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    Trump non sarà un buon presidente, ma forse non porterà l’Apocalisse

    Il commento di Benedetta Argentieri da New York che si interroga sull'elezione del controverso Trump e sui motivi che hanno portato alla sconfitta di Hillary Clinton

    Di Benedetta Argentieri
    Pubblicato il 9 Nov. 2016 alle 15:51 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:25

    L’America si sveglia con un nuovo presidente. Donald J. Trump, il candidato più controverso degli ultimi anni, l’outsider, ha conquistato la Casa Bianca, il Senato e la Camera. Nei prossimi mesi dovrà anche nominare i giudici della Corte Suprema. Saranno quattro lunghi anni. 

    “Gli Stati Uniti sono in grado di reggere un cattivo presidente”, mi disse un paio di mesi fa un amico fotografo canadese ma che da quasi dieci anni vive a New York. Ha ragione. Ma il resto del mondo ce la farà? 

    Il Medio Oriente è nel caos, la tensione tra Russia e Stati Uniti è alle stelle, e un presidente più vicino a Mosca potrebbe cambiare la geopolitica mondiale. Potrebbe. Una delle prerogative più importanti della presidenza americana è proprio la politica estera. I punti interrogativi sono tanti, forse troppi. E la notizia della vittoria fin troppo recente. Bisognerà vedere chi verrà nominato nei dipartimenti principali (Stato e Difesa), bisognerà capire se Trump manterrà le promesse per cambiare il Nafta, per far pagare ai paesi alleati le spese di difesa, tanto per dirne un paio. “Making America great again” è stato lo slogan principale della sua campagna.

    E nonostante una campagna lunga 18 mesi e tre dibattiti presidenziali, a nessuno è chiaro come manterrà questa promessa. Trump ha passato la maggior parte del tempo a insultare, incoraggiare il razzismo, chiedere muri e prendersela con le donne. A nulla sono valse le campagna stampa, le notizie sui suoi comportamenti e sulle sue finanze. Oggi l’incognita è quello che fa più paura, perché nessuno sa davvero cosa succederà. 

    Quando nel 2008 è stato eletto Barack Obama le aspettative erano altissime. Era stato dipinto come “il Salvatore”, come colui che avrebbe rivoluzionato il sistema sanitario, avrebbe fatto uscire l’America dai conflitti mediorientali. Ha persino vinto il Nobel per la Pace prima di cominciare a lavorare. Promesse che non ha potuto mantenere per intero, anche se rimango convinta che è stato un ottimo presidente: ha fatto gli interessi del suo paese che troppo spesso non coincidono con il resto del mondo. 

    L’8 novembre è stato eletto il suo opposto. Dipinto come Satana, per le sue dichiarazioni estremamente offensive, forse Trump non si rivelerà così catastrofico. Forse. Ma in queste ore, anziché insultare gli americani e ridere di loro, c’è un altro interrogativo a cui è necessario rispondere. 

    Hillary Clinton era davvero il candidato giusto? Perché nonostante sia stata la più preparata di tutte, non ce l’ha fatta a vincere contro il repubblicano meno preparato di sempre. L’unico che è riuscito a mettere d’accordo tutta la stampa americana. 

    Gli ultimi mesi negli Stati Uniti, dove vivo da tre anni, sono stati illuminanti. All’inizio ho pensato fosse una questione di genere. Forse gli Stati Uniti non erano preparati ad avere un presidente donna, mi sono detta. Ma poi ho capito che non era così; certo gli attacchi così feroci un uomo non li avrebbe ricevuti, ma credo che alla fine sia stato un voto contro di lei. Una donna che impersona l’establishment, la vecchia politica. Ha fatto scelte discutibili su troppe guerre. Vicina alle banche e moglie di Bill Clinton. Una donna del sistema. Troppo per gli americani che vivono, come molti altri in paesi occidentali, un momento di antipolitica, così hanno preferito far dirottare i voti sul terzo candidato. 

    E così Donald J. Trump è diventato presidente. 

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