Il giorno più duro alla fine è arrivato. Non sono bastate 23 giornate di guerra, più di 1.300 vittime palestinesi e 2.670 missili lanciati su Israele per ottenere una reazione forte della comunità internazionale al conflitto in corso a Gaza.
Il bombardamento israeliano su una scuola dell’Onu, avvenuto il 30 luglio e che ha causato almeno 15 morti e più di 100 feriti, ha portato il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a condannare l’attacco come “una vergogna mondiale che ha bisogno di giustizia”.
Pierre Krähenbühl, commissario generale dell’Onu per i rifugiati palestinesi, ha dichiarato che il bombardamento della scuola è stato “una seria violazione del diritto internazionale”.
L’attacco, avvenuto di mattina presto subito dopo la prima chiamata alla preghiera, ha colto impreparati i 3.300 rifugiati della struttura scolastica. Tra le vittime, molti bambini che stavano ancora dormendo.
“Queste persone sono molto arrabbiate”, ha commentato Khalil al-Halabi, ufficiale Onu nonché responsabile della scuola. “Se ne sono andate via dalle loro case e sono venute qui in cerca di protezione, non per essere bombardate”. Al momento, nella Striscia di Gaza ci sono più di 204mila palestinesi senza casa, divisi tra campi profughi, ospedali e strutture delle Nazioni Unite.
Questa non è la prima volta che l’esercito di difesa israeliano (Idf) attacca direttamente una scuola dell’Onu. In questo caso particolare, è stata fatta partire un’inchiesta interna. “Hamas ha fatto partire colpi di mortaio dai pressi della scuola e i soldati israeliani hanno risposto col fuoco”, queste le parole della portavoce dell’Idf a chi cercava una spiegazione tra le macerie della scuola.
(Una donna e una bambina palestinese portano un mazzo di fiori al cimitero di famiglia a Gaza. Photocredit: Reuters/Finbarr O’Reilly).
L’Onu ha già denunciato tre volte Hamas di avere nascosto armamenti e bombe nelle loro strutture, accusando il partito islamico di “corrompere la loro neutralità”. Nel frattempo, sono stati richiamati altri 16mila riservisti dell’Idf.
Mentre le Nazioni Unite sembrano avere rotto definitivamente i rapporti con il governo israeliano, i più importanti leader mondiali preferiscono mantenere un profilo basso. Barack Obama, per esempio, ha condannato a parole il bombardamento della scuola ma ha ribadito il diritto di Netanyahu a difendere il suo Paese.
Tra chi invece ha deciso di andare contro l’offensiva israeliana ci sono la Turchia e l’Iran, che hanno accusato Israele di commettere un “genocidio”, mentre Bolivia, Perù, El Salvador e Cile hanno ritirato i loro diplomatici dallo stato ebraico.
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