L’occupazione della penisola di Crimea da parte della Russia rappresenta di gran lunga la sfida di politica estera più difficile per il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Sul piano nazionale, cresce la pressione nei suoi confronti e, dopo le scelte esitanti degli Stati Uniti durante i conflitti in Iran e Siria, molti stanno mettendo in discussione le capacità del presidente di gestire le situazioni di crisi. “Il presidente Obama è abbastanza duro da fermare l’ex colonnello del KGB al Cremlino?”, ha chiesto provocatoriamente il giornalista Peter Baker qualche giorno fa sul New York Times.
Il senatore repubblicano John McCain, uscito sconfitto dalle elezioni del 2008 contro Obama, ha definito “irresponsabile” la politica estera del presidente nei confronti della situazione in Ucraina, sostenendo che Barack Obama ha ripetutamente omesso di dimostrare la forza americana di fronte avversari. “Il presidente degli Stati Uniti ritiene che la Guerra Fredda sia finita. Va bene, è finita, ma il presidente russo Vladimir Putin non crede che sia finita”, ha detto McCain, “Guardate la Moldavia. Guardate l’occupazione della Georgia. Guardate la pressione sulle nazioni baltiche. Guardate cosa sta facendo per aiutare il presidente siriano Bashar al-Assad ad abbattere decine di migliaia di persone innocenti in tutta la Siria. Ѐ un oltraggio”.
Le critiche non provengono solo dal mondo della politica. Il famoso quotidiano statunitense Washington Post ha pubblicato infatti un recente editoriale in cui disapprova apertamente la linea del presidente sugli esteri. “Per cinque anni, il presidente Obama ha condotto una politica estera basata più su come egli pensa che il mondo dovrebbe funzionare che sulla realtà”, ha scritto il Washington Post: secondo Obama, infatti, nel mondo di oggi “la marea della guerra si sta ritirando e agli Stati Uniti è perciò concesso, di ridurre drasticamente le dimensioni delle loro forze armate, senza grandi rischi”. Per il quotidiano, quello di Obama costituisce però un gravissimo errore di valutazione.
Il segretario di Stato, John Kerry, ha sintetizzato la linea del presidente dicendo che le minacce di Putin costituiscono “un atto del diciannovesimo secolo, compiuto nel ventunesimo secolo”. Purtroppo, però, il Washington Post fa notare come l’amministrazione Obama sia la sola a pensarla così: non lo fa di certo il presidente russo, né il presidente cinese, Xi Jinping, che sta usando il pugno duro contro il Giappone e le nazioni più deboli del sud est asiatico. Il presidente siriano Bashar al-Assad sta dal canto suo conducendo una guerra del ventesimo secolo contro il suo popolo, con l’invio di elicotteri che lasciano cadere barili esplosivi pieni di viti, chiodi e altre schegge su condomini dove le famiglie si rinchiudono negli scantinati. “Questi uomini non saranno scoraggiati dalla disapprovazione dei loro colleghi, né dal peso dell’opinione pubblica mondiale o dai disinvestimenti dalle aziende della Silicon Valley. Essi sono preoccupati principalmente di mantenere il loro potere”, spiega il quotidiano statunitense, che aggiunge, “Obama non è di certo responsabile del loro comportamento scorretto. Ma è responsabile poiché svolge un ruolo guida nella strutturazione dei costi e dei benefici che essi devono considerare prima di agire”.