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    Turchia: sale a 5 morti e 22 feriti il bilancio dell’attentato alle Turkish Aerospace Industries. Ankara accusa il Pkk

    Fotogrammi delle telecamere di sicurezza della sede delle Turkish Aerospace Industries che ritraggono i due attentatori in azione

    Il ministro della Difesa Nazionale Yaşar Güler accusa il Partito dei lavoratori del Kurdistan ma al momento nessun gruppo ha ancora rivendicato l’attentato. "Le indagini per identificare gli aggressori continuano", ammette il ministro degli Interni, Ali Yerlikaya

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 24 Ott. 2024 alle 10:24

    È salito ad almeno 5 morti e 22 feriti il bilancio dell’attentato compiuto ieri in Turchia nella sede delle Turkish Aerospace Industries (TAI, turco TUSAŞ) di Kahramankazan, a circa 40 chilometri dalla capitale Ankara, che il ministro della Difesa Nazionale Yaşar Güler ha attribuito al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica anche da Stati Uniti e Unione europea.

    L’attacco è stato effettuato da due persone, tra cui una donna, ripresi anche dalle telecamere di sicurezza della sede delle TAI e in seguito uccisi dalle forze speciali turche intervenute sul posto. Al momento nessun gruppo ha ancora rivendicato l’attentato. Tra i feriti, sette sono ricoverati in ospedale e almeno due versano in gravi condizioni.

    La dinamica dell’attentato
    Come ricostruito alla stampa locale dal ministro degli Interni turco Ali Yerlikaya, tutto è cominciato intorno alle 15:26 di ieri ora locale (le 14:26 in Italia), quando i due aggressori sono giunti, a bordo di un taxi, all’ingresso dell’Aviation campus, in cui si trovavano in trasferta anche alcuni lavoratori dell’italiana Leonardo, rimasti illesi.

    I due hanno dapprima fatto esplodere un ordigno ai cancelli dell’impianto e poi hanno cominciato a sparare contro i dipendenti delle Turkish Aerospace Industries. “Le unità della gendarmeria e della polizia sono immediatamente arrivate sul posto”, ha precisato Yerlikaya alla stampa. L’intervento delle unità speciali ha permesso di fermare i due attentatori, rimasti uccisi nello scontro a fuoco con le forze di sicurezza turche.

    L’incertezza sui responsabili
    Malgrado le affermazioni del ministro della Difesa Güler, non è ancora nota l’identità dei responsabili. “Le indagini sull’identità degli aggressori attraverso l’analisi delle impronte digitali continuano. Non appena determinate, divulgheremo lee informazioni sulla loro identità e sull’organizzazione terroristica responsabile della strage”, ha spiegato il ministro degli Interni Yerlikaya.

    “Abbiamo ascoltato le dichiarazioni del nostro ministro della Difesa: sin dall’inizio, il modo in cui si è svolta questa azione e le immagini che abbiamo visto ci hanno fatto pensare che gli aggressori siano molto probabilmente legati al Pkk. Questa è la nostra valutazione ma la condivideremo con voi ancora una volta man mano che avremo identificato chiaramente i responsabili”. Finora però nessun gruppo ha rivendicato l’attentato.

    La Turchia però, che ha incassato la solidarietà sia degli alleati della Nato che della Russia, dove il presidente Recep Tayyip Erdogan sta partecipando al vertice dei Paesi Brics+ di Kazan, ha già risposto militarmente contro le organizzazioni armate curde, anche in Siria e Iraq. Secondo una nota del ministero della Difesa di Ankara, le forze armate hanno bombardato 32 obiettivi nella zona di Sulaymaniyah e nella regione dei monti Qandil, nel nord dell’Iraq, e nelle città di Derik, Kobane e Tel Rifat, in Siria settentrionale. 

    Un colpo al processo di pace con i curdi
    L’attentato complica il percorso di riavvicinamento tra Ankara e i gruppi armati curdi dopo una serie di (timidissimi) segnali lanciati nelle scorse settimane che facevano sperare nella riapertura delle trattative per un cessate il fuoco dopo 40 anni di insurrezione armata che solo in Turchia ha provocato più di 40mila vittime e coinvolto a vario titolo anche Siria, Iraq e Iran.

    Intanto, questa mattina, il deputato del movimento filo-curdo di sinistra, Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (Dem), Ömer Öcalan, nipote del fondatore del Pkk, Abdullah Öcalan, ha annunciato di aver incontrato ieri lo zio nel carcere sull’isola di İmralı, a sud di Istanbul, dove è rinchiuso da 25 anni.

    “Ho avuto un incontro con Öcalan nella prigione dell’isola di İmralı il 23 ottobre”, ha scritto oggi il deputato su X. “Questa visita ha avuto luogo nell’ambito di una riunione di famiglia. Durante l’incontro, Öcalan ha fatto delle valutazioni sugli sviluppi politici generali e ha chiesto che fosse trasmesso al pubblico il seguente messaggio: ‘L’isolamento continua. Se si verificano le condizioni, ho il potere teorico e pratico di spostare questo processo dal terreno del conflitto e della violenza a quello legale e politico’. Era in buona salute e salutava tutti molto calorosamente”.

    Il leader curdo è in isolamento da anni, non vede il suo legale da oltre tre anni e mezzo e aveva potuto incontrare i suoi familiari per l’ultima volta nel marzo del 2020. Ma le sue parole lasciano ancora sperare in una possibile riapertura del dialogo, che l’attentato di ieri sembra allontanare.

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