SABRATA, LIBIA – Passiamo davanti a un casolare di campagna. Lì sono parcheggiati decine di pick up Toyota blu con la scritta shurta, che in arabo significa polizia. Scivolando lentamente in macchina scattiamo delle foto. Una raffica di colpi di kalashnikov e urla ci costringono a fermarci. La nostra auto viene circondata da uomini vestiti con uniformi una diversa dall’altra e alcuni di loro sono in abiti civili.
Siamo a Sabrata, città 80 chilometri a ovest di Tripoli e principale punto di imbarco delle migliaia di migranti che dalle coste libiche tentano la traversata del Mediterraneo verso l’Europa.
In macchina con noi viaggia il capo del Dipartimento locale anti-migrazione irregolare, Bassam al-Ghabli. Gli uomini non si rilassano neanche alla presenza di Ghabli, responsabile del dipartimento che opera sotto il ministero degli Interni di Tripoli.
“Non mi hanno ancora ucciso perché faccio parte di una tribù importante” spiega Al Ghabli, mentre ci accompagna verso un promontorio, in arabo al-jorf, che finisce a strapiombo nel Mediterraneo creando una sorta di golfo. All’indomani dei naufragi, il golfo finisce per trasformarsi molto spesso in una sorta di fossa comune per migranti.
“Fino a qualche giorno fa, decine di corpi erano ancora laggiù”, ci racconta Ghabli indicando con la mano la parte bassa di al-jorf.
Chiediamo di andare a visitare il cimitero dove sono seppellite le centinaia di corpi di migranti che negli ultimi due anni hanno tentato la sorte salpando dalla costa vicino Sabrata, ma Ghabli risponde laconico: “È molto pericoloso e non posso garantire fin laggiù”.
Il cimitero per migranti di Sabrata è 30 chilometri a sud della città e la strada che porta fin laggiù è territorio di nessuno, ci spiega un volontario della Mezzaluna Rossa libica che per due giorni ha trasportato i cadaveri dalla spiaggia.
“Laggiù non garantisce neanche al-Ammu”, dice l’uomo che ha accettato di parlare in condizioni di anonimato. Al-Ammu, al secolo Ahmed Dabbashi, si distinse nel 2011 per le sue gesta eroiche contro le forze dell’ex regime di Muammar Gheddafi.
All’indomani della Rivoluzione, entrò nel business del traffico di esseri umani mettendo su un grande impero economico. Con la fortuna accumulata costruì la più potente milizia locale, Anas Dabbashi, intitolata a un suo cugino morto combattendo nel 2011.
Oggi la milizia Anas Dabbashi è la più imponente forza armata in città tanto da essersi aggiudicata il controllo dell’impianto dell’Eni, Mellita Oil & Gas, 40 chilometri a ovest di Sabrata.
“Per al-Ammu l’unico concorrente sulla piazza del traffico dei migranti a Sabrata è il dottor Mussab Abu Ghrein”, ci spiega un uomo di Sabrata che di gommoni ne ha visti partire a decine.
Sul dottor Mussab Abu Ghrein non ci dà altri dettagli, si limita a raccontarci che lavora benissimo con i sudanesi che gestiscono i grandi numeri di migranti subsahariani, mettendo a dura prova il business di al-Ammu.
“Nelle case di campagna alla periferia della città, sono stipate centinaia di persone, tutti provenienti dall’africa subsahariana. Molti sono ancora dei bambini”, dice la fonte che, come tanti, decide di parlare solo in condizioni di anonimato.
“Ho sentito che l’Unione europea ha chiesto alla guardia costiera libica di fermare i trafficanti”, dice l’uomo, e scoppia in una sonora risata.
Lo scorso giugno Bruxelles ha siglato un Memorandum of Understanding con la guardia costiera libica per smantellare – come riporta il documento – la rete dei trafficanti di migranti nel “Mediterraneo centrale”. Questo è il nome con cui l’agenzia europea per il controllo dei confini Frontex definisce la rotta dei migranti che passa per la Libia e arriva fino alle coste italiane.
“Sono proprio i guardia coste a regolare il traffico qui in zona”, spiega la fonte, dopo essersi ricomposto.
Dalla fine della rivoluzione contro Gheddafi nel 2011, l’unità della guardia costiera locale non è più operativa e da allora i guardia coste della città di Zawiya sono ufficialmente incaricati dal commando centrale di Tripoli del pattugliamento della costa occidentale libica.
“Al-Bija è il capo indiscusso del traffico dei migranti”, dice una fonte militare di Zawiya sopravvissuta già a due attentati contro la sua vita.
