Cantieri, camion, tronchi d’albero a terra, operai a lavoro che distruggono intere foreste. Tutto questo accade in Mozambico.
Un patrimonio naturale in totale balìa dei Paesi stranieri, occidentali e non, affamati di legno. Tra questi, in prima fila figura la Cina che grazie allo scarso controllo delle autorità locali, su uno sfondo di corruzione, ha trovato in questi alberi una nuova fonte di ricchezza.
Legno di ottima qualità venduto a basso costo. Un’amministrazione statale debole caratterizzata da una corruzione visibile a tutti i livelli. Questo il mix di ingredienti che ha reso il Mozambico la preda ideale per gli investitori stranieri. Queste le cause della lenta ma inarrestabile distruzione delle foreste mozambicane.
Secondo il rapporto “Un take away cinese”, pubblicato dal Forum delle ONG della provincia di Zambezie, in questa zona entro 10 anni non ci saranno più alberi. E l’immagine di paesaggi e villaggi che già oggi ne sono totalmente privi, non è che la triste conferma di questa drammatica previsione che porterà all’estrema povertà molte popolazioni locali.
Il traffico di legno in Mozambico è nato dall’assenza di leggi che regolamentino questo settore e dai benefici che ottengono sia i direttori dei servizi forestieri che gli imprenditori cinesi. Un’attività finemente strutturata che rende completamente inefficaci i deboli tentativi di contrasto da parte delle autorità locali, al contrario poco organizzate.
I comuni interessi della casta locale e degli imprenditori cinesi hanno dato vita ad un fenomeno che sta uccidendo l’economia e l’ambiente del Mozambico, compromettendo gravemente lo sviluppo dell’intera nazione. Il medesimo destino dello Stato africano è condiviso da altri Paesi che presentano caratteristiche simili prestandosi così a questo tipo di attività.
Tra questi le Isole Salomone, il Myanmar, la Repubblica del Congo, la Cambogia e la Guinea Equatoriale.
Il Mozambico, nonostante presenti forti potenzialità nel settore dell’ecoturismo, attualmente non riesce a difendere il proprio patrimonio forestale da Paesi quali la Cina, sempre alla costante ricerca di nuove risorse.
Secondo un rapporto dell’Environmental Investigation Agency (EIA) la Cina è la principale importatrice illegale di legno proveniente da tutto il mondo, registrando nel 2011 una quantità di circa 18,5 milioni di metri cubi di legname.
Questo traffico ha portato l’”impero di mezzo” a macchiarsi di una serie di crimini ambientali, in contrasto con una politica interna volta alla protezione e valorizzazione delle proprie foreste che ha comportato una crescita del 30 per cento delle aeree verdi interne al Paese.
Stati Uniti, Unione Europea e Australia, sollecitate anche dall’EIA, hanno già preso i primi provvedimenti per contrastare questo traffico che spesso coinvolge anche gruppi mafiosi ed è accompagnato da altri tipi di attività illegali.
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