli ostaggi americani trattenuti a Gaza. “È importante che il popolo americano ricordi che la guerra a Gaza non è una questione binaria”, ha sottolineato Kamala Harris. “Condanniamo tutti il ​​terrorismo e la violenza. Facciamo tutti ciò che possiamo per impedire la sofferenza di civili innocenti. E condanniamo l’antisemitismo, l’islamofobia e l’odio di ogni tipo. E lavoriamo per unire il nostro Paese”.

    Fin qui il volto “pubblico” della candidata democratica in pectore alle presidenziali del 5 novembre. Ma cosa si sono detti Kamala Harris e Benjamin Netanyahu nell’incontro a porte chiuse durato quasi quaranta minuti?

    L’incontro a porte chiuse tra Kamala Harris e Netanyahu
    Al momento è disponibile la sola versione ufficiale statunitense, riportata in un resoconto pubblicato dalla Casa bianca, mentre l’ufficio del premier israeliano si è limitato a uno scarno comunicato con una sola foto corredata da una breve didascalia in ebraico: “Il primo ministro Netanyahu ha incontrato alla Casa Bianca la vicepresidente americana Kamala Harris. L’incontro è durato circa 40 minuti”. A quanto risulta, i temi trattati sono stati fondamentalmente tre: le garanzie offerte dagli Usa alla sicurezza di Israele nella regione; i negoziati per una tregua a Gaza e le preoccupazioni per la situazione umanitaria nella Striscia e nei Territori occupati.

    In primis, secondo la Casa bianca, “la vicepresidente ha ribadito il suo impegno incrollabile e di lunga data per la sicurezza dello Stato e del popolo di Israele” e “ha nuovamente condannato Hamas come un’organizzazione terroristica brutale, nonché gli individui che si associano ad Hamas, osservando che i graffiti e la retorica pro-Hamas sono abominevoli e non devono essere tollerati”.

    Parole che riecheggiano un altro comunicato diramato sempre ieri dai collaboratori di Kamala Harris, in cui la candidata democratica in pectore condannava in modo inequivocabile le proteste scoppiate a Washington prima del discorso di Netanyahu al Congresso, a cui però lei (come una trentina di deputati e senatori, per lo più democratici) non ha presenziato. “Condanno chiunque si associ alla brutale organizzazione terroristica Hamas, che ha giurato di annientare lo Stato di Israele e uccidere gli ebrei”, aveva detto la vicepresidente, che durante la sua carriera politica non ha mai fatto mancare il proprio sostegno a Tel Aviv.

    Successivamente, i due “hanno discusso del lavoro dell’amministrazione Biden-Harris per garantire che Israele possa difendersi dalle minacce dell’Iran e dai gruppi terroristici sostenuti dall’Iran, tra cui Hamas, Hezbollah e gli Houthi”. Un punto importante per il premier di Tel Aviv, che al Congresso ha proposto di formare una “Alleanza Abramo” con i Paesi arabi che riconoscono lo Stato ebraico in funzione anti-Teheran, una volta terminata la guerra a Gaza.

    Quindi, Harris e Netanyahu sono passati a discutere della situazione nella Striscia di Gaza. “La vicepresidente e il primo ministro Netanyahu hanno discusso degli sviluppi a Gaza e dei negoziati in corso per un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi”, si legge nella nota della Casa bianca. “La vicepresidente ha fatto eco al presidente Biden nell’esprimere la necessità di colmare le lacune rimanenti, finalizzare l’accordo il prima possibile, riportare a casa gli ostaggi e porre fine in modo duraturo alla guerra a Gaza”.

    Come ha successivamente spiegato alla stampa l’ex procuratrice generale della California, la Casa bianca sta facendo pressioni sul governo israeliano affinché accetti l’accordo proposto da Biden e approvato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per una tregua permanente nella Striscia, che consenta anche la liberazione degli ostaggi ancora in mano a Hamas.

