Trump fa la guerra all’Iran. Ma lui in guerra non c’è stato, militare mai fatto
Guerra. La parola risuona e trova spazio nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo da quando un bombardamento aereo ha colpito, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq, un convoglio della coalizione militare sciita (Forze di mobilitazione popolare, Hashd al-Shaabi). In quella notte, che è ormai parte della storia, tra giovedì 2 e venerdì 3 gennaio, muore il popolare generale iraniano Ghassem Soleimani.
Un’operazione militare ordinata direttamente dalla Casa Bianca e rivendicata con orgoglio dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che trasforma di colpo il Golfo in una polveriera. Al culmine di un’escalation tra Washington e Teheran che dura ormai due anni e che trova oggi il suo culmine.
Il Pentagono ha infatti deciso di inviare altri tremila soldati in Medio Oriente, al fine di rafforzare le posizioni americani nella regione. Si tratta di militari appartenenti all‘82esima divisione aviotrasportata (paracadutisti). Essi affiancheranno i circa 700 soldati già presenti in Kuwait dall’inizio della scorsa settimana, dopo l’attacco contro l’ambasciata americana a Baghdad.
Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio, l’Iran ha lanciato un attacco missilistico contro le forze guidate dagli Stati Uniti in Iraq. Teheran ha lanciato diversi missili balistici (15 secondo gli Usa, 22 secondo Teheran) dal territorio iraniano contro almeno due strutture irachene che ospitano il personale della coalizione guidata dagli Stati Uniti.
L’attacco, secondo i media iraniani, ha provocato almeno 80 morti, ed è stato rivendicato dalle forze iraniane, le quali hanno affermato che “La feroce vendetta è iniziata”. E con la vendetta, è iniziata ufficialmente anche la guerra.
L’invio di nuove truppe
I piani delineati dal Pentagono prevedono che circa 200 membri del 173esimo Airborne Brigade Combat Team, con sede a Vicenza, in Italia, vengano inviati in Medio Oriente. Le truppe verrebbero assegnate per fornire ulteriore sicurezza all’Ambasciata degli Stati Uniti a Beirut, come ha spiegato un funzionario della difesa.
I nuovi soldati si uniranno a più di 10.000 truppe statunitensi che sono state spostate in Medio Oriente o messe in allerta da quando il generale Soleimani è stato ucciso. Tra loro ci sono circa 5.000 marines ed equipaggi che sono diretti nella regione a bordo della USS Bataan, una nave d’assalto anfibia, e le proprie squadre pronte, che comprendono la 26esima unità di spedizione dei Marines.
Diverse centinaia di militari faranno parte dello spiegamento di uno squadrone di bombardieri B-52, hanno detto i funzionari statunitensi. Gli Usa avevano inviato un gruppo di B-52 nella loro base aerea in Qatar nel 2019 dopo la riacutizzazione delle tensioni con l’Iran, ma alla fine avevano ritirato gli aerei. Sei B-52 verranno inviati nuovamente nella regione nei prossimi giorni, hanno detto i funzionari. Ciò porterà il numero totale di truppe, piloti e Marines in Medio Oriente a oltre 80.000.
“Finora va bene! Abbiamo le truppe più forti e meglio equipaggiate al mondo!”, twitta il presidente degli Stati Uniti.
Il presidente Trump e la leva militare
Ma il presidente Trump conosce le sfide e le difficoltà della guerra?
Donald Trump è stato esonerato dal servizio militare cinque volte, quattro per motivi di studio e una per motivi di salute. Esoneri che gli hanno evitato la guerra in Vietnam, riporta il New York Times.
L’esonero per motivi medici, problemi al tallone, ha consentito a Trump, finiti gli studi, di andare subito a lavorare con il padre.
Il tycoon ha raccontato l’episodio in termini diversi, spiegando che gli era stato assegnato un numero di lotteria alto che non è stato estratto.
Dopo l’elezione, il presidente che ha saltato il servizio di leva e la chiamata per il Vietnam grazie a un certificato medico molto accomodante, scelse di nominare alla Casa Bianca un numero insolito di generali. Mike Flynn, comandante delle forze speciali in Iraq che fu scelto come consigliere per la Sicurezza nazionale e poi dovette dimettersi subito per i contatti con il governo russo.
In questi anni, Trump non è andato a visitare le truppe impegnate nelle missioni in Iraq e in Afghanistan perché, secondo i suoi collaboratori, non voleva validare con la sua presenza quelle operazioni che lui considera “a total shame”, una vergogna totale.
C’è da chiedersi come questo si rifletta sul morale delle migliaia di truppe che sono esposte al rischio di combattimenti in Afghanistan, Iraq e Siria e oggi ancora di più. Cosa dovrebbero pensare dell’idea di morire per una “total shame”? Da quando è cominciato il mandato, circa sessanta militari americani sono stati uccisi mentre erano impegnati all’estero. Se il presidente non è convinto, perché oggi ha cambiato idea e dovrebbero esserlo i suoi subordinati?