Le immagini dell’imam Ruhollah Khomeini che scende le scale del Jumbo della compagnia aerea Air France – decollato il primo febbraio di 38 anni fa dall’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi e atterrato nello scalo iraniano di Merabad – hanno segnato una svolta storica significativa per il paese e il resto del mondo.
Tornato in patria il primo febbraio 1979, dopo un lungo esilio forzato a partire dal 1964 per volere dello Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, Khomeini venne accolto in patria da una folla oceanica, alla stregua di un eroe della patria.
Da quel giorno le cose per la neonata Repubblica Islamica dell’Iran non sarebbero state più le stesse: la rivoluzione khomeinista avrebbe modificato radicalmente il volto dell’Iran moderno.
Perché la data dell’11 febbraio?
Dopo la partenza dello scià avvenuta il 18 gennaio 1979, le manifestazioni a favore dell’Ayatollah Khomeini si moltiplicarono, mentre l’11 febbraio l’esercito iraniano annunciò il proprio disimpegno dalla lotta. Al primo ministro in carica di allora, Shapur Bakhtiar, non restò che abbandonare il paese.
I dieci giorni che sconvolsero gli equilibri in Medio Oriente ebbero inizio il 16 gennaio 1979 con la precipitosa fuga, ufficialmente per motivi di salute, dello scià Reza Pahlavi e di sua moglie Farah Diba, sovrani dell’ultima fase imperiale della millenaria Persia.
Poco prima di imbarcarsi sull’aereo diretto in Egitto e poi verso gli Stati Uniti, lo scià “amico dell’Occidente”, nominò come premier Shapur Baktiar, nel vano tentativo di salvare il regime agonizzante.
Fu tutto inutile. Il primo febbraio con il ritorno di Khomeini la situazione politica precipitò e di lì a poco, l’11 febbraio, anche Baktiar dovette lasciare il suo posto. Ciò segnò la fine e la caduta inesorabile dello scià, che aveva governato per ben 37 anni.
Chi è Ruhollah Khomeini?
Icona del Novecento, suo malgrado, Ruhollah Musavi nasce a Khomein nel settembre del 1902, sotto i migliori auspici: i genitori scelsero per lui un nome che significa “ispirato da Dio”. La famiglia appartenente all’islam sciita, sosteneva di discendere direttamente dal profeta. Questo influenzò profondamente tutti i componenti della famiglia, compreso Ruhollah e i suoi fratelli che si dedicarono allo studio approfondito dei testi sacri.
A cinque mesi di vita, il padre viene a mancare e Ruhollah cresce sotto le cure e la protezione della madre e della zia: anche loro, però, lo lasciano presto, morendo entrambe di colera nel 1918. I suoi unici punti di riferimento rimasero i suoi due fratelli maggiori, che raggiungeranno entrambi il titolo religioso più elevato di Ayatollah e lo sproneranno a seguire la loro strada.
Brillante studente, Ruhollah si distingue dai suoi coetanei per la sua versatilità: gli insegnanti lo descrivono come uno studente eccellente nelle materie umanistiche: riesce a recitare a memoria interi poemi epici e religiosi. Ben presto, per volere dei fratelli più grandi, viene mandato ad Arak, nella regione iraniana di Markazi.
Qui frequenta lo studioso islamico Yazdi Ha’iri, che lo porta con sé a Qom (città santa sciita) dopo soli tre anni, per farne un insegnante. Altra figura di riferimento per lui sarà l’Ayatollah Boroujendi.
Alla morte di entrambi, Ruhollah matura una crescente avversione per lo Scià Reza Pahlavi, che sta progressivamente occidentalizzando l’Iran. Khomeini critica apertamente la politica dello Scià divenendo una figura sempre più influente nella comunità religiosa iraniana, al punto da essere soprannominato “Marja-e Taqlid” (ossia persona da imitare).
Nel frattempo, nel 1941 Mohammad Reza Pahlavi ha ereditato il trono del padre, mostrando il lato più oscuro di una monarchia basata sulla repressione del dissenso.
La data che segna la spaccatura insanabile tra i due è il 1963, quando Khomeini tenne un discorso al vetriolo nel quale sosteneva che il popolo iraniano sarebbe stato felice di vedere lo Scià lasciare il paese, additato come schiavo degli Stati Uniti e in ottimi rapporti con Israele.
