Potrebbe fornirci una panoramica della situazione della libertà di stampa in Turchia?
«I media sono dominati da testate filo-governative. Sulla stampa, le voci critiche si limitano a poche pubblicazioni a bassa tiratura. Il principale gruppo editoriale è il filo-governativo Demiroren, che possiede i popolari giornali Hurriyet e Posta e i canali televisivi Cnn Turk e Kanal D. Sono rimasti alcuni canali indipendenti come Fox Tv, Halk Tv, Tele 1, Krt e Arti Tv. Tuttavia, ad eccezione di Fox Tv, mancano di risorse perché nel clima di paura che circonda il settore sono costretti a lottare per trovare inserzionisti pubblicitari. In questo panorama, oltre il 70 per cento dei turchi utilizza i social, che forniscono voci alternative alle tv filo-governative. Con i media mainstream in gran parte off-limits, le voci indipendenti e vicine all’opposizione spesso si affidano alle piattaforme social per condividere notizie e opinioni. Le testate critiche con il governo rischiano perquisizioni della polizia, ammende fiscali e altre misure ostili. La maggior parte dei giornalisti arrestati è accusata di appartenere a o fare propaganda per gruppi considerati organizzazioni terroristiche».
L’8 giugno, 16 giornalisti sono stati arrestati dalle autorità turche con l’accusa di terrorismo, sebbene nessuna prova sia stata presentata ai loro avvocati o agli indagati stessi. È già successo diverse volte.
«I 16 giornalisti filo-curdi di cui parla sono stati incarcerati dopo essere stati tenuti per otto giorni in custodia dalla polizia, senza essere stati informati delle accuse mosse contro di loro. Oltre al diritto alla libertà di espressione, è stato violato anche il loro diritto alla difesa in quanto ai loro legali è stato negato l’accesso alle informazioni sull’indagine, a causa di un ordine restrittivo imposto dalla Procura. Perseguire i giornalisti filo-curdi con l’accusa di terrorismo è una tattica usata spesso dalle autorità turche per mettere a tacere i cronisti indipendenti che riportano questioni riguardanti la minoranza curda in Turchia. Recentemente, la decisione adottata la settimana scorsa da un tribunale turco di bloccare l’accesso ai portali locali di Voice of America e Deutsche Welle, due degli ultimi media indipendenti rimasti accessibili al pubblico turco, costituisce un ulteriore esempio dell’allarmante ampliamento del controllo del governo sul panorama editoriale in Turchia».
La Turchia è spesso descritta come uno dei luoghi più pericolosi per la libertà di stampa.
«I giornalisti indipendenti cercano di fare il proprio lavoro, correndo costantemente il rischio di essere perseguiti sulla base di un’ampia gamma di accuse inventate, tra cui terrorismo e offesa al presidente. I cronisti inoltre sono sempre più soggetti ad attacchi violenti da parte di organizzazioni criminali o delle forze di sicurezza. Secondo Reporter senza frontiere (Rsf), oltre 200 giornalisti e operatori dei media sono stati incarcerati in Turchia tra il 2016 e il 2021. Stando a un rapporto pubblicato dalla “Dicle Firat Journalists Association”, a febbraio 2022 erano 65 i giornalisti ancora detenuti in Turchia. La relazione afferma che 55 cronisti hanno subito violenze fisiche nell’ultimo anno e che due di questi sono stati uccisi. La sopracitata decisione di un tribunale di bloccare l’accesso ai portali in turco di VOA e DW e il disegno di legge sulla disinformazione che sarà probabilmente approvato a settembre dal parlamento presentano una serie di nuove minacce alla libertà di stampa in Turchia. Tutti questi fatti e dati ci mostrano che la libertà di stampa è gravemente limitata e seriamente minacciata».
Dal 2015, il partito al potere Akp ha messo in atto una serie di leggi draconiane contro il dissenso e i giornalisti non sono l’unico obiettivo. Cosa sta succedendo?
«Oltre ai giornalisti, vengono presi di mira e perseguitati anche i difensori dei diritti umani, gli attivisti per i diritti civili e i dissidenti. Dallo Stato di emergenza proclamato nel 2016 a seguito del tentato golpe del luglio di quell’anno fino alla transizione a un sistema presidenziale autoritario avvenuta nel 2018, c’è stato un grave declino del rispetto della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti fondamentali in Turchia. Anche nel nostro ultimo rapporto “Freedom in the World” la Turchia ha continuato a essere inserita tra i Paesi non liberi. Le autorità non consentono manifestazioni pacifiche e i cittadini che vogliono esercitare il proprio diritto di manifestare spesso subiscono la reazione eccessivamente violenta della polizia e una serie di vessazioni dal punto di vista legale. Ad esempio, la polizia antisommossa ha di recente impedito a Istanbul sia la 900esima veglia organizzata in piazza Galatasaray dalle “Madri del sabato” (un gruppo che da anni protesta contro le sparizioni forzate e gli omicidi politici – ndr) sia la Marcia del Pride, arrestando in tutto 416 persone, in seguito rilasciate. Un altro esempio della grave erosione dello stato di diritto in Turchia, in aperta sfida a una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), è il recente verdetto sul caso Gezi Park, con cui un tribunale turco ha condannato all’ergastolo l’attivista per i diritti umani e filantropo Osman Kavala e a 18 anni di carcere altri sette imputati, tutti riconosciuti colpevoli dell’accusa di aver cospirato per rovesciare il governo».