Il 25 gennaio del 2016 lo studente italiano Giulio Regeni è scomparso al Cairo, in Egitto, dove si trovava per scrivere una tesi sull’economia del paese. Il 4 febbraio il suo corpo è stato ritrovato nella capitale egiziana con evidenti segni di violenze.
Non è ancora chiaro cosa sia veramente successo e per questa ragione è importante fare chiarezza su quello che ha fatto Giulio Regeni nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti la sua scomparsa.
Il 25 gennaio del 2016 è un giorno particolare al Cairo: è il quinto anniversario della rivoluzione del 2011, con cui fu rovesciato il presidente Hosni Mubarak. Per questa ragione la capitale egiziana è blindata dal momento che il governo teme manifestazioni spontanee dell’opposizione, come avvenuto nel 2015.
Giulio Regeni si trova nella sua casa nel quartiere di Dokki, sulla riva sinistra del Nilo, e da lì deve recarsi a un appuntamento in piazza Tahrir, luogo simbolo della rivoluzione del 2011 e quindi uno dei luoghi più controllati dalla polizia in quel 25 gennaio.
In piazza Tahrir Giulio Regeni deve incontrare alle 19:40 Gennaro Gervasio, un docente napoletano che lavora all’Università britannica del Cairo, presso un caffè. I due devono recarsi insieme al compleanno di Kashek Hassameien, un intellettuale egiziano punto di riferimento dell’opposizione ad Al-Sisi.
Giulio Regeni esce regolarmente di casa per recarsi alla fermata della metropolitana vicino casa sua. Alle 20:18, però, ancora non è arrivato a destinazione, e Gennaro Gervasio inizia a chiamarlo, senza ottenere risposta.
Dopo le 21, quando è passata circa un ora e mezza dal loro appuntamento, Gennaro Gervasio è molto preoccupato e inizia a fare telefonate ad amici con toni allarmati chiedendosi cosa possa essere successo a Giulio Regeni.
Non pensa a un contrattempo, non pensa a un semplice ritardo, perché Gennaro Gervasio è al corrente di un fatto. Giulio Regeni gli aveva raccontato che l’11 dicembre del 2015 si era recato a una grande assemblea dell’opposizione egiziana dove aveva avuto l’impressione di essere stato fotografato.
Il suo volto era, secondo lui, stato messo bene a fuoco dall’autore degli scatti anche perché, secondo le ricostruzioni dei media, era l’unico occidentale presente all’assemblea.
Fu proprio per quella ragione che chiese al quotidiano Il Manifesto, quando gli inviò un proprio articolo sui sindacati egiziani, di pubblicare quel pezzo con uno pseudonimo.
Secondo un web designer che lavora vicino al condominio di Dokki dove abitava Regeni, pochi giorni prima della scomparsa dello studente italiano, la polizia egiziana si era recata proprio in quel condominio per un controllo. Non è chiaro se cercasse qualcuno o qualcosa in particolare o fosse un semplice controllo di routine come ne possono avvenire in una città in cui la tensione in questo periodo è molto alta.
Secondo le indagini che un’unità composta da polizia e carabinieri italiani stanno compiendo al Cairo, il 25 gennaio del 2016, Regeni si stava recando alla fermata della metropolitana non distante da casa propria. Un ragazzo avrebbe, secondo quanto riportano i media italiani, riferito agli inquirenti che Regeni è stato fermato da due uomini in borghese prima che scendesse nella metropolitana.
Le indagini hanno segnalato inoltre che il telefono di Regeni è sempre rimasto nella zona di Dokki, quindi la metropolitana la avrebbe potuta prendere per al massimo una fermata.
Questo succedeva il 25 gennaio, poi per numerosi giorni nessuna notizia, nonostante l’interessamento dell’ambasciata italiana al Cairo.
Il 4 febbraio, il corpo di Regeni è stato ritrovato ai lati di una strada al Cairo. Il suo corpo era seminudo e aveva segni di brutali violenze: orecchie mozzate, unghie strappate, fratture e piccoli tagli in tutto il corpo.
Segni che fanno pensare al fatto che Giulio Regeni, prima di morire, sia stato torturato. Ma su questo, ancora, mancano ulteriori prove. Il ministro dell’Interno egiziano, Magdi Abdel Ghaffar, in una conferenza stampa, ha porto le condoglianze al popolo e al governo italiano e ha respinto ogni accusa che veda coinvolto l’apparato di sicurezza egiziano nella morte di Giulio Regeni.