“Il sogno dei giovani turchi oggi è quello di poter vivere in un paese democratico. Non c’è libertà accademica, non c’è istruzione e siamo costretti a lasciare la Turchia, cercando la libertà altrove. Si continuano ad aprire università a caso, ma non rappresentano un’istruzione libera. Quella manca, specie in ambito scientifico. Sogniamo la libertà. Sogniamo un futuro migliore”.
Cihat Parilti ha 28 anni, è laureato in sociologia all’università di Istanbul e per mestiere fa l’attore. Dalla sua casa nel quartiere di Şişli ci contatta con una videochiamata per raccontarci cosa succede e perché dal 2 febbraio un ordine restrittivo gli impedisce di uscire dal suo comune.
Cihat è uno dei tanti manifestanti che sono stati fermati e arrestati dalla polizia turca a partire dall’inizio del 2021. Lui, come molti altri studenti e cittadini, manifestava contro alcune scelte politiche che hanno riguardato l’università.
Dall’inizio dell’anno infatti il mondo universitario turco è in rivolta. E’ iniziato tutto il 1° gennaio, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha nominato Melih Bulu, un politico del suo stesso partito (l’AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, di orientamento islamista e conservatore) come rettore dell’Università del Bosforo di Istanbul, la più prestigiosa del paese. Una nomina controversa, anche perché arrivata direttamente dal governo, scavalcando il principio di autonomia degli atenei. Ed è proprio questo il motivo che ha spinto studenti e cittadini a manifestare per le strade di Istanbul.
A partire dal 4 gennaio hanno iniziato la loro protesta pacifica che da Istanbul si è estesa ad altre 35 città in tutto il paese. Agli studenti si sono uniti i professori universitari e cittadini come Cihat, tutti concordi nel chiedere le dimissioni del nuovo rettore e nuove elezioni universitarie, da svolgersi in maniera democratica e trasparente.
Lo stato turco ha deciso di reprimere con la forza le proteste, che hanno condotto a centinaia di arresti in tutto il paese. I manifestanti sono stati definiti da Erdogan e dai suoi alleati come “vandali, terroristi e blasfemi”.
“Ho iniziato a seguire le proteste sui social, poi un video mi ha colpito: i poliziotti intimavano ai manifestanti di abbassare lo sguardo. Mi è salita la rabbia e ho deciso di scendere in piazza”, racconta Cihat. “Mi hanno arrestato mentre ero in giro con altre persone, era appena entrato in vigore il divieto di assembramento e i poliziotti mi hanno fermato. Siamo tutti stati condotti al commissariato di Vatan. È lì che portano tutti gli studenti che manifestano, ed è sempre lì che avvengono torture e molestie sessuali”.
Lo scenario che descrive Cihat a TPI è raccapricciante: “Eravamo oltre 100 persone. Quando siamo stati portati in cella, abbiamo visto condizioni disumane: escrementi ovunque, i bagni non erano agibili, c’era vomito dappertutto. Credevamo e speravamo di essere rilasciati in breve tempo, invece siamo rimasti lì 2 giorni”.
“Al commissariato abbiamo assistito anche al tentativo dei poliziotti di perquisire una donna denudandola. La ragazza è riuscita a ribellarsi e a resistere. Volevano farla a tutte le donne. Eravamo in tanti e opponevamo resistenza in quel momento. In questo modo sono riusciti così a isolarci per farci pressioni psicologiche”.
Cihat spiega che questa oppressione strisciante va avanti da anni in Turchia e ora che tocca spudoratamente l’università, la situazione è degenerata: “L’ondata di partecipazione ha coinvolto non solo gli studenti, ma tutti i cittadini. Da anni il partito AKP pro Erdogan cerca in ogni modo di reprimere tutto ciò che vogliamo fare, come studenti e come umani. Cercano di imporci il loro punto di vista. L’intenzione di Erdogan è quella di entrare in Europa, ma sta raccontando le cose in un altro modo. L’idea che vuole trasmettere è: noi stiamo provando a entrare ma sono loro che non vogliono. Oggi probabilmente ci sarà una repressione violenta, come è sempre accaduto d’altronde, e cercheranno di zittire soprattutto le donne”.
E proprio le donne sono le più colpite dagli attacchi, secondo il racconto di Cihat e stando alle tante testimonianze esistenti. Molte di esse sono ancora agli arresti domiciliari, una mossa, spiegano gli attivisti, attuata per fermare le proteste. E invece anche oggi e proprio oggi, lunedì 8 marzo, giornata internazionale delle donne, le proteste vanno avanti. Con le donne e grazie alle donne.
Ev hapsinde değil, feminist isyandayız!
Burcu tacize, covide, kod29’a karşı mücadele diyerek ev hapsini kendi iradesiyle sonlandırıp @anadolugrup önündeki DGDSEN’li kadınlarla dayanışmaya geldi.
YAŞASIN KADIN DAYANIŞMASI! pic.twitter.com/SBRg24YXRf— Kadın Komiteleri (@kadinkomiteleri) March 8, 2021
C’è attesa per la grande manifestazione di stasera prevista a Istanbul. “Erdogan sente e sa che sta perdendo consensi, e agisce in modo sempre più violento”, racconta Cihat. “Si sta cercando di demonizzare le donne collegandole al terrorismo del PKK. Dall’Italia e dall’Europa serve una pressione mediatica, per creare consapevolezza, bisogna mostrare cosa stiamo subendo!”.
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