Si chiamerà Al Mar’a (le donne appunto) e sarà il primo canale satellitare saudita fatto dalle donne per le donne. Il progetto è stato ufficializzato sabato 20 luglio in Arabia Saudita, alla presenza di Abdul Aziz Khoja e di Riyaz bin Kamal, rispettivamente ministro dell’Informazione saudita e presidente dell’Autorità Generale per la regolamentazione dei media audiovisivi.
Interamente dedicato alle donne, Al Mar’a sarà composto da uno staff tutto al femminile, dovrà conformarsi ai principi islamici e avrà una duplice funzione: da un lato, proietterà gli aspetti positivi della vita delle donne arabe e musulmane, mostrando i loro molteplici talenti; dall’altro, tenterà di ridimensionare la portata e il peso di stereotipi e pregiudizi che sminuiscono l’immagine delle donne arabe, soprattutto all’estero.
In un’intervista al sito Arabnews, Abdullah Al-Nazawi, l’ideatore del progetto nonché direttore del canale, di proprietà della Ideas Arabia Limited dello Sheikh Yusuf bin Awad Al-Ahmadi, ha precisato che “l’obiettivo del canale è proprio quello di evidenziare le competenze, le tradizioni, la cultura e l’educazione, il pensiero islamico e i problemi quotidiani delle donne arabe”.
Al Mar’a inizierà a trasmettere a partire dai primi mesi del 2014 e sarà visibile in tutto il mondo arabo, alla pari delle altre emittenti all news come Al Jazeera e Al Arabiya.
Per quanto riguarda i contenuti, essi dovranno rispettare i precetti islamici e spazieranno da argomenti scientifici, culturali, sociali, psicologici, educativi, medici, fino a temi politici ed economici. “Siamo pienamente fiduciosi che il canale Tv – ha precisato Al-Nazawi – fornirà un supporto prezioso alle nostre donne, le quali rappresentano una parte importante della società, con esigenze precise che non si possono più ignorare”.
Il lancio di Al-Mar’a è stato presentato al pubblico come uno strumento utile, capace di ridare legittimità e dignità alla figura femminile, ma nel contempo è difficile riuscire a immaginare come un canale tv possa rappresentare la via d’accesso all’emancipazione femminile, in un Paese come l’Arabia Saudita, dove la sfera sociale e individuale è regolata da divieti, limitazioni e veti.
Molti degli sforzi del re saudita Abdullah bin Abdul Aziz, fin dalla sua ascesa al potere nel 2005, si sono concentrati nel varare riforme volte a migliorare la condizione femminile in Arabia Saudita.
Il 25 settembre 2011 il monarca saudita ha concesso alle donne la possibilità di votare alle prossime elezioni comunali, in calendario per il 2015. Lo scorso gennaio invece ha varato un decreto che stabilisce l’ammissione delle donne nel Consiglio della Shura, l’organo parlamentare consultivo. Il provvedimento prevede una rappresentanza femminile pari al 20 per cento in seno all’organo consultivo, composto da 150 membri scelti dal re in persona tra gli studiosi, gli esperti e gli specialisti della società civile.
Tuttavia, la limitata partecipazione politica e pubblica concessa alla componente femminile saudita non è coincisa con una maggiore libertà sociale e individuale. Le donne saudite non possono viaggiare da sole, devono essere accompagnate da un tutore maschio. Non possono guidare automobili e se lo fanno corrono il rischio di essere arrestate, come è successo il 21 maggio 2011 a Manal Al-Sharif. O come è accaduto l’8 luglio scorso a una donna al volante di un veicolo, con a bordo un gruppo di adolescenti in gita verso una colonia estiva nella provincia di Taif, fermata da agenti di polizia mentre domandava indicazioni stradali. Il divieto di guida è imposto non per legge ma in base a una fatwa.
Ma la lista dei veti alle libertà personali è assai più lunga. L’ultimo in ordine di tempo è quello deciso e imposto il 3 luglio scorso dal Comitato per la promozione delle virtù e la prevenzione del vizio saudita, che vieta alle donne la libertà di recarsi nei negozi di musica, inclusa la possibilità di acquistare degli strumenti musicali.
Negli ultimi otto anni, le iniziative intraprese dalla monarchia saudita per riconoscere una maggiore libertà alle donne hanno mostrato il loro valore simbolico, ma sono risultate prive di un carattere istituzionale e normativo. In questo quadro di chiusure sempre più rigide e di aperture circoscritte, anche il lancio di un canale satellitare “al femminile” rischia di apparire come una breve ventata di aria fresca, e non come uno spazio per l’affermazione di diritti reali.
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