Il 5 novembre negli Stati Uniti, oltre alle presidenziali, si è votato per ampliare le tutele per le donne che scelgono di interrompere una gravidanza, sull’uso della marijuana ricreativa e diverse altre materie. Sull’aborto sette Stati su dieci hanno votato a favore. Che fine faranno le battaglie al centro di questi referendum con la rielezione di Trump? Basteranno le spinte dei movimenti a garantire una stagione di diritti civili?
L’ora della resistenza
«Ma quali movimenti?», risponde a TPI Alessandro Portelli, storico, già professore di letteratura angloamericana. «Registro un sensibile ma non travolgente recupero del movimento sindacale ma non vedo realtà organizzate e di massa capaci di attrarre consenso. Anche il voto delle donne non è andato come si voleva sperare. Non esiste nessuna opposizione reale, che lasci il segno. Il movimento operaio è stato spazzato via e i democratici ne sono i principali responsabili. Quello che prevedo è una lunga marcia di resistenza, a meno che Trump non deluda i suoi elettori, che hanno votato una visione, una fede, sulla base delle loro emozioni. Il timore più grande è che il presidente realizzi il suo programma, a partire dalle deportazioni di massa. In questo momento Trump controlla Corte Suprema, Senato e Camera, non ha limiti. Ma la storia non finisce oggi».
Ad una qualche forma di resistenza guarda anche Pamela Harris, docente di Scienze politiche e vice-rettrice alla John Cabot University di Roma: «La resistenza per i diritti civili vede in prima linea il movimento sociale che cerca di cambiare la situazione, anche provando ad influenzare le elezioni. In America più che in altri paesi il sistema legale è quello al quale si guarda quando non si ottiene ciò che si vuole nel sistema politico. Negli Usa qualsiasi giudice può dichiarare incostituzionale ogni legge», sottolinea Harris a TPI. Di qui, dunque, la spinta dei referendum e l’idea che “dal basso” arriverà una risposta a Trump. In primis, in materia di migranti. «Molti avvocati sono pronti a combattere contro le deportazioni, lo abbiamo già visto nel 2016 quando Trump istituì il divieto di viaggio per le persone provenienti da paesi musulmani. Immediatamente sono state avviate cause legali per contrastarlo».
Resta da capire se i diritti saranno in cima all’agenda del nuovo-ma-non-troppo inquilino della Casa Bianca. «Ciò che lo ha fatto eleggere è stato il suo messaggio di odio, per lui e una parte dei suoi seguaci la crudeltà è il punto fondamentale», ci spiega Harris. «Il messaggio violento è fondante della sua politica e il suo primo mandato ne è stato un’indicazione, non abbiamo motivo di pensare che questa volta sarà diversa. Una delle industrie che lo ha sostenuto è quella delle prigioni private, un business che ottiene milioni di dollari dal sistema federale statunitense e trae direttamente profitto dal lavoro carcerario. Questo è un esempio concreto di un’industria che guadagnerà un sacco di soldi dalla deportazione dei migranti».
Gli interessi e il profitto, come dire, avranno la meglio sulle ragioni ideologiche. E sullo sfondo, una enorme polarizzazione. «La gente odia Biden e la sua amministrazione. In qualche modo pensano sia colpa sua se le loro vite sono infelici e la candidata democratica non si è riuscita a smarcare abbastanza dall’ex presidente e da quello che rappresentava agli occhi degli elettori», continua Harris. Per la docente, il futuro appare nero. «Quello che vedo è una struttura fascista. Il timore è di non avere più elezioni normali, in futuro, negli Usa. Trump non sarà mai ritenuto responsabile dei suoi crimini, ha letteralmente il permesso della Corte Suprema di fare ciò che vuole ora. È un pericolo per la democrazia». E ancora più pericolosa potrebbe essere l’influenza di Elon Musk. «Mi preoccupa molto l’impatto della sua presenza anche rispetto all’intelligenza artificiale e a quello che potrà fare in termini di controllo» dei dati, delle persone, prosegue. Il capitalismo della sorveglianza, (cit. Shoshana Zuboff) potrebbe avere due nuovi, ottimi alleati.
Le battaglie civili, in questo quadro, non hanno un grande futuro e forse nemmeno un presente. «Non sappiamo cosa avverrà ma vediamo per certo il fallimento dei referendum sulle leggi statali contro l’aborto, quella che si immaginava essere percepita come una grave violazione dei diritti individuali delle donne e degli uomini in realtà non è così dirimente», spiega a TPI Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato alla Sapienza di Roma. «Ricordiamo che il regime dei referendum è statale, non esiste una disciplina referendaria a livello federale. Trump potrà fare ricorso, se lo vorrà, contro gli ultimi quesiti approvati ma è il principio federale che governa. Questa situazione, soprattutto per ciò che concerne la Corte Suprema, lascia aperta una grande domanda: le istituzioni Usa riusciranno a garantire la tutela dei diritti e delle libertà? Il rischio è che vi sia una sterzata di Trump rispetto ad alcune politiche chiave dell’amministrazione Biden, come i migranti, la cittadinanza, i minori. Tutte tutele del welfare che dilatano gli spazi di democrazia».
Ma la luna di miele finirà
Clementi vede nella campagna elettorale dei democratici «un errore di fondo, una vecchia regola della politica, non si antepongono mai i diritti civili a quelli sociali. “Vogliamo il pane e le rose”: negli Usa gli elettori hanno pensato al pane. In ogni campagna elettorale, ai tempi della globalizzazione non governata, i diritti sociali vengono prima di quelli civili». Che farà Trump di questi diritti? «Dipende se gli converrà toccarli, il suo primo obiettivo è garantire un “pane repubblicano”. Ma a novembre 2026 ci saranno il voto per il rinnovo della Camera e un terzo del Senato, potrebbe esserci il rischio per il neo rieletto presidente di un’anatra zoppa», prosegue. «E poi c’è JD Vance, inizialmente una figura politica fortemente anti-Trump, che ora è anche presidente del Senato: sarà un buon alleato o comincerà a costruire la sua personale corsa verso le prossime presidenziali?».
Per Paolo Naso, già docente di Scienza politica, «le minacce, la denigrazione dell’avversario, i toni aggressivi e muscolari minano la “civility” della democrazia americana». «È un segnale della sua involuzione, è in crisi la “constituency” democratica. Giovani, donne, operai, ceto medio hanno votato per Trump pur sapendo che il tycoon ha altri interessi», ci spiega. «Il suo interlocutore è Musk, non i sindacati dell’auto o i lavoratori impoveriti. E poi ci sono le chiese: hanno votato in maggioranza per Trump, il liberalismo protestante è una variante sempre meno rilevante della scena religiosa. Ma il presidente avrà di fronte a sé montagne da scalare: le guerre, i cambiamenti climatici, la permanente questione del razzismo, vero e proprio peccato originale dell’America, l’aborto. Oggi si gode la sua luna di miele con un elettorato affascinato dall’uomo forte e a un’America in crisi e lacerata sa vendere una stanca riedizione del sogno americano». Domani, chissà.