Lo spettro del nucleare agitato dal presidente russo Vladimir Putin e gli incidenti alla centrale ucraina di Zaporizhzhia – ora sotto il controllo russo – e di Chernobyl hanno fatto aumentare la domanda di pillole di iodio in Europa. Le compresse infatti agiscono saturando la tiroide di iodio “buono” e impediscono che si accumuli nella ghiandola quello radioattivo, in grado di provocare tumori, in caso di contaminazione nucleare. Una sostanza diffusa e utilizzata nei Paesi del nord Europa che ospitano centrali nucleari, dalla Francia alla Svezia, dove già da una settimana ormai è corsa ad accaparrarsi le pillole.
E insieme alla domanda, però, cresce anche il prezzo: secondo il sito di monitoraggio dei prezzi camelcamelcamel, una confezione di 180 pillole costa quasi 70 dollari su Amazon, rispetto ai 30 dollari inizio anno anno. Secondo Bloomberg in Norvegia sono state vendute 900mila confezioni in una sola settimana, mentre negli Stati Uniti le ricerche su Google sull’utilizzo delle pastiche di iodio contro le radiazioni nucleari sono salite del 1.150 per cento in pochi giorni.
Ma se in Norvegia, anche prima dell’invasione dell’Ucraina, l’Autorità per le radiazioni e la sicurezza nucleare raccomandava a tutti i minori di 40 anni di conservare compresse di iodio a casa, perché i sottomarini a propulsione nucleare viaggiano spesso lungo la costa norvegese, in Italia le autorità farmaceutiche invitano alla calma. La Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi) ha infatti precisato che al momento non vi è nessun allarme che giustifichi la richiesta di compresse di iodio, da assumere per prevenire o per arginare eventuali danni provocati da emissioni radioattive.
La iodoprofilassi è comunque contenuta nel Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche, che raccomanda l’organizzazione di un “un sistema di stoccaggio finalizzato alla distribuzione rapida in emergenza”. L’Italia ha così avviato una verifica sulle scorte di iodio presenti nelle farmacie.
“Nessuna psicosi ingiustificata, nessuna corsa in farmacia, non c’è davvero motivo di fare incetta di compresse di iodio (che peraltro non ha senso prendere in via preventiva e mai senza controllo medico) né pensare a rifugi blindati. Viste le distanze con l’Ucraina, per noi il parametro di riferimento resta Chernobyl. Nel senso che un eventuale incidente potrebbe avere in Italia le stesse ricadute dell’86, quindi non dirette sulle persone ma sul territorio”, ha detto a Repubblica Maurizio Pernice, direttore dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, commentando il Piano nazionale per il nucleare aggiornato dal capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio.
Questo prevede diversi livelli di allerta a seconda della distanza dall’incidente, che può variare dai mille ai 200 chilometri di distanza. La iodioprofilassi scatterebbe in questo ultimo caso, e cioè a distanza molto ravvicinata da un eventuale incidente.