Niños robados. Bambini rubati. Dal 1940, trecentomila bambini sono stati sottratti alle loro madri durante il regime di Francisco Franco, in nome di una massiccia operazione di eugenetica volta ad estirpare sul nascere la diffusione del pensiero repubblicano. «L’espressione “bambini rubati”», scandisce lo scrittore e avvocato spagnolo Enrique J. Vila Torres, «si riferisce a quei figli che, in Spagna, sono stati separati dalle loro madri biologiche sia per moventi politici, sia, soprattutto, per ragioni sociali, religiose ed economiche, per essere poi concessi in adozione ad altre famiglie. Si tratta di un dramma umano esperito non solo in Spagna, che raggiunse l’apice durante la seconda metà del Ventesimo secolo. Ci sono molti cittadini spagnoli che hanno vissuto in famiglie adottive o alla stregua di falsi figli biologici, contro la volontà dei loro veri genitori». Un fenomeno di vaste proporzioni che è sopravvissuto alla fine del regime franchista. «C’è stato un primo periodo, fino al 1952, durante il quale il regime di Franco ha sottratto i bambini appena nati dalle donne repubblicane e comuniste imprigionate. Questo atto ha trovato una motivazione di carattere politico. Più tardi tale pratica cessò, in quanto la Spagna, con la sua entrata nelle Nazioni Unite, si avviava verso un’apertura internazionale. Il furto dei bambini, tuttavia, è continuato in nome di una giustificazione sociale e religiosa – si trattava di donne incinte che erano minorenni e al di fuori del matrimonio –, cosa che “legittimò” la consegna di questi bambini per l’adozione. Si potrebbe dire che durante la metà del XX secolo – nel passaggio tra franchismo e democrazia – non sussisteva più una vera e propria motivazione politica, ma morale ed economica».
Autore di diversi libri – fra cui ricordiamo Storie rubate (2017), Durante la tua assenza (2017), Lettere di un bastardo al Papa (2018) e Noi che cerchiamo (2021), tutti editi in Italia da Castelvecchi –, Enrique J. Vila Torres nasce nel 1965 nella Casa Nido Santa Isabel di Valencia. Anch’egli è un “bambino rubato”. La sua madre biologica, una ragazza molto giovane, proveniva probabilmente dal nord della Spagna, ma non la conobbe mai, in quanto, appena nato, venne consegnato immediatamente ai genitori adottivi. Scoprì per caso la verità, dopo la morte del padre: «Ho scoperto solo all’età di 23 anni di essere stato adottato. Era un segreto della mia famiglia adottiva, e l’ho scoperto per caso, attraverso un documento che ho rinvenuto. È stato un vero trauma, uno shock. Da quel momento in poi cominciai a indagare sulle mie origini e su quelle di molti altri che si trovavano nelle mie stesse condizioni, attività cui consacrai la mia professione di avvocato. Più avanti, sono venuto a conoscenza del raggiro di cui sono stati vittima i “bambini rubati” in Spagna e ho anche incontrato diverse madri biologiche che hanno partorito nell’istituto in cui sono nato, Casa Nido Santa Isabel, che mi hanno confessato di essere state ingannate o costrette a rinunciare ai loro bambini. Infine, ho scoperto che per me hanno pagato un milione di pesetas (6mila euro), che nel 1965, l’anno della mia nascita, costituivano un sacco di denaro, abbastanza per acquistare due appartamenti. Tutto ciò mi fa ragionevolmente supporre di essere stato vittima del complotto dei ladri di bambini, ma è chiaro che, fino a quando non troverò la mia madre biologica e conoscerò la sua versione, non potrò saperlo con assoluta certezza». Da oltre venticinque anni, Vila Torres dedica quindi la sua attività di avvocato ad aiutare persone che si muovono alla ricerca dei propri consanguinei e a far luce su adozioni false e illegali, saldando in un unicum biografia personale, attività professionale e vocazione letteraria. «Ciò di cui sono più soddisfatto», confessa, «è che con il mio lavoro ho favorito, in maniera diretta, il ricongiungimento di più di trecento famiglie, mentre, indirettamente – attraverso i miei libri, le mie conferenze e le mie apparizioni nei media – ne ho aiutate a migliaia. Ciò è molto importante per me, in quanto ogni volta che un figlio e una madre si incontrano sono immensamente felice di quello che faccio. Inoltre, ho presentato la denuncia congiunta con il Procuratore Generale di Stato, che nel 2011 avrebbe scoperto il commercio dei “bambini rubati” in Spagna, con molteplici ripercussioni giudiziarie, sociali e sui media».
Ma cosa accomuna le molte, sofferte storie di “bambini rubati” raccolte in tanti anni? Cosa le caratterizza? «L’elemento comune è senza dubbio la natura criminale alla base di tale attività e il dolore. Dolore prima della madre e del padre defraudati, e poi del figlio che non riesce a trovarli. Nella maggior parte dei casi, sono avvenute coercizioni nei confronti della donna incinta in modo che con la forza abbandonasse il proprio bambino. Ciò è molto drammatico e ingiusto. Esistono molti modi per farlo. E in alcuni casi, la madre non è stata costretta ma ingannata: le era stato detto che il bambino era morto, mentre in realtà era stato rubato e venduto ad un’altra famiglia. Veniva anche presentato loro il corpicino congelato di un bambino, dando a intendere che si trattasse del loro figlio: a tutte è stato mostrato lo stesso. Vi sono anche tombe vuote, che non hanno mai contenuto bambini, su cui sono stati deposti dei fiori. Forse il periodo in cui questo traffico è avvenuto con maggiore intensità risale agli anni Sessanta del Ventesimo secolo, quando si rilevò una certa esplosione demografica in Spagna. Più bambini, più furti».
Fra muri di gomma e insistite reticenze, l’avvocato spagnolo ha dovuto affrontare anche il silenzio assordante delle istituzioni ecclesiastiche. «Mi resta da superare un ultimo ostacolo, rappresentato dagli archivi ecclesiastici, che mi impediscono di ritrovare me stesso. La Chiesa cattolica ha una doppia colpa. In primo luogo, ha partecipato attivamente alla macchinazione delle adozioni illegali, dal momento che ha curato le madri biologiche, per poi ingannarle o costringerle a rinunciare ai propri figli. Inoltre, è possibile che abbia conservato una parte del denaro versato per l’adozione dei bambini. Infine, attualmente la Chiesa cattolica ha rifiutato in molte occasioni di rendere noti i dati delle madri biologiche. Solo alcune istituzioni ecclesiastiche rispettano la legge e, in casi del tutto eccezionali, di fronte alle ordinanze del tribunale consegnano i nomi dei parenti ricercati». Prossimi passi? «Ho intenzione di continuare a indagare per via giudiziaria in Spagna su quei casi non ancora risolti. E continuerò a promuovere riunioni di madri e bambini. A livello personale, continuerò a rivolgermi alla Santa Sede con tutti i mezzi possibili, in modo che, una volta per tutte, gli archivi ecclesiastici si schiudano e noi potremo finalmente incontrare le nostre madri biologiche. Ci meritiamo un loro bacio e un abbraccio. Anche per questo, poiché la giustizia spagnola sembra incapace o non disposta ad aiutarci, comincerò a chiedere aiuto in Europa e nei tribunali internazionali». Alla ricerca di un epilogo legittimo e non scontato.