«Saïed governa da solo». Il politologo tunisino Hamadi Redissi riflette sulle caratteristiche e le contraddizioni del governo del Presidente della Tunisia Kaïs Saïed, in carica dal 2019 e attualmente sollecitato a livello internazionale sulla gestione dei migranti. Firmatario del Memorandum Ue/Tunisia, il leader tunisino ha infatti partecipato, domenica 23 luglio a Roma, alla Conferenza internazionale sulle migrazioni. Classe 1952, Redissi è Professore di Scienze Politiche all’Università di Tunisi, nonché autore di numerosi libri e studi; suo ultimo lavoro è la cura del saggio a più voci “Le pouvoir d’un seul“, pubblicato in questi giorni da Al Diwen Editions.
Redissi, l’obitorio di Sfax è saturo, mentre l’aumento dei flussi verso l’Italia si aggira intorno al 300 per cento. Ritiene che la Tunisia possieda gli strumenti giusti per gestire i flussi migratori?
«Ad aprile, il Ministero degli Interni italiano registrava quasi 14mila migranti arrivati dall’inizio dell’anno, rispetto ai 5.300 giunti nello stesso periodo nel 2022 e i 4.300 del 2021. La media è di 6mila migranti dal 2016. A maggio, sempre secondo il sito del Ministero degli Interni italiano, il numero di sbarchi è triplicato. L’Italia ne soffre, ma anche la Tunisia. A Sfax, uno dei punti di partenza dei migranti, il numero di salme, che si aggira a oltre duecento, ha superato le capacità dell’unità, che è di trentacinque posti. La Tunisia ha i mezzi per gestire i flussi migratori? Assolutamente no. Le coste tunisine si estendono per 1.300 chilometri, di cui 600 chilometri di spiagge. Ramadan Ben Amor, portavoce del Forum tunisino dei diritti economici e sociali (Ftdes) incaricato del dossier sulla migrazione irregolare, ha dichiarato il 3 luglio 2023 che «la Tunisia è diventata un Paese di transito migratorio poiché gli africani subsahariani evitano di passare per la Libia». Il flusso è incessante: proviene dalle frontiere terrestri attraverso l’Algeria. Senza contare i tunisini in partenza: rappresentano, secondo fonti italiane, più della metà (18mila su più di 32mila arrivati clandestinamente nel 2022). Secondo alcune fonti, di cui Majdi al-Qarbaai (deputato dell’ex Assemblea sciolta per i tunisini residenti in Italia) si è fatto portavoce, è la stessa Tunisia che a maggio ha cominciato a chiedere all’Unione europea mezzi economici e tecnici per arginare il flagello. Meloni si è affrettata a venire in Tunisia ma dovrà recarsi anche in Algeria e in Libia. Bisognerà anche smantellare le reti transfrontaliere di trafficanti. Occorre una cooperazione regionale dei Paesi direttamente interessati, Italia in primis. La Tunisia non deve sopportare da sola questo fardello. Ma sapete che il problema dell’immigrazione non si risolve solo con il controllo delle frontiere: è molto più complesso. Per esempio, si parla di migranti clandestini, ma si dimentica che in dieci anni, tra il 2010 e il 2020, centomila medici, ingegneri e neolaureati sono partiti per l’Europa. La Tunisia si svuota delle sue eccellenze. Bisogna dunque affrontare la radice del male, la crisi proteiforme che vive oggi il Paese».
Ritiene che la Tunisia potrebbe diventare, come vorrebbe l’Italia, un “Paese terzo sicuro”?
«Non lo penso per diverse ragioni. Prima di tutto, la Tunisia, come dichiarato dal suo Presidente, rifiuta di giocare il ruolo di gendarme. In secondo luogo, il Paese non è sicuro neanche per sé stesso, a causa del clima di agitazione politica e dell’acuta crisi economica che colpisce soprattutto le classi popolari e medie. Infine, le clausole relative al “Paese sicuro”, quali figurano nell’accordo concluso tra l’Unione europea e la Turchia nel 2016, sono difficilmente realizzabili in Tunisia: tollerare, anche provvisoriamente, migranti respinti dalle coste italiane in appositi accampamenti, consentire alle ONG di venire in loro aiuto, estendere il diritto d’asilo e rivedere la legislazione del soggiorno temporaneo, accordare loro l’accesso al lavoro… Difficile immaginarlo. Già il Paese gestisce male ventimila subsahariani, registrando un aumento della xenofobia, dello sciovinismo e del razzismo che colpisce le masse ma anche, purtroppo, una parte delle elite. Vergognoso. Esiste un Partito Nazionale Tunisino che sostiene che i migranti siano 700mila e invita il Capo dello Stato a prendere provvedimenti e rimandarli indietro manu militari dalla Tunisia, “minacciata da una colonizzazione di altri popoli”».
Il Presidente Saïed non ha accettato le richieste per il prestito da 1,9 miliardi dell’Fondo monetario internazionale. Teme un rischio bancarotta per la Tunisia?
«Gli economisti riconoscono che la situazione economica è disastrosa, ma il Paese non è sull’orlo del collasso. È i governo italiano che sembra esagerare, per spingere i finanziatori ad aiutare la Tunisia mitigando le loro condizioni. In realtà, il Paese vive senza una vera prospettiva. Dal 2011 al 2021, il ritmo di crescita del Pil è stato dell’1’8 per cento. Dal 2010, il debito estero è raddoppiato tanto da collocarsi all’incirca all’80 per cento del Pil. Il tasso d’inflazione è al 9 per cento, mentre il tasso di povertà e disoccupazione si aggira intorno al 15 per cento. Possiamo continuare ad allineare i numeri. Il problema delle autorità riguarda gli effetti sociali conseguenti all’accordo con il Fondo monetario internazionale, che richiede tre cose: ridurre il costo del lavoro, sopprimere la sovvenzione a titolo della cassa generale di compensazione dei prodotti di prima necessità e ristrutturare le imprese pubbliche aprendo ai capitali privati. Queste le ragioni dello stallo. Il Fondo monetario internazionale ammorbidirà le sue condizioni sotto la pressione di un’Europa sola, preoccupata unicamente della questione migratoria?».
Come giudica il governo di Saïed su riforme e princìpi?
«Saïed governa da solo. I suoi ministri sono dei tecnocrati senza autorità. Hanno trascorso più di un anno a negoziare con il Fondo monetario internazionale sulla base di una tabella di marcia che modificano rapidamente su decisione del Presidente. Suo tallone d’Achille: Saïed vuole piacere. È un populista tronfio di retorica. Non discute con le sue forze sociali e con i partiti, ma impone soluzioni che non dureranno a lungo senza un clima politico sano, in assenza di dialogo e democrazia».