Un attentato a Tunisi
“Siamo di fronte a un’ala di Ennahda che rifiuta le elezioni e vuole conservare il potere ricorrendo alla violenza” aveva detto Chokri Belaid, segretario generale del Movimento dei patrioti democratici, il giorno prima che due sicari lo freddassero con quattro colpi di pistola il 6 febbraio 2013. In quello che all’indomani della sua dichiarazione suona come un infausto presagio, il politico del partito laicista di recente formazione dava voce a un timore che assilla la Tunisia laico-moderata dalla pubblicazione dei risultati delle prime consultazioni democratiche post-rivoluzionarie del Paese.
Quel 23 ottobre 2011, quando il piccolo Paese nord-africano si specchiò nelle acque ancora agitate dalla recente rivoluzione alla ricerca di una propria identità, la leggenda di una Tunisia laica e occidentalizzata si infranse sul fait accompli del trionfo di Ennahda, partito islamista moderato paragonabile all’Akp di Erdogan in Turchia. Da allora l’incubo della borghesia europeizzata della costa nord-orientale, che spesso e volentieri preferisce esprimersi in francese piuttosto che in arabo, è che il partito del primo ministro Hamadi Jebali punti a rimanere al potere a oltranza imponendo una svolta conservatrice di stampo islamista.
E se tale timore per molti non è altro che propaganda cospirazionista anti-governativa, non si può dall’altro lato negare che Ennahda si sia dato da fare per alimentarlo. La data di scadenza per l’ultimazione della nuova Costituzione, che dovrebbe automaticamente comportare la convocazione di nuove elezioni, era stata inizialmente fissata per il primo anniversario delle consultazioni democratiche ma è stata poi rinviata a più riprese dando la sensazione che il partito di governo non abbia nessuna intenzione di rimettere in discussione il proprio potere.
Ciò che preoccupa più di tutto l’elettorato dei partiti secolaristi è tuttavia la tolleranza che il governo di coalizione guidato da Ennhada dimostra nei confronti delle scorribande dei gruppi salafiti, molto probabilmente responsabili anche dell’omicidio di Chokri Belaid. Il movimento salafita tunisino, più simile a una nebulosa data la sua scarsa struttura organizzativa ma in fortissima crescita nel Paese, ha come obiettivo l’imposizione della shari’a sul modello dell’Arabia Saudita wahabita. Alla domanda se la democrazia sia o non sia accettabile, un leader salafita della città di Menzel Bourguiba a nord di Tunisi risponde in questo modo: “Il nostro movimento è contro la democrazia, perché la democrazia è contro l’Islam. È il libro che governa, non l’uomo. Questo concetto lo potete ritrovare sullo striscione che abbiamo esposto di fianco alla moschea: ‘Che bisogno c’è di scrivere una Costituzione quando abbiamo la legge di Dio?’.”
Negli ultimi mesi questi gruppi si sono resi protagonisti di numerose azioni violente che stanno mettendo in pericolo la libertà di espressione in Tunisia, impedendo eventi culturali e politici tacciandoli di blasfemia. In alcuni quartieri e talvolta in intere cittadine è la stessa ‘rule of law’ a essere messa in pericolo, ossia la capacità dello stato di mantenere una sovranità efficace sul territorio. Ecco cosa racconta Nabil Gharrach, un giovane fotografo della cittadina settentrionale di Bizerte la cui mostra è stata distrutta da una spedizione salafita in quanto ritenuta ‘haram’, cioè impura: “È ufficioso, non ufficiale, ma a Bizerte i salafiti hanno preso il posto della polizia. Fanno loro la legge, e anche le rare volte in cui la polizia si degna di intervenire, fanno solo finta di arrestarli”.
Ne emerge che l’opposizione è spaventata dall’atteggiamento connivente di Ennahda nei confronti di quello che sembra essere sempre di più il suo braccio armato. È in questo contesto che va inserito l’episodio dell’uccisione di Chokri Belaid, che rappresenta per molti la definitiva conferma della deriva autoritaria di Ennahda e del suo utilizzo dei gruppi salafiti come strumento di lotta politica illecita e violenta. Difficilmente il governo del partito islamista uscirà integro dall’ondata di proteste popolari che sta travolgendo la Tunisia dopo l’attentato. Una seria crisi istituzionale attende la Tunisia che inizialmente sembrava destinata a essere la “storia felice” della primavera araba.