    Ma Kamala Harris ha anche “espresso preoccupazione per le vittime civili e ha discusso della necessità di alleviare la crisi umanitaria” nella Striscia. Oltre 39mila persone sono morte e più di 90mila sono rimaste ferite nel territorio costiero palestinese dall’inizio della guerra. Secondo le Nazioni Unite, quasi 2 milioni di palestinesi, praticamente l’intera popolazione di Gaza, risultano sfollati e molti lo sono stati più volte nel corso del conflitto. Quasi mezzo milione di persone affrontano “livelli catastrofici di insicurezza alimentare”. Le malattie trasmissibili sono in aumento mentre le restrizioni imposte alla fornitura di carburante hanno ridotto gravemente l’accesso all’acqua, ai servizi igienici e sanitari.

    A tali preoccupazioni, secondo alcune indiscrezioni trapelate sulla stampa israeliana, Netanyahu avrebbe risposto offrendo alla vicepresidente un resoconto “dettagliato e fattuale” della situazione sul campo a Gaza, respingendo le denunce riguardo l’acuta insicurezza alimentare nella Striscia e le accuse circa le sofferenze inflitte ai civili e l’elevato numero di innocenti rimasti uccisi nel conflitto.

    Harris però ha anche “espresso la propria preoccupazione per le azioni che minano la stabilità e la sicurezza in Cisgiordania, come la violenza dei coloni estremisti e l’espansione degli insediamenti”. Un problema che va avanti da ben prima lo scoppio dell’attuale conflitto.

    L’ampliamento delle colonie israeliane nei Territori occupati è infatti aumentata notevolmente da quando Netanyahu è tornato al potere alla fine del 2022 grazie a una coalizione sostenuta da partiti di estrema destra e religiosi, mentre le violenze commesse contro i palestinesi sono cresciute nei mesi successivi ai brutali attentati del 7 ottobre scorso commessi da Hamas e dalla Jihad Islamica in Israele, costati la vita a 1.139 persone e la libertà a 251 ostaggi, di cui 111 ancora trattenuti a Gaza contro la propria volontà, compresi 39 già dichiarati morti.

    Tanto che, negli ultimi mesi, l’amministrazione Biden ha imposto sanzioni contro 11 persone e altrettante organizzazioni coinvolte in tali atti, mentre decine di coloni israeliani non potranno più richiedere un visto per gli Usa. Provvedimenti che, sembra di poter leggere tra le righe delle dichiarazioni ufficiali, potrebbero dunque continuare in questi mesi e anche nei prossimi anni nel caso Kamala Harris arrivasse alla Casa bianca.

    Il dietro le quinte
    Alcune delle dichiarazioni di Kamala Harris successive all’incontro con Netanyahu non sembrano però piaciute molto in Israele. Se un alto funzionario israeliano, citato dal quotidiano online The Times Israel, ha definito “produttivo” l’incontro tra il premier Netanyahu e il presidente Biden, sostenendo che questo ha contribuito a orientare in una “direzione positiva” gli sforzi per garantire il raggiungimento di un accordo per la liberazione degli ostaggi (e per una tregua a Gaza), il medesimo esponente dell’amministrazione dello Stato ebraico ha espresso il proprio “disagio” per la riunione tra il capo del governo di Tel Aviv e Kamala Harris.

    In particolare, i rappresentanti israeliani non avrebbero gradito i toni utilizzati dalla vicepresidente degli Stati Uniti e l’eccessiva enfasi posta sulla necessità di porre fine alla guerra, temendo che tale atteggiamento potesse mostrare una mancanza di sintonia tra gli Usa e Israele. Secondo la fonte citata dal quotidiano online, la pubblica sottolineatura della “terribile crisi umanitaria” in corso a Gaza e della necessità di “porre fine alla guerra”, seppur “in modo da rendere Israele sicuro”, avrebbe danneggiato i negoziati. “Siamo sulla strada della cooperazione e dell’appianamento delle differenze”, ha dichiarato il funzionario israeliano. “Ma è per questo che la conferenza stampa di Harris è stata così problematica”.

