In Ucraina si combatte da 98 giorni. Il 31 maggio il vertice europeo dei 27 ha approvato il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, che include anche l’embargo al petrolio: un’intesa raggiunta dopo un lungo vertice più volte vicino a naufragare. L’accordo tra i leader dell’UE prevede un embargo immediato al petrolio che arriva dalla Russia via mare mentre rinvia lo stop al greggio trasportato attraverso l’oleodotto Druzhba, per non penalizzare i Paesi che non hanno sbocco sul mare. Di questo e di molto altro ne abbiamo parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Amnesty come sta monitorando la situazione in Ucraina?
In due modi: sul campo con una missione nella regione del Kharkiv a fine febbraio e poi a metà marzo siamo stati nei villaggi circostanti Kiev. Dovremmo riuscire a tornare presto, appena ci sono le condizioni, a Mariupol. E poi abbiamo fatto un lavoro continuativo da remoto: due gruppi, uno che analizza le tantissime immagini ferme e in movimento per verificare attraverso processi di geolocalizzazione e metadati che si riferiscano effettivamente al luogo e all’ora, e le foto validate in questo modo, vengono passate al secondo team che lavora su analisi di frammenti di munizioni, dei danni arrecati all’obiettivo colpito e mettendo insieme le ricerche sul campo (le testimonianze) con l’analisi delle immagini e l’individuazione delle armi usate, risalendo fino al vettore, riusciamo a produrre prove di crimini di guerra, che rendiamo pubbliche con la speranza che poi diventino parte dell’indagine che il tribunale internazionale sta conducendo.
Sono già emerse prove di crimini di guerra?
Sì, già nelle prime ore. Il 25 febbraio abbiamo scoperto residui di bombe a grappolo individuando il modello, intercettando il razzo che le aveva portate e il lanciarazzi multiplo in un attacco contro un asilo che era stato adibito a rifugio. Uso di bombe a grappolo e un obiettivo civile colpito sono crimini di guerra. Sul campo abbiamo intervistato circa 25 persone riparate intorno a Kiev fuggendo da Mariupol e da altri luoghi.
Ci hanno raccontato di esecuzioni a sangue freddo, di stupri, di uccisioni deliberate di personale locale che stava portando aiuti, più altre prove di uso di armi imprecise come missili termobarici, bombe a caduta libera, come a Kharkiv. Le svariate decine di prove che abbiamo raccolto ci fanno pensare che i russi stanno usando le stesse tattiche usate in Siria.
Avete trovato analogie tra le strategie adottate in Siria e quelle in Ucraina da parte dei russi?
Sì, quella tattica usata in Siria chiamata “o la fame o la resa” che ha dato luogo agli assedi ad Aleppo, la stiamo rivedendo a Mariupol. L’analogia maggiore è con i trasferimenti forzati. Ad Aleppo i corridoi venivano organizzati con nessuna garanzia se non quella data dal governo siriano, arrivavano i pullman e li portavano non si sa dove. Qui è lo stesso.
Questa è anche una guerra di propaganda, avete avuto modo di poter effettuare verifiche in questo senso?
Basandoci sul criterio della testimonianza e sull’incrocio delle testimonianze verifichiamo le notizie. In questo modo ad esempio abbiamo potuto verificare effettivamente i trasferimenti forzati delle persone.
Queste persone che fine fanno?
È un mistero, o vengono spostati all’interno del Donbass o verso la Russia.
Uso di armi chimiche?
Non avendo avuto riscontri indipendenti non abbiamo avuto modo di confermare queste denunce. Ma sul fatto che possano essere usate questa possibilità c’è.
Cosa potrebbe accadere se Putin dovesse essere incriminato per crimini di guerra?
Le possibilità ci sono, la procura va fatta lavorare senza interferenze. Se il procuratore va avanti nella sua indagine e produce dei mandati di cattura, le persone che sono ricercate diventano dei latitanti, in secondo luogo 123 stati che sono quelli che oggi fanno parte delle Statuto di Roma hanno l’obbligo di arrestarlo se Putin dovesse recarsi in quel territorio.
È corretto parlare di genocidio adesso?
Dire che c’è un genocidio in corso è scorretto. Nessuna indagine può iniziare dall’ipotesi più grave. Al di là del fatto che oggi parlare di genocidio è solo dialettica politica, prima ci sono i crimini di guerra, poi casomai si indaga su altro. Ci sono 4 gradi: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione. Aggressione non è parte dell’indagine. Genocidio al momento non c’è.
Come vi è apparso il ruolo del governo ucraino?
Credo sia importante accertare possibili crimini di guerra anche dal lato ucraino, in particolare per il trattamento dei prigionieri di guerra. La terza convenzione di Ginevra vieta trattamenti indegni, contrari ai diritti umani. E ne abbiamo visti diversi, compresa l’esposizione alla pubblica curiosità. Questo vuol dire che non si possono portare i prigioni in conferenze stampa, non si possono filmare coi telefonini.
L’Ucraina ha una strategia di comunicazione che all’inizio puntando molto sul dovere morale degli stati di dare una mano è risultata efficace, ora sembra che stia raggiungendo degli eccessi.
C’è un tema ulteriore che l’Italia potrebbe provare a sollevare: visto che ci sono buone relazioni con Zelensky si potrebbe chiedere se le autorità ucraine finalmente inizino a collaborare per accertare le responsabilità della morte di Andrea Rocchelli e Andrea Mironov. La verità c’è, occorre la giustizia.
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