“Quando sono nato, 28 anni fa, il mio nome non era Salman ma Salma. Quando sono nato ero una bambina”. A parlare è Salman al-Dukheil, un uomo transgender di nazionalità saudita.
Dukheil è stato cresciuto da genitori sauditi tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, e studia attualmente a Chicago.
È il più piccolo di cinque figli e quando ha condiviso con la propria famiglia la sua intenzione di cambiare sesso ne ha ricevuto il pieno appoggio. Così, si è sottoposto alla terapia ormonale e infine all’operazione di riassegnazione chirurgica.
Nel regno arabo degli al-Saud, la storia di questo studente di economia potrebbe costargli la prigione e una pena corporale in forma di frustate.
È per questo che Dukheil ha tenuto a lungo segreta la verità sulla sua nascita, finché non ha compreso che raccontare la sua storia avrebbe potuto aiutare e incoraggiare altre persone.
In Arabia Saudita non esiste alcuna legge che punisca le persone transgender, tuttavia le autorità del regno hanno arrestato travestiti e ordinato la prigione e la fustigazione di persone accusate di comportarsi in maniera effeminata.
L’omosessualità, d’altra parte, è illegale e punita con la pena di morte.
Il regno arabo non è certo solo nel trattamento discriminatorio contro la comunità Lgbt: tra il 2008 e il 2015 oltre 2.000 persone sono state uccise in 65 diversi paesi per via della loro “discrepanza di genere”. In alcuni paesi tra cui Malesia, Kuwait e Nigeria, le persone transgender sono fuori legge mentre in ben 72 paesi l’omosessualità è illegale.
Per non parlare dello stigma e della violenza sociale che subisce la comunità Lgbt in diverse parti del mondo, anche quelle in cui, per gli ordinamenti giuridici, sarebbe vietata qualsiasi forma di discriminazione.
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