Abdurahman Milad, conosciuto come al-Bija, è l’attuale comandante della guardia costiera a Zawiya. Negli ultimi due anni ha estromesso tutti i colleghi e i sottoposti che non si piegavano al suo sistema, racconta la fonte.
Dall’inizio del 2015 al-Bija ha preso in mano il controllo del traffico dei migranti dettando le sue regole dalla costa a ovest di Tripoli fino al confine tunisino. Anche a Sabrata, al-Ammu e il Dottor Mussab Abu Ghrein si sono dovuti adeguare, continua la fonte mentre si guarda attorno nervoso in una caffetteria al centro di Zawiya.
Da Sabrata, che si trova 40 chilometri a ovest di Zawiya, sono partiti gli oltre 181mila migranti giunti in Italia attraverso il Mediterraneo nel corso del 2016 secondo i dati Unhcr. E da Sabrata si sarebbero imbarcati molti dei cinquemila naufraghi morti in mare da inizio anno.
I primi di gennaio del 2017, lo stesso ministro degli Interni italiano Marco Minniti aveva dichiarato in conferenza stampa a Roma che il 95 per cento degli arrivi dei migranti via mare in Italia giunge dalle coste libiche. “Ed è chiaro che il fenomeno va affrontato” aggiunse Minniti. Detto fatto, oggi il ministro degli Interni incontra a Tripoli rappresentanti di quello che stenta a decollare come governo di unità nazionale per via della frammentazione politica nel paese nordafricano e la conseguente guerra civile ancora in corso dal 2014.
Ma a quanto pare questo rimane un dettaglio per l’Europa e l’Italia che, compatte, tentano il colpo di coda per legittimare una autorità senza alcun potere sul territorio.
La guardia costiera libica che le forze navali italiane stanno addestrando dallo scorso novembre, come previsto dal Memorandum of Understanding, sarà presto in grado di coprire le operazioni di ricerca e soccorso (SAR) fino a 84 miglia dalle coste libiche, quindi la quasi totalità della rotta migratoria del Mediterraneo Centrale al centro dell’incontro tra Minniti e i rappresentanti del Consiglio Presidenziale guidato da Fajez Al Serraj.
Tuttavia la Libia resta un paese in guerra civile, quindi paese terzo non sicuro – come da gergo tecnico delle politiche migratorie europee. E le prospettive di gestione delle centinaia di donne e uomini e bambini che transitano nel paese restano ignote.
“O i trafficanti pagano prima di mettere in acqua la gente, o al-Bija sguinzaglia i suoi uomini per attaccare le imbarcazioni”, sottolinea l’uomo, e continua: “Delle volte portano via il motore solo per ripicca, e se lo rivendono incassando fino a settemila euro”.
Tuttavia il vero business di al-Bija sta nel recupero della “mercanzia” in mare: i guardia coste di Zawiya ripescano i migranti fatti partire dai trafficanti che non hanno preventivamente corrisposto loro la quota e li riportano a terra dove vengono trasferiti al centro di detenzione per migranti al-Nasser a Zawiya.
Il centro di Zawiya è gestito dalla famiglia Nasser che appartiene alla tribù Abu Hamayra, la stessa di cui fa parte al-Bija. La milizia Nasser aprì i battenti del centro di detenzione lo scorso marzo: mentre al-Bija riempiva gli stanzoni con centinai di migranti, i Nasser chiedevano al ministero degli Interni a Tripoli il riconoscimento ufficiale.
Poco dopo l’apertura, una notte di fine marzo, decine di migranti tentarono la fuga e le guardie aprirono il fuoco uccidendone 13 e ferendone a decine. I sopravvissuti furono trasferiti al centro Abu Aissa, operativo in città sin dai tempi del regime di Gheddafi.
Da allora decine di attacchi da parte di uomini non identificati si sono registrati presso il centro Abu Aissa, fino all’ultimo in cui un uomo, munito di kalashnikov, ha aperto il fuoco sulla centralina elettrica del centro. Il direttore allora gettò la spugna, facendo trasferire i migranti in altri centri a Tripoli.
Dallo scorso ottobre l’unico centro rimasto operativo a ovest di Tripoli è Nasser. “Al-Bija e i Nasser sono in affari”, spiega la fonte militare. Lì i migranti vengono venduti a giornata come lavoratori fino a quando le guardie non recuperano per ogni migrante almeno 200 euro, il prezzo della loro libertà.
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A bordo di un’imbarcazione della guardia costiera libica impegnata nella guerra contro l’Isis
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