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    Un italiano rifiuta le cure in Israele

    Un giovane attivista italiano è stato ferito da un proiettile dell'esercito israeliano. Si è rifiutato di essere curato in Israele

    Di Ambra Montanari
    Pubblicato il 9 Dic. 2014 alle 07:47 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:26

    Patrick Corsi è un ragazzo italiano di 30 anni. È un agronomo e un attivista, e attualmente si trova in Cisgiordania con il Movimento di Solidarietà Internazionale (Ism), un’organizzazione che si impegna nella resistenza non violenta contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi.

    Patrick è in Cisgiordania per condividere la sua passione per la produzione dell’olio d’oliva con i palestinesi, che per centinaia di anni hanno coltivato gli ulivi.

    Patrick Corsi non è il suo vero nome. Come altri attivisti dell’Ism, anche lui usa un nome di fantasia.

    I genitori di Patrick in Italia non sanno ancora che recentemente loro figlio, nel corso di una manifestazione, è stato ferito e quasi ucciso da un proiettile, e che ora è ricoverato in una stanza di ospedale a Ramallah, dopo aver rifiutato le cure offertegli da Israele.

    Patrick è stato colpito da un proiettile sparato da un soldato dell’esercito israeliano. L’attivista italiano è stato ferito mentre marciava a Kafr Qadom, un piccolo villaggio vicino a Nablus, una delle città più grandi della Cisgiordania, a circa sessanta chilometri a nord di Gerusalemme.

    Il 28 novembre scorso, verso mezzogiorno, Patrick camminava a fianco di altri 400 manifestanti, stranieri e palestinesi, che ogni venerdì scendono in strada a Kafr Qadom per protestare contro la chiusura della strada che collega il villaggio alla città di Nablus e contro l’occupazione israeliana.

    L’esercito israeliano ha fatto sapere che sta investigando sull’incidente e ha offerto a Patrick di essere ricoverato in una struttura in Israele.

    “No grazie”, ha risposto lui. “Non è logico essere curato da chi ha tentato di uccidermi”. I dottori che lo hanno curato hanno detto che è un miracolo che Patrick sia ancora vivo.

    Nella stanza da letto di Patrick, nell’ospedale di Ramallah, una bandiera palestinese copre lo schermo del televisore. L’attivista stava tenendo in mano quella stessa bandiera quando è stato colpito.

    Patrick sostiene di non essere un fanatico nazionalista. Non sono le bandiere ad accenderlo, quella la sventolava solo per far vedere chiaramente ai soldati che non stava tirando pietre.

    Un abitante del villaggio, Khaldon Ishtawi, intervistato da Haaretz, ha raccontato il momento del ferimento di Patrick. I soldati, secondo il testimone, hanno fatto fuoco senza essere provocati.

    I colpi sono stati sparati sui manifestanti presenti alla marcia a una distanza di circa 40 metri. Un proiettile calibro 22, “proiettile tutu”, come lo chiamano i soldati israeliani, ha colpito Patrick al petto.

    Patrick ha dichiarato ad Haaretz che resterà in Cisgiordania per lavorare con i contadini locali. Vorrebbe anche tornare a manifestare, ma ha paura di farlo.

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