    “Cosa dovrebbe pensare Hamas quando sente tutto questo?”, ha chiesto retoricamente la fonte al Times of Israel, suggerendo che tali discorsi potrebbero indurre il gruppo terroristico palestinese a inasprire le richieste in sede di colloqui. “Spero che non portino a una regressione nei negoziati perché abbiamo fatto molti progressi”, ha aggiunto. “Quanto più i nostri nemici vedono che c’è un completo allineamento di posizioni tra Israele e gli Stati Uniti, tanto più aumentiamo le possibilità di garantire la liberazione degli ostaggi e diminuiamo le possibilità di una guerra regionale”, ha proseguito. “Quanto più il divario si allarga tra i nostri Paesi, tanto più ci allontaniamo da un accordo e quindi aumentiamo anche la possibilità di un’escalation nella regione”, ha spiegato il funzionario. “Spero che le dichiarazioni rilasciate da Harris nella sua conferenza stampa non vengano interpretate da Hamas come un chiaro segnale di disaccordo tra Stati Uniti e Israele, rendendo così più difficile la conclusione di un accordo”, ha concluso.

    Una ricostruzione respinta dall’entourage della vicepresidente statunitense. “Non so di cosa stiamo parlando”, ha detto un collaboratore di Kamala Harris sempre al Times of Israel. “Nei loro incontri privati ​​con il primo ministro Netanyahu, il presidente e la vicepresidente hanno trasmesso lo stesso messaggio: è tempo di concludere un accordo per un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi”, ha dichiarato la fonte citata dal quotidiano online. “E questo è ciò che ha detto anche pubblicamente la vicepresidente”. “Le sue dichiarazioni pubbliche fanno seguito ai suoi precedenti commenti sul conflitto. Ha iniziato le sue osservazioni con un solido sostegno a Israele e poi ha espresso la sua preoccupazione per le vittime civili e la crisi umanitaria a Gaza, come fa sempre”, ha continuato il collaboratore di Kamala Harris. “L’incontro tra il primo ministro Netanyahu e la vicepresidente è stato serio e collegiale”.

    La reazione dell’estrema destra in Israele
    In Israele invece le dichiarazioni della vicepresidente Usa e in particolare il suo appello a una tregua a Gaza hanno scatenato la dura reazione dell’estrema destra alleata del premier Netanyahu.

    Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, in particolare, ha criticato i termini della proposta per la liberazione degli ostaggi e per un cessate il fuoco a Gaza. “Kamala Harris ha rivelato al mondo intero quello che dico da settimane, cosa c’è veramente dietro l’accordo”, ha scritto Smotrich su X (ex Twitter). Secondo il ministro israeliano, questo significherebbe “arrendersi a (Yahya, ndr) Sinwar (il capo di Hamas a Gaza, ndr), porre fine alla guerra in un modo che permetterebbe a Hamas di riprendersi e abbandonare la maggior parte degli ostaggi in mano a Hamas”, ha concluso. “Non cadete in questa trappola!”.

    A stretto giro è arrivato anche il commento del ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, che ha reagito alle parole di Kamala Harris, scrivendo sempre su X: “Non ci sarà alcun cessate il fuoco, signora candidata”.

    Intanto per i due ministri arrivano buone notizie. Gli Stati Uniti, secondo indiscrezioni della stampa israeliana, non stanno più prendendo in considerazione l’idea di sanzionare né Smotrich né Ben Gvir, che appoggiano ufficialmente l’espansione degli insediamenti illegali in Cisgiordania e in alcuni casi hanno giustificato le violenze contro i palestinesi. Un segnale di distensione tra Washington e Tel Aviv ma che non contribuisce a calmare gli animi in Medio Oriente.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version