Per questo attacco diretto, Khomeini fu arrestato e incarcerato fino all’aprile del 1964. Non appena uscito dal carcere, venne deportato in Turchia. Nel 1965, a causa di alcune inconciliabili restrizioni della legge turca verso un religioso come lui, Khomeini raggiunse la città di Najaf, in Iraq, dove trascorse tredici anni della sua vita.
Proprio in Iraq sviluppa le linee guida di quelle che sarebbero poi diventatate le fondamenta per forgiare la Repubblica Islamica dell’Iran, ma la sua accesa attività politica crea gravi imbarazzi al governo iracheno che gli intima di abbandonare o la politica o direttamente il paese.
Khomeini sceglie la seconda opzione e decide di raggiungere Parigi nel 1978. Nel frattempo, in Iran, sta maturando un clima di profonda avversione verso lo Scià che viene messo alle strette e cacciato via dal paese il 16 gennaio 1979.
Trascorse poche settimane, Ruhollah Khomeini decide di ritornare in patria dove si sta compiendo ciò che lui aveva sempre teorizzato: ossia una rivoluzione totale che contagi l’intera società.
L’ideologia politica alla base della Rivoluzione Islamica
L’ideologia filosofica e politica che anima la neonata Repubblica Islamica dell’Iran è la cosiddetta velayat e-faqih, traducibile in “governo del giureconsulto”. Ciò significa che il giurista musulmano esperto della legge emanata direttamente da Dio, ne è anche l’unico interprete autentico (mujtahid). A lui spetta il compito di sovrintendere a ogni azione del parlamento per far sì che si conformi a quella che il giurista stesso (faqih) ritiene esserne la corretta interpretazione.
La sua dottrina viene elaborata attraverso diciassette lezioni in una moschea della città irachena di Najaf, mentre i suoi discorsi registrati su audio-cassette entrano illegalmente in Iran e infiammano gli animi degli oppositori al regime dello Scià.
Nonostante la forza sprigionata dalle sue parole, molti iraniani credono che Khomeini avrà comunque un ruolo marginale: una volta caduto lo Scià, si ritirerà a vita privata e si ritaglierà solo un ruolo religioso.
Non accadde nulla di tutto ciò e il suo rientro in patria dopo 15 anni di esilio fu la più ampia dimostrazione di quali fossero i suoi reali intenti.
A bordo dell’aereo della compagnia francese che lo riportava a casa, ai giornalisti che gli domandavano cosa provasse a tornare in patria, Khomeini rispondeva indistintamente di non sentire alcunché.
Una volta toccato terra, Khomeini si reca in visita al cimitero di Beheshte Zahra a sud di Teheran e qui promette di “prendere a schiaffi questo governo” e annuncia che “il diritto appartiene al popolo e il governo non ha il diritto di mantenerlo sotto la sua tutela. Fino a oggi è così che è stato trattato il popolo iraniano dallo scià e dal suo governo, violando le leggi internazionali. Per questo noi non riconosciamo la sua legittimità”.
Un’altra importante figura che ha ispirato profondamente Khomeini e la sua dottrina del velayat e-faqih è stato il filosofo iraniano Ali Shariati: anche lui avversario dello scià e anche lui con un’esperienza di formazione a Parigi. L’Ayatollah ha attinto a piene mani dal suo bagaglio ideologico.
Nei suoi discorsi più politici che religiosi, Khomeini parla dei bisogno materiali del popolo, promette di dare l’acqua e la luce gratis a tutti. C’è tempo perché i suoi toni s’infiammino e i suoi discorsi contro l’America prendano corpo. Khomeini è abilissimo nel sedimentare e nel rafforzare la sua immagine austera e la sua personalità granitica. La tv di stato iraniana ancora oggi trasmette spesso i suoi lunghissimi discorsi.
È importante ricordare che la Rivoluzione Islamica del 1979 non fu soltanto opera di studenti, intellettuali e mullah. Anche i bazarì, ossia i commercianti, ebbero un ruolo chiave nel cambio di regime e ancora oggi hanno un peso altrettanto decisivo nel mantenimento dello status quo.
(Qui sotto un video integrale che mostra l’arrivo di Khomeini all’aeroporto iraniano di Merabad e il primo discorso al cimitero di Beheshte Zahra)