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    La fine del Trattato Inf non ha nulla a che vedere con Cina e Russia: è solo colpa della scelleratezza di Trump

    Credit: Paul Zinken/dpa

    Il trattato è degli ultimi lasciti del dialogo russo-americano sul controllo degli armamenti, una delle più nobili tradizioni diplomatiche del Novecento. Perché lo si lascia morire? L'analisi di Riccardo Alcaro dell'Istituto affari internazionali

    Di Riccardo Alcaro
    Pubblicato il 5 Feb. 2019 alle 16:07 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:34

    La fine del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, noto come Trattato Inf (Intermediate-range nuclear forces Treaty), non è uno scherzo. 

    Concluso nel 1987 da Stati Uniti e Unione Sovietica, l’accordo occupa un posto speciale nel regime di controllo degli armamenti perché è il primo e unico che non riduce ma elimina un’intera classe di forze nucleari, quelle con gittata compresa tra 500 e 5500 km.

    Il trattato è un pilastro della sicurezza europea perché l’Europa era – e potrebbe essere ancora – il principale teatro di schieramento dei missili a raggio intermedio.

    Leggi anche: Perché la fine del Trattato sulle armi nucleari a medio raggio è un pericolo per l’Ue e per l’Italia

    Il trattato è infine uno degli ultimi lasciti del dialogo russo-americano sul controllo degli armamenti, una delle più nobili tradizioni diplomatiche del secondo Novecento.

    Ma se l’Inf è così prezioso, perché lo si lascia morire? L’amministrazione Trump, da cui è partita l’iniziativa che ha portato al decadimento dell’accordo, sostiene di avere due ottime ragioni: la Russia e la Cina.

    La Russia, dicono gli Stati Uniti, ha trasgredito l’accordo sviluppando un missile con raggio superiore ai 500 km. La Cina invece è libera di sviluppare i missili proibiti dall’accordo perché non ne fa parte, mettendo gli Stati Uniti in una posizione di svantaggio.

    Tuttavia, basta analizzare un po’ più in profondità queste argomentazioni per concludere che si tratta di fumo negli occhi.

    Se il problema è la violazione dell’accordo da parte russa, bisogna valutare se il ritiro americano costituisca un’efficace rappresaglia. L’amministrazione Obama, la prima a riportare le possibili violazioni russe nel 2014, aveva adottato un approccio di pressione su Mosca perché rispettasse i suoi impegni evitando però pubbliche accuse di violazioni.

    La strategia aveva una sua logica: restando nell’accordo e costringendo i russi a continue smentite, Washington aveva aumentato i costi politici per i russi di schierare il nuovo missile.

    Ora che Trump ha ritirato gli Usa, i russi non solo hanno via libera a schierare missili a raggio intermedio senza impedimenti legali, ma hanno anche vinto il gioco delle responsabilità.

    In altre parole, la Russia ci guadagna.

    Se il problema è la Cina, allora la questione delle violazioni russe è del tutto irrilevante. Inadempiente o meno che sia Mosca, Washington avrebbe comunque bisogno di recuperare lo squilibrio con Pechino su questa classe di missili. Ma questo bisogno è immaginario più che reale.

    I missili a raggio intermedio non minacciano gli Usa continentali perché il Pacifico è ben più ampio di 5500 km. Che dire delle basi navali Usa nell’area? La base navale di Guam è in effetti a tiro dei missili cinesi, e tuttavia ciò sembra una ragione poco valida per un passo così rischioso come lasciare il Trattato Inf. Dopotutto, quest’ultimo ha eliminato i missili basati a terra, non quelli schierati su navi o sommergibili. La flotta Usa nel Pacifico non manca di queste (e altre) capacità di deterrenza.

    Inoltre, se la decisione dell’amministrazione Trump dipende dalla valutazione che l’Inf non è più nell’interesse americano, sarebbe lecito aspettarsi che gli Usa stiano facendo preparativi per reagire alle conseguenze del ritiro per l’Europa e l’Asia.

    Come rispondere se Mosca dovesse schierare missili a raggio intermedio e puntarli, come aveva fatto prima che l’Inf entrasse in vigore, sulle capitali europee? L’alternativa a ridurre la maggiore vulnerabilità europea è il rischieramento di missili nucleari Usa in Europa, una mossa estremamente impopolare nei paesi europei. Lo stesso discorso vale per l’Asia, dove l’eventuale schieramento di missili nucleari in funzione anti-cinese è politicamente improponibile in Corea del Sud e difficilissimo anche in Giappone (e altrove).

    Ad aggiungere beffa a danno, gli Stati Uniti stessi non hanno espresso l’intenzione di schierare nei paesi alleati missili nucleari che, al momento, non solo non hanno piani di sviluppare (in ogni caso ci vorrebbero anni).

    Né il problema russo né quello cinese sembrano quindi giustificare il ritiro americano dall’Inf. Ma allora perché adottare una misura tanto miope?

    La ragione non sta né nella strategia né nella geopolitica, ma nell’assunto ideologico che considera la sovranità nazionale lesa da ogni forma di impegno vincolante internazionale. Donald Trump è istintivamente attratto da questa concezione caricaturale della sovranità. Ma a indirizzarne l’azione è il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton.

    Bolton è il grande becchino degli accordi di non-proliferazione e controllo degli armamenti. La fine dell’Inf va ad aggiungersi infatti ad altri ‘successi’ da lui colti, come l’uscita dall’accordo nucleare con l’Iran nonché, quand’era sottosegretario di stato sotto George Bush figlio, il ritiro dal Trattato di bando delle difese anti-balistiche o Trattato Abm (Anti-ballistic missiles Treaty) e il sabotaggio dell’Accordo-quadro tra Usa e Nord Corea che nel 1994 aveva limitato il programma nucleare nordcoreano.

    Benché Bolton veda con ogni probabilità tutto questo come una serie di grandi vittorie, la maggior parte del resto del mondo ha un’altra opinione. Lo schieramento in Europa di difese antimissile Usa è all’origine di enormi tensioni con la Russia. La Corea del Nord, una volta collassato l’Accordo-quadro, ha lasciato il Trattato di non-proliferazione nucleare e sviluppato un arsenale atomico. E se la pressione Usa rendesse per l’Iran intollerabile continuare a rispettare l’accordo nucleare (nonostante gli sforzi europei per mantenerlo in vita), gli effetti sul regime di non-proliferazione e la stabilità del Medio Oriente potrebbero essere nefasti. A fronte di questi effetti negativi, è il caso di sottolineare, gli Stati Uniti non hanno ottenuto benefici apprezzabili.

    Ci si può chiedere come mai un uomo dal consiglio così poco illuminato come Bolton continui a occupare posizioni così in alto nelle amministrazioni americane.

    La ragione è che l’Atlantico e il Pacifico mettono al riparo gli Stati Uniti non solo dai missili a raggio intermedio, ma anche dalle conseguenze dell’aggressivo unilateralismo sovranista caldeggiato dagli ideologi alla Bolton. Una volta ancora in questo inizio di nuovo secolo, a pagare le scelte scellerate di un’amministrazione irresponsabile saranno altri